26 novembre 2024 h 16.00
Cinema Flora Atelier Firenze – piazza Dalmazia, 2r
Altri film del regista: // Cry Macho // Il Corriere [The Mule] //
I vecchi
// Giurato numero 2 [Juror #2] // Finalement // The Miracle Club // Perfect Days // Adagio (vecchi delinquenti) // Coup de chance e The Old Oak (vecchi registi) // Bassifondi // Scordato // La quattordicesima domenica del tempo ordinario // Il Sol dell’Avvenire // Il ritorno di Casanova // Non così vicino [A man called Otto] // Orlando // Il piacere è tutto mio // Astolfo // Rimini // Nostalgia // Settembre // Belfast // Callas Forever // Cry Macho // Boys // The father [Nulla è come sembra] // Nomadland // LONTANO LONTANO // Le nostre anime di notte (commento al libro) // Herzog incontra Gorbaciov // The Irishman // Dolor y Gloria // Stan & Ollie [Stanlio & Ollio] // Can you ever forgive me? [Copia originale] // Il Corriere [The Mule] // Moschettieri del re // Lucky // Loro // L’ultimo viaggio // Ricomincio da noi // Ella & John //
“Giurato numero 2”, Titolo originale: “Juror #2”, regia di Clint Eastwood.
Alla fine del film possiamo dire che “giustizia è fatta”? Da spettatori che si affezionano ai personaggi – soprattutto nei film di Clint Eastwood – siamo soddisfatti perché le cose saranno messe dove devono essere? Non credo.
Sappiamo che un innocente, accusato sulla base di indizi di colpevolezza e della testimonianza dubbia di un testimone oculare, sarà probabilmente salvato da una condanna ingiusta. Ma un altro innocente sta per vedere rovinata la propria vita e non potrà costruire una famiglia sulla base del fatto (del fatto?) che se sei stato alcolista e ti sei fermato a bere un goccio in un bar si può supporre che sei uscito dal bar ubriaco ed è colpa tua se quella donna è volata nel greto del torrente (pena prevista: da trent’anni di carcere all’ergastolo, dice l’avvocato).
Sappiamo che il pubblico ministero (interpretato dalla brava Toni Collette) è in campagna elettorale per diventare procuratore della contea (siamo in Georgia) in un sistema che la sottopone al voto popolare, quindi dev’essere gradita al popolo. Il popolo è giustizialista quando tocca agli altri. Qualcuno dev’essere messo in galera per forza e una vita distrutta dev’essere compensata con un’altra vita distrutta, senza porsi troppi problemi riguardo al ragionevole dubbio.
Ecco perché pubblico ministero e polizia hanno concentrato le indagini sul fidanzato della vittima, unicamente sulla base di indizi e precedenti a carico dell’imputato. Con altrettanta veemenza assaliranno il secondo imputato, dopo i titoli di coda, e se si scoprirà che anche lui è innocente, che veramente ha urtato con il suv e lanciato nel torrente un cervo, si cercherà un terzo colpevole della morte della donna; spero sia il “testimone oculare” pronto a giurare su ciò che ha visto per compiacere gli investigatori. Se un terzo indagato deve passare un guaio, spero sia lui, il babbione che giura senza essere certo. Qui c’è un errore dell’avvocato difensore: non ha torchiato a dovere il vecchio babbione e non ha chiesto una perizia.
Se il pubblico ministero non infierisce sugli indiziati, i bravi cittadini non la riterranno adeguata a difenderli dal male (preferibilmente esterno) e non la voteranno per farla diventare procuratore della contea.
Se penso che qualcuno propone di trasferire questo sistema barbaro in Italia, mi vengono i brividi.
No. Propongono di peggio: i giudici alle dipendenze del governo, così da garantire gli eletti del popolo e annullare la separazione tra potere legislativo, esecutivo e giudiziario. Brividi!
Il povero Justin non aveva bevuto il bicchiere di whisky, nonostante si fosse fermato nel locale e l’avesse ordinato. In un momento di crisi per la interruzione della gravidanza della moglie stava quasi per precipitare di nuovo nel baratro dell’alcolismo, ma si è fermato sull’orlo del baratro. Ha guardato dentro al bicchiere pieno di whisky, ha pensato alla donna che lo ha salvato e lo aspetta, si è alzato dal tavolo del bar per tornare a casa. È buio, piove a dirotto, la visibilità è scarsa. Sul ponte ha sentito un botto, la macchina ha urtato qualcosa. Si è fermato, ha controllato, ha pensato di avere investito un cervo che è stato sbalzato nel torrente. Non si è accorto di avere investito una donna ubriaca e furiosa che camminava sul ciglio della strada. Non è responsabile di omicidio stradale con l’aggravante della guida in stato di ubriachezza.
La gente vuole un colpevole. Il colpevole individuato e condannato soddisfa il bisogno di protezione: la polizia veglia su di noi, il procuratore punisce i cattivi. In un sistema giudiziario che mette il giudice alle dipendenze del popolo (non dipende solo dalla legge ma dalla maggioranza che lo elegge) un colpevole dev’essere trovato per forza.
Gli indizi sono trasformati in prove, il testimone “oculare” viene indotto a credere di avere visto l’imputato e la giuria popolare è pronta per l’unanimità che cancella ogni dubbio.
Il povero Justin sa di essere innocente, ma sa che anche il fidanzato della ragazza, dato in pasto al popolo, è innocente nonostante gli indizi e i precedenti. Se fosse stato di scorza più dura avrebbe evitato di manifestare dubbi; ma è onesto, non al punto di sacrificarsi per salvare un innocente. Alla fine si era rassegnato a un’ingiustizia ai danni di un altro.
Immaginiamo che dopo i titoli di coda toccherà a Justin patire, perché il pubblico ministero, diventata procuratore della contea, “deve” perseguitare qualcuno, deve sconvolgere una famiglia pur avendo a disposizione solo indizi.
Forse è proprio questo che il vecchio Clint e lo sceneggiatore Jonathan Abrams vogliono dirci: ci raccontano come la giustizia umana, soprattutto nel sistema americano, in troppi casi sia illusione, qualche volta violenza.
In tutta la prima parte il film non mi ha preso; in sostanza è un remake con variante di “La parola ai giurati”, regia di Sidney Lumet. Quando vedo un remake di solito parto prevenuto: preferisco l’originale, soprattutto se è un capolavoro.
Nella prima parte Clint è troppo influenzato dalla giuria del film di Lumet, nel quale i personaggi sono veri e li conserviamo da decenni nella memoria, interpretati da attori del calibro di Henry Fonda e Martin Balsam.
I giurati di “Juror #2”, che non vedono l’ora di condannare e andare a casa, sono una pallida imitazione di quelli conservati nella memoria biologica, direbbe Umberto Eco per distinguerla dalla memoria minerale (i chip di silicio) e dalla memoria vegetale (i libri di carta). Bisogna anche notare che il bianco e nero sullo schermo cinematografico è più realista del colore.
I giurati di Clint sembrano studiati per mostrare un’America che abbiamo amato, ma ci ha deluso (con la vittoria di Trump): l’America del melting pot, del grande calderone in cui convivono etnie diverse e a ognuno è data la possibilità di realizzare il proprio sogno. Mi sono sembrati troppo costruiti i due giurati fragili per problemi di famiglia (il bianco e il nero), la giurata nera autista di pullman che non vede l’ora di tornare a casa dai tre figli, la brava ragazza cinese studentessa di medicina che spiega l’impatto dell’urto sulle ossa. Il giurato detective mi è sembrato poco credibile. Il siparietto che lo coinvolge è assurdo e distrae.
Fino a quel momento reggeva solo il rispetto per un grande regista che abbiamo amato anche come attore dotato di due espressioni, col cappello e senza cappello (nel commento a un altro film di Clint Eastwood ho spiegato perché si tratta di un elogio importante per un attore).
Poi c’è stata una svolta: il dubbio si è trasferito nella testa del pubblico ministero, eletta procuratore e circondata dall’approvazione asfissiante del popolo. Da quel momento ho ritrovato il grande Clint. Finale amaro.