30 gennaio 2023 h 17.30
Cinema Spazio Uno Firenze – via del Sole, 10

Letteratura
// Il ritorno di Casanova (da Schnitzler) // Anton Cechov // La stranezza (Pirandello) // Tromperie (Philip Roth) // Illusioni perdute (Balzac) // Tre piani (Eshkol Nevo) // Pinocchio (articolo) // Il mare non bagna Napoli (Anna Maria Ortese) // Le nostre anime di notte (Kent Haruf) // Martin Eden (Jack London) // Copia originale [Can you ever forgive me?] (dalla autobiografia di Lee Israel) //

Teatro
// Romeo è Giulietta // Sanctuary (impianto teatrale) // Educazione Fisica (da “La palestra” di Giorgio Scianna) // The Whale (dall’omonima pièce teatrale) // Anton Cechov (Il gabbiano) // Grazie ragazzi (S. Beckett: Aspettando Godot) // La Stranezza (Luigi Pirandello: Sei personaggi in cerca d’autore) // Drive my car (Anton Cechov: Zio Vanja) // Il sindaco del rione Sanità (Il teatro di Eduardo) // Conversazione su Tiresia (Andrea Camilleri) // Favola (dalla commedia di Filippo Timi) // The Party (impianto teatrale) //

Sala quasi piena nel cinema Spazio Uno, vintage nel complesso e nei dettagli. Vecchio pianoforte, vecchie toilette, a pianterreno (ingresso) e al primo piano (sala).
Non mi ero mai accorto che delle tre all’ingresso due sono alla turca. Una vita che non vedevo una toilette alla turca! Soluzione antica, molto più igienica della consueta tazza, dotazione fissa delle toilette nei locali pubblici. Per non parlare della scatola maleodorante attaccata alla parete ad altezza pubica, riservata agli uomini (per fortuna assente nei cinema), che ti fa sentire sotto osservazione, anche se non c’è nessuno a fianco: mentre sei impegnato nella funzione potrebbe entrare qualcuno stranamente interessato alle tue parti intime.
Le poltroncine, più comode di quelle avvolgenti o  plastificate di altri cinema, non sono numerate.
Quando rifaranno questo antico cinema a molti di noi mancheranno i segni della vecchiaia (siamo fatti così!).

Anton Cechov – regista, purtroppo deceduto, René Féret; molto bello l’incipit.
Abituati alla luce delle lampadine, abbiamo dimenticato, non abbiamo conosciuto, la penombra che regnava di sera nelle case illuminate con le candele, i chiaroscuri sui volti e sugli abiti delle persone.
La famiglia riceve due letterati che hanno fatto un lungo viaggio, sono venuti apposta da Mosca, in carrozza, per conoscere il giovane scrittore di cui hanno scoperto il valore.
I fratelli Cechov scherzano con gli ospiti eccellenti; si mascherano: «indovinate chi di noi è lo scrittore», li fanno accomodare nello studio, nella penombra.
Anche il buio della notte abbiamo dimenticato, o non abbiamo mai conosciuto. Solo alcuni vecchi, ma proprio vecchi, se lo ricordano.
Ho visto con piacere i pennini che Antosha (cerco di rendere il suono del nome, un diminutivo che usavano in famiglia per Anton) appoggia sulla carta e fa scorrere con movimento sicuro, scrivendo di getto e senza ripensamenti.
Il regista ci mostra il foglio con la scrittura minuta, il movimento del pennino; un po’ vediamo, un po’ immaginiamo la mano che scorre.
I pennini si usavano fino ai primi anni cinquanta del novecento e qualche vecchio, ma proprio vecchio, ricorda di averli maneggiati nelle prime classi delle elementari.
Abituavano a evitare i ripensamenti e a formulare nella mente il pensiero compiuto prima di scrivere. Ora buttiamo giù qualunque cosa, tanto possiamo cambiarla o cancellarla, farla sparire con un gesto.
La paura principale di chi scrive è di perdere tutto. I vecchi fogli potevano bruciarsi, andare perduti, essere dimenticati. Ma esistevano, erano concreti. Ora tutto si svolge in una nuvola che potrebbe dissolversi per uno sbalzo di tensione.

A un certo punto Anton pensa, disperato, che la scrittura è un’attività superficiale, crede di avere il dovere di occuparsi unicamente della gente che soffre (era medico) e brucia alcuni quaderni.
La sorella, per fortuna, lo ferma: un angelo. La sorella, nel film, ha l’espressione intensa di Lolita Chammah, la figlia di Isabelle Huppert: stessa capacità della madre di comunicare con lo sguardo.

Se Anton avesse utilizzato una delle forme attuali di videoscrittura – sul computer, sull’ipad o sullo smartphone –  quel momento di follia ci sarebbe costato la perdita di capolavori che hanno la stessa importanza delle ricerche dei medici per ridurre le sofferenze fisiche dell’umanità. Hanno lo stesso, identico valore. Senza l’arte non serve a niente stare bene fisicamente. Forse non è possibile.

Interessante la ricostruzione puntuale dell’ambiente in cui Cechov è vissuto: precisione in tutti i dettagli (il colletto inamidato della camicia che il fratello aiuta Antosha a togliersi).
Visse sostanzialmente tutta la vita nella famiglia di provenienza. Gli mancò il tempo per formare un’altra famiglia: nel 1901, tre anni prima di morire, sposò un’attrice. Morì di tubercolosi, a 44 anni (1860, 1904).
La famiglia Cechov era costituita da cinque fratelli e una sorella, il padre fissato con la religione (da piccoli li costringeva a cantare in chiesa), la madre – una di quelle signore di una volta, casalinghe che passavano la vita sotto tutela, prima del padre, poi del marito, poi dei figli, fino alla morte: mai libere di pensare a se stesse; la dedizione motivata con l’affetto, i sentimenti usati come strumenti di ricatto reciproco.

Anton dedicò le sue energie alla famiglia e, con la sua arte, la risollevò dalla miseria in cui era stata costretta dai calcoli sbagliati del padre.
Studente di medicina, cominciò a scrivere racconti per guadagnare qualcosa. Quando lo scrittore Grigorovic e l’editore Suvorin lo scoprirono, riuscì a portare la famiglia nell’agiatezza, a trasferirla in una bella casa.
Nel film ci sono i ricordi della miseria, il benessere conquistato, i contrasti tra i fratelli, l’affetto tra i fratelli, la bontà della sorella. C’è l’umiltà, l’atteggiamento dimesso dei poveri, che, dopo qualche decennio, sarebbe montato in rabbia e avrebbe dato luogo alla Rivoluzione di ottobre.

Anche il sesso, il piacere del sesso, che qualcuno crede sia stato scoperto dopo il sessantotto (in realtà è stata scoperta la chiacchiera sul sesso, inversamente proporzionale all’esercizio).
Anton ha la sua avventura, gli incontri con la ragazza sposata insoddisfatta del marito, ma “il suo cuore è freddo”, perché è uno scrittore, la vita emotiva si risolve nell’osservazione degli altri e di sé, di sé e degli altri.
Cechov si è descritto, in parte, secondo me, nel personaggio di Trigòrin (Il gabbiano, 1895) che si fa amare da Nina, ma poi, incurante del destino della ragazza, riprende la sua relazione con Irìna Arkàdina.
Trigòrin è ossessionato unicamente dal bisogno di scrivere, di annotare tutto ciò che vede, per utilizzarlo nella scrittura.

BORÌS ALEKSÈEVIČ TRIGÒRIN (da Il gabbiano):
«Ci sono delle idee ossessionanti, quando un uomo, per esempio, pensa giorno e notte alla luna; anch’io ho una mia luna di quel tipo. Giorno e notte mi tormenta un solo pensiero importuno: devo scrivere, devo scrivere, devo …
Non faccio a tempo a finire una novella che già, chissà perché, ne devo scrivere un’altra, poi una terza, e dopo la terza una quarta …
Scrivo ininterrottamente, come quando si cambiano i cavalli alle stazioni di posta, non so fare altrimenti. Cosa c’è in tutto questo di meraviglioso e luminoso, io vi domando? Oh, che vita selvaggia!
Ecco sono qui con voi, mi agito, e intanto penso in ogni istante che mi aspetta una novella incompiuta. Vedo una nuvola simile a un pianoforte. Penso: bisogna che in qualche racconto rammenti che fluttuava una nuvola simile a un pianoforte. C’è odore di eliotropio. Subito mi imprimo nella mente: odore dolciastro, colore vedovile, rammentarsene nella descrizione d’una sera estiva. Colgo ogni singola frase che voi e io pronunciamo, ogni singola parola e mi affretto a racchiudere queste frasi e parole nel mio scrigno letterario: potrebbero tornare utili! Quando finisco un lavoro, corro a teatro o a pescare; mi potrei riposare, potrei dimenticare, ma no, in testa già rotola una pesante palla di ghisa, un nuovo soggetto che mi trascina al tavolino, e di nuovo bisogna precipitarsi a scrivere, scrivere. E così sempre, sempre, e non ho pace da me stesso, e sento che sto divorando la mia stessa vita, e per il miele che do a qualcuno nello spazio, rubo il polline ai migliori fiori, li strappo e ne calpesto le radici.»

Dopo la morte per tubercolosi del fratello pittore, sulla spinta di quella sofferenza, Anton fece un viaggio avventuroso fino all’isola di Sachalin, sulla costa orientale della Russia, dov’erano deportati i condannati per reati comuni e politici e le loro famiglie. L’aveva promesso al fratello.
Interrogò i reclusi, tra i quali molti bambini, sottoposti a ogni tipo di violenze.
Al ritorno dal viaggio pubblicò un resoconto dettagliato di ciò che aveva visto, destando scalpore nell’opinione pubblica russa, nella classe che leggeva, la classe agiata, che ignorava, o fingeva di ignorare, la drammaticità della situazione, indegna di un paese civile.

Nel film è presente un piccolo gioiello: la “cazziata” (rimprovero), che si trasforma in lezione, agli attori che interpretano Il gabbiano.
Nella prima rappresentazione, l’anno dopo la pubblicazione (1895), l’opera teatrale non fu compresa dagli attori e, conseguentemente, dal pubblico. Fu un clamoroso insuccesso.
Nella lezione, ricavata, evidentemente, dai suoi testi, Cechov spiega gli errori di interpretazione e alcuni principi cardine del teatro moderno; se fossero insegnati agli attori attuali, eviteremmo l’abbondanza di enfasi in cui alcuni film affogano.
Sorprende, nelle opere teatrali di Cechov, la modernità. Tolto qualche dettaglio, potrebbero essere state scritte da un autore contemporaneo a noi, non a lui. Teatro della parola: si leggono volentieri, come fossero racconti o romanzi brevi.
In seguito Il gabbiano fu ripresa con grande successo dalla compagnia di Stanislavskij e fu seguita da Zio Vanja, Tre sorelle, Il giardino dei ciliegi.

Se si ha un dubbio sulla universalità dell’opera di Cechov, caratteristica di ogni capolavoro, basta vedere come Zio Vanja è stata utilizzata in un grande film giapponese del 2021/22, pluripremiato agli Oscar e al festival di Cannes: Drive my car del regista Ryusuke Hamaguchi (commento su questo sito).