20 gennaio 2023 h 17.30
Cinema Spazio Uno Firenze – via del Sole, 10

Amicizia (scoperta, coltivata o tradita)
// Casablanca (Rick e Sam, Rick e Louis) // Bassifondi // Animal House // La quattordicesima domenica del tempo ordinario // La Primavera della mia vita (Colapesce e Dimartino) // Gli spiriti dell’isola (fine di un’amicizia) // Close (l’amico del cuore) // Nostalgia (gli amici si ammazzano, non si dimenticano) // Cry Macho (tra un vecchio e un ragazzo) // Mi chiamo Mattia (racconto) // Lontano Lontano (amicizia tra anziani) // 1917 (amicizia sotto le armi) // Stan & Ollie (amicizia tra artisti) // Copia originale [Can you ever forgive me?] (tra due tipi eccentrici) // Green Book (tra un italoamericano e un afroamericano) // Il mio Capolavoro (tra pittore e gallerista) // Moschettieri del Re (amicizia mitica) // Lazzaro felice (tra emarginati) // The Shape of Water [La forma dell’acqua] (tra individui “diversi”) //

Scuola
// La sala professori // Next Sohee // Educazione fisica // Close //

I giovani
// Sick of Myself // Io Capitano // Animal House // Next Sohee // Close // Chiara // Penguin Highway // 1917 // Jojo Rabbit // Un giorno di pioggia a New York // La paranza dei bambini // Roma // Mirai // La terra dell’abbastanza // Lady Bird // Alla ricerca di Van Gogh //

Povero Léo! Povero ragazzo!
Léo e Rémi erano cresciuti insieme: famiglie amiche, dormivano in due lettini appaiati, a casa di Léo o a casa di Rémi; si svegliavano insieme, facevano colazione, giocavano, si rincorrevano.
Rémi era più delicato. Figlio unico, per lui Léo era il fratello che si ama senza essere in competizione, il fratello maggiore – nonostante avessero la stessa età – a cui si lascia volentieri l’iniziativa, per carattere, per affetto. Sembrava allegro Rémi, apriva facilmente il volto a un sorriso, a una risata, ma poteva rabbuiarsi per un nonnulla, se si sentiva trascurato, se qualcosa andava storto. Quando questo accadeva non rivelava il suo cruccio, neanche ai genitori, neanche all’amico. Lo teneva per sé e somatizzava la sofferenza: «Non ho fame. Ho mal di pancia».
Era molto sensibile Rémi. Amava la musica, studiava e suonava l’oboe con buoni risultati.

Léo è cresciuto in mezzo ai campi: la sua famiglia coltiva e vende fiori all’ingrosso.
Ha imparato molto presto a dare una mano nei lavori: il fratello maggiore, che studia svogliatamente e ama il lavoro in azienda, gli ha insegnato come fare. Léo vive tra i fiori.
I due amici sono abituati, da sempre, a dormire a casa dell’uno o dell’altro, in due lettini appaiati. A volte, se uno dei due non riesce a dormire, si sposta nel lettino dell’amico: «Stai dormendo?» – «Ora non più» – «Mi è venuta in mente una favola. La vuoi sentire? – «Sì». Léo racconta una favola che ha inventato, interrotto dalla voce sonnacchiosa di Rémi che chiede spiegazioni. Gli occhi di Rémi si chiudono; Léo rimane un poco a guardarlo, poi si addormenta anche lui.

Corse nei campi, lotte per finta. Quando sono stanchi si stendono sull’erba a riposare; Rémi appoggia la nuca sulla pancia di Léo, come fosse un cuscino, o viceversa.
Tornano da scuola in bicicletta. In vista della casa dell’uno o dell’altro, secondo come hanno deciso, fanno a chi arriva prima. Le famiglie sono amiche, basta una telefonata: «resto a merenda da Rémi», «resto a cena da Léo», «domani andiamo insieme a scuola».
I genitori sono tranquilli.

Léo e Rémi sono amici per la pelle, come si diceva una volta, sono I ragazzi della via Paal (A Pál utcai fiúk, 1907) dello scrittore ungherese Ferenc Mólnar. La loro banda è ancora più piccola (solo due ragazzi), ma certamente Léo è Giovanni (Janos) Boka, il ”capitano”; Rémi è Nemecsek, il soldatino che si tuffa nella vasca dei pesci rossi, nel giardino botanico, per nascondersi, prende la polmonite e muore, fedele ai compagni, all’amicizia, alla bandiera che “gli altri” hanno portato via dal loro “territorio”: un campetto circondato da case popolari nella periferia (ai primi del ‘900) di Budapest.
“Gli altri”: l’altra banda di ragazzi, il resto del mondo, il tempo che scorre e cambia la vecchia via, la necessità di crescere, a cui, alla fine, Boka si arrende. Nemecsek non fa in tempo ad arrendersi e lascia, al suo posto, rimpianti e sensi di colpa.

I due ragazzi entrano nei dodici anni, finiscono la Scuola Primaria (che in Belgio dura sei anni), si iscrivono alla Scuola Secondaria; stessa provenienza, stessa classe: sono compagni di banco.
Léo è più socievole di Rémi, fa subito amicizia con i nuovi compagni. Nella pausa delle dieci – le lezioni si svolgono dalle 8.00 alle 15.30, con interruzione per pausa e pranzo – gioca con gli altri: si passano la palla, si siedono a chiacchierare, si fanno gli scherzi, ridono, sorvegliati a distanza dai professori.
I compagni notano questa grande amicizia e una ragazzina, in una pausa, domanda: «Voi due siete una coppia?».
Leo si inalbera: «No. Siamo amici e basta, come te e la tua amica, nient’altro».
«Ho visto come vi guardate» ribatte la ragazzina, «Avete un rapporto speciale? Non ci sarebbe nulla di male».
«Siamo amici e basta» insiste Léo, a cui questa discussione ha dato molto fastidio.

Naturalmente riporto la trama e le parole dei personaggi attraverso il filtro della mia memoria e della ricostruzione che ogni spettatore esegue di ciò che vede sullo schermo. Ci sono sempre tanti film quanti spettatori l’hanno visto, soprattutto in sala (al computer o sul televisore smart c’è la possibilità di mettere in pausa, tornare indietro, controllare).
A me sembra che il regista non accentui il discorso bullismo, la presa in giro per le supposizioni più o meno malevoli degli altri ragazzi; tutto sommato nulla di grave accade e Léo è in grado di difendersi e di farsi accettare dai compagni.

Siccome siamo in un film e non possiamo fare domande ai personaggi, ogni spettatore è autorizzato a fare le sue ipotesi. Nessuno, neanche il regista può dire quale sia l’ipotesi giusta. Una volta uscito, il film, il romanzo o qualunque opera d’arte, non ha più un solo significato (se mai l’ha avuto). Quanto più è un’opera d’arte, tanto più comunica a ciascuno verità diverse che sono in relazione con la propria vita. Un documentario, una lista delle spese hanno un solo significato (per quanto … anche lì … si potrebbe discutere).
La mia ipotesi è che Léo abbia un altro timore prevalente, non la paura di essere isolato o malvisto. La battuta della ragazzina lo ha indotto a riflettere su una possibile evoluzione del suo rapporto con l’amico, a cui non aveva pensato prima, una evoluzione che non gli piacerebbe.
Forse Rémi è in una fase dello sviluppo sessuale ancora infantile e non capisce, come Léo, che l’amicizia tra due bambini deve cambiare quando crescono. Questo discorso vale per gli adolescenti e per le adolescenti, in tutte le combinazioni possibili. Man mano che si cresce tende a prevalere la componente sessuale, presente anche nei bambini, ma in forme diverse. Due bambini, dello stesso sesso o di sesso diverso, possono dormire insieme nello stesso lettino; due adolescenti farebbero bene a evitarlo. Nel corso della notte tante cose potrebbero accadere che sarebbe bene non accadessero sotto la spinta di ormoni e circostanze ma come risultato di una scelta.

Forse per il timore di essere isolato, forse perché avverte l’esigenza di modificare il rapporto con l’amico, Léo cerca di evitare gli scambi affettuosi con Rémi.
Rémi non si è accorto di nulla, continua con gli atteggiamenti di prima, che ora danno fastidio a Léo. Lo respinge, prima con delicatezza, poi in modo più deciso.
Il problema è che i due ragazzi non sono abituati a parlare di sé: Léo non dà spiegazioni, Rémi si rabbuia e somatizza. In generale nelle famiglie, nelle scuole, si insegna poco a raccontare di sé, di ciò che si prova, di ciò che si vive. Un diario ha salvato molti adolescenti (almeno uno: esperienza personale).

Léo si iscrive a un corso di hockey su ghiaccio, uno sport faticoso, che comporta il rischio di farsi male (giocano tutti bardati e protetti dalla testa ai piedi e spesso cadono sul ghiaccio rischiando fratture). Léo frequenta i compagni della squadra di hockey e riduce le occasioni di incontro con Rémi.

Rémi non capisce il motivo di questo cambiamento; rimane molto male, soprattutto quando Léo torna a casa, dopo la scuola, senza aspettarlo o quando capisce che Léo non ha piacere se anche lui si iscrive al corso di hockey. Lo farebbe solo per stargli di nuovo vicino. Léo non gradisce.
Rémi vive il distacco voluto da Léo come un tradimento; peggio: come l’abbandono immotivato dell’amico, e lo aggredisce piangendo.

Un brutto giorno la classe va in gita, ma Rémi è assente.
Al ritorno dalla gita, nel pullman, Léo è in ansia e vede i professori parlare in modo concitato al telefono.
Il pullman arriva davanti alla scuola. Prima di scendere i ragazzi vedono i genitori che li aspettano. «Dobbiamo aver fatto qualcosa di grosso» dice uno di loro.
Léo ha un presentimento: non vorrebbe scendere dal pullman; rimane da solo. Sale la madre e gli dà la brutta notizia: Rémi non c’è più.

Inizia per Léo il calvario del senso di colpa; il ragazzo cerca di affrontarlo in diversi modi ma trova uno sbocco solo quando, alla fine, riesce a comunicare alla madre di Rémi il pensiero che lo angoscia: «È stata colpa mia. L’ho respinto».

C’è una sequenza finale che non si può descrivere: bisogna vederla. È perfetta dal punto di vista cinematografico. È grande la bravura, la “cattiveria” del regista, che ci tiene sospesi a soffrire con Léo, non ci dà tregua, fino alla scena finale. Perfetta padronanza del mezzo.
Chi ama il cinema non si faccia sfuggire questo film, eventualmente in streaming.
Purtroppo dovrò scaricarlo anch’io, perché, per un ritardo del treno, le primissime scene mi sono sfuggite. Odio perdere l’inizio di un film, soprattutto se si tratta di un grande film.

Il dolore causato dai sensi di colpa, dopo la morte di una persona a cui vogliamo bene, è una delle più grandi sofferenze e ciascuno di noi può trovare, tra i suoi ricordi, questo dolore. La morte giunge sempre troppo presto e rende irrimediabili le nostre disattenzioni. Nel racconto del film giunge veramente troppo presto e in modo innaturale. Non rientra nel disegno della natura, se ce n’è uno, che un bambino voglia morire.

I film, i romanzi e le favole per i bambini servono, tra le altre cose, perché ci costringono – se sono fatti bene, con “cattiveria” – a riprovare, a ritrovare nella nostra carne, dolori, paure, gioie, rimorsi, amore, odio, rabbia, serenità, e tutto il resto. Dunque scaricherò il film: venga di nuovo la compassione per Léo, che è compassione per me stesso, perché so benissimo che Léo non esiste.

Non vorrei usare la parola che a volte si spreca: capolavoro.
È miracolosa la bravura dei due ragazzi, Eden Dambrine (Léo) e Gustave De Waele (Rémi), di cui sentiremo ancora parlare.
È miracolosa la bravura di Émilie Dequenne, che interpreta la madre di Rémi; è miracolosa la sensibilità del regista Lukas Dhont.

Non ho voluto usare “capolavoro”, ho usato una parola ancora più esagerata: “miracolo”.
Questo film ci ha emozionati; credo di poter parlare a nome di tutti gli spettatori riuniti nel cinema Spazio Uno, in via del Sole a Firenze, nel pomeriggio di venerdì 20 gennaio: una giornata rigida, tipicamente invernale.