23 gennaio 2023 h 17.00
Cinema Odeon Pisa – piazza San Paolo all’Orto

Commedia
Temi leggeri, anche seri o drammatici, svolti con leggerezza

Non è un thriller, non è un polar (policier e noir); è una commedia, una classica commedia, un po’ all’italiana (la “mamma”, l’ironia).
Alla fine Abel, il personaggio alter ego di Louis Garrel in tutti i suoi film (come Michele Apicella per Nanni Moretti), va in prigione: non tradisce Clémence, la donna che ama (una gran bella donna, la migliore amica della moglie defunta), non tradisce Michel, che ha già subito un tradimento e, recidivo, sarebbe condannato a una lunga detenzione.
Abel va in prigione ma non si dispera: anche il carcere è allegro in una commedia.
Come per Moretti, il nome è l’unico elemento comune ai personaggi interpretati da Garrel nei suoi film, oltre, naturalmente, all’aspetto fisico. È come la firma dell’autore.
“Innocente” – anche nel titolo originale: L’innocent – sta per indifeso, ingenuo come un bambino, sospettoso ma incapace di capire le complicazioni torbide dei grandi. In altri termini, riferito a un adulto: “stronzo” (in francese: “con”, come in Brassens: «Quand on est con, on est con», «Quando uno è coglione è coglione»).

Nel film c’è un modo, credo paradossale, di vedere i laboratori teatrali che la gente di teatro impegnata organizza nelle carceri. Sono utilizzati da Sylvie, l’attrice che li conduce, per scovare un delinquente capace di recitare, di cui innamorarsi perdutamente. Il figlio di Sylvie, l’innocente e un po’ stronzo Abel, racconta che la sequenza si è ripetuta più volte: corso di teatro, delinquente fascinoso, innamoramento.

È questo che preoccupa Abel: la tendenza della madre a farsi trasportare dai sentimenti e, conseguentemente, a farsi imbrogliare. È un’attrice matura, sempre disponibile a innamorarsi di detenuti troppo giovani per lei o forse motivati da altri interessi. Lei ogni tanto lo capisce, ma continua imperterrita a coltivare un’illusione.

Dove avrà pescato, Louis Garrel, questo personaggio, la madre di Abel, garrula e leggera, sempre pronta a ricominciare con entusiasmo illimitato? Sicuramente, appartenendo a una famiglia di attori importanti, l’ha trovato nell’ambiente che frequenta dalla nascita: intellettuali, artisti, parigini, impegnati, radicali (in senso anglosassone) e abbastanza chic (in senso italofrancese).
Mettiamo insieme le due ultime parole e abbiamo trovato la provenienza di Sylvie.

Ci dev’essere una quota regolamentare di Edipo non risolto nell’impicciarsi di Abel nei fatti sentimentali e sessuali della madre. Lo psicanalista indagherebbe la scena in cui Abel entra nel negozio di fiori gestito da Sylvie e da Michel, il marito ex detenuto, sente i loro mugolii di piacere provenire da uno stanzino, fissa sbigottito la porta dello stanzino, esce stralunato dal negozio. Mi sembra stralunato, ma non ne sono sicuro, perché una caratteristica del personaggio è l’espressione fissa sul volto, che Louis Garrell esibisce dall’inizio alla fine del film. In ogni situazione la stessa espressione: quando illustra i pesci dell’acquario ai ragazzi, quando segue e spia Michel facendosi scoprire, quando finge una lite con Clémence per far perdere tempo al camionista che hanno deciso di derubare, quando scappa inseguito dai delinquenti, quando dichiara il suo amore a Clémence e, alla fine, nella cella del carcere e nel corso della cerimonia nuziale. Louis Garrel è un bravo attore, regista e sceneggiatore del film, quindi credo che la fissità dello sguardo sia una scelta, non so da che cosa motivata. Forse ha voluto caratterizzare  in modo permanente il personaggio, in vista di un utilizzo futuro. Abel è un giovane chiuso in sé, vittima dell’esuberanza della madre, incapace di reagire.
Mi è sembrata spropositata l’angoscia che l’attore riversa nel suo rapporto con la madre, in un film leggero, in una commedia.
Mi viene in mente Mario Monicelli che dice a Nanni Moretti, commentando Io sono un autarchico: «Ma cosa credi di avere fatto? Hai fatto una buona commedia all’italiana». Aveva ragione. I primi film di Nanni Moretti non sono chissà quale rivoluzione: sono buone commedie all’italiana. Questa constatazione non ne riduce il valore.
Lo stesso si potrebbe dire a Louis Garrel.
È significativa la scena dell’inseguimento, in una macchina guidata dalla madre, del furgone della polizia penitenziaria che conduce l’amante dal giudice per la concessione della libertà provvisoria.
Sorvoliamo sul mancato arrivo della polizia (la polizia francese, nel film, non c’è mai quando serve, si fa imbrogliare facilmente e non approfondisce le indagini).
Dopo quell’episodio chiunque dotato di un minimo di cervello avrebbe chiesto con calma alla donna di fermare la macchina, sarebbe sceso con calma in mezzo alla campagna e le avrebbe detto: «Vado a piedi. Non coinvolgermi nelle tue follie».

I personaggi principali di questa commedia piena di gente che cambia lavoro (attori che aprono negozi di fiori o ristoranti etnici, istruttori di acquari che diventano ladri di caviale) costituiscono caratteri che si potrebbero utilizzare per ricavare altre storie, girare altri film.
Michel potrebbe farsi vivo, dopo qualche anno, pronto a far credere tutto e il contrario di tutto alla signora romantica e a proporre al figlio, uscito dal carcere per buona condotta, un’altra rapina facile facile e sicura.
Clémence certamente sarebbe entusiasta della proposta e dimostrerebbe lo spirito di iniziativa necessario per reagire agli imprevisti; Abel, che ha fatto il battesimo del fuoco, innocente e un po’ tonto come sempre, si farebbe trascinare da Clémence e, nonostante la sua prudenza iniziale, accetterebbe una piccola parte, destinata a diventare la parte principale (nel senso cinematografico e del coinvolgimento nella rapina).

Qualcosa non torna nella conclusione di questa prima puntata: non si capisce come siano riusciti a restare fuori dal carcere 1) Clémence, dopo la testimonianza dell’autista, che, alla fine, si sarà reso conto della commedia (nella commedia) imbastita per fargli perdere tempo; 2) Michel, una volta accertato il collegamento con Abel tramite la madre e il ferimento subito la sera stessa della rapina con un colpo di pistola.

A giudicare da questo film si direbbe che la giustizia francese riesca molto meno della giustizia italiana a rintracciare il filo della trama dei reati (non c’è più Maigret!); forse i giudici italiani sono più bravi perché si sono esercitati collegando delinquenti, borghesia mafiosa e politici.

La scena più divertente è la lezione di teatro con due rapinatori in veste di insegnanti. La rapina è una cosa seria, richiede competenze (mica “uno vale uno”!). Nel curriculum ci dev’essere un corso di teatro, meglio se svolto in carcere e seguito dal matrimonio con l’attrice. Se non si è capaci di recitare a livello professionale non si può tradire il più caro amico (un classico) per prendersi una parte maggiore del malloppo, o, semplicemente, per il gusto di interpretare così bene la parte da riuscire a imbrogliare un altro professionista (della recitazione e della rapina).

Una commedia leggera, che ci ha fatto trascorrere un pomeriggio allegro nella sala Odeon di Pisa, uscendo dalla quale abbiamo ritrovato la bella piazza San Paolo all’Orto, bagnata da una pioggia insistente e congelata da un vento gelido (la foto è stata scattata prima di raggiungere il cinema, in fondo alla piazza a destra).
È inverno. Aggiungerei: «Lo deve fare», come diceva Eduardo De Filippo a Concetta (Pupella Maggio), svegliandosi la vigilia di Natale nel lettone al centro della scena e liberandosi della montagna di panni di lana che lo avevano protetto dal freddo. Aggiungeva: «Quest’anno l’inverno è venuto con tutti i sentimenti».