15 marzo 2024 h 16.40
Cinema Adriano Firenze – via Giandomenico Romagnosi, 46
Politica, temi sociali, visioni del mondo
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Paolo Virzì ha al suo attivo alcuni film importanti. Da un po’ di tempo non ne azzecca uno.
Chi rivedrebbe volentieri Siccità (2022)?
Come suggerisce il titolo (non hanno fatto un grande sforzo), Roma è sconvolta dalla siccità. Da tre anni. L’acqua è portata con le autobotti; la migliore, la più fresca e frizzante, arriva dalla Valtellina. Dunque l’acqua fuori Roma c’è. Non si capisce come mai il cambiamento climatico si sia concentrato su Roma. I giornalisti televisivi fanno servizi sui ritrovamenti archeologici nel letto asciutto del Tevere; viene intervistato l’esperto che si lascia influenzare dai parrucchieri televisivi e affascinare dalla diva. In quella situazione drammatica c’è la diva, come negli anni della dolce vita! Come se la vita scorresse normalmente, a parte che le dive non ci sono più da tempo.
Nonostante la terribile siccità, tutto funziona come prima: la gente si è abituata ai rubinetti a secco, alle blatte che scappano da tutte le parti non appena si accende la luce.
È credibile? No, non è credibile. Se si verificasse un disastro climatico così grave e di lunga durata, 1) non si fermerebbe al raccordo anulare, 2) la vita sarebbe completamente militarizzata. La democrazia non resisterebbe: vedremmo i carri armati girare nelle città. Tevere a secco, gli altri fiumi a secco, siccità diffusa: mancanza di acqua e di cibo, moltiplicazione delle infezioni, probabili epidemie. Possibile che, con questi pericoli, la televisione trasmetta servizi sui ritrovamenti archeologici?
All’inizio del film La pazza gioia (2016) la donna affetta da disturbi mentali, ricoverata in una comunità terapeutica, entra nell’ufficio e sfoglia la cartella clinica di un’altra ricoverata. Poi si finge dottoressa. Per cinque minuti nessuno se ne accorge, nessuno la ferma.
Questo incipit fa venire la voglia di alzarsi e uscire dalla sala. Volendo si può riempire un film di assurdità, ma bisogna saperle inserire. Lo spettatore deve essere indotto a mettere in pausa il senso critico e il confronto con la realtà. Lo fa se il film lo cattura. Altrimenti ha la sensazione di essere trattato da scemo o gli viene il dubbio: vuoi vedere che gli scemi sono il regista e gli sceneggiatori?
Assurdità buttate lì, senza badare alla verosimiglianza e senza creare prima le condizioni perché lo spettatore sia conquistato da ciò che accade sullo schermo.
In Ella & John (2018) vediamo i due protagonisti girare per le stanze di un ricovero per anziani. John ha un fucile nascosto nei pantaloni. Nessuno se ne accorge, nessuno li ferma. Aprono una porta, trovano il primo fidanzato di Ella, un vecchio di colore su una sedia a rotelle, che non la riconosce e alla domanda, fondamentale per John, «porti i boxer o le mutande?» risponde «ho il pannolone» (forse gli sceneggiatori si aspettano che a questa battuta ridiamo).
I due anziani in fuga rischiano di provocare disastri, usano il cellulare ma la polizia o il Chi l’ha visto americano (ce ne sarà uno!) non riesce a localizzarli.
Tralascio Notti magiche (2018), che richiede un commento esteso (sul mio sito).
Virzì ha fatto bei film, ma per trovarli bisogna andare indietro nel tempo.
Ferie d’agosto (1996) uscì nel momento giusto: coglieva un cambiamento epocale. Eravamo all’inizio di una serie di sconfitte dei progressisti nelle urne alternate a scarse vittorie («non abbiamo vinto né perso») ma, soprattutto, nell’immaginario collettivo. Il film coglieva il momento e godeva dell’apporto di due grandi attori, purtroppo nel frattempo deceduti: Ennio Fantastichini e Piero Natoli.
Un altro ferragosto vuole essere la ripresa e continuazione di Ferie d’agosto ai giorni nostri.
Il modello è Le invasioni barbariche (Denys Arcand, 2003), sequel di Il declino dell’Impero Americano, quindici anni dopo con gli stessi attori.
Nel film di Virzì c’è una situazione analoga, ma è passato più tempo dal primo film. C’è anche lo stesso rapporto padre figlio: il padre umanista progressista, deluso dal figlio che ha preferito fare i soldi con la finanza (o con le applicazioni su internet). Il parallelo finisce qui, anche perché siamo su livelli diversi: i personaggi di Virzì sono superficiali al punto di essere stereotipi (il padre) o inesistenti (il figlio).
C’è differenza tra un capolavoro che ha segnato anche il linguaggio e una raccolta di squallidi episodi di cui non resterà il ricordo (almeno il mio personale). Rivedo sempre volentieri, in televisione (DVD) o al cinema, Le invasioni barbariche, nonostante il secondo sequel, La caduta dell’Impero Americano (2018), mi abbia deluso. Non credo che qualcuno avrà piacere a rivedere Un altro ferragosto.
Non è più il tempo della risata amara sulla società italiana: la risata non fa ridere, rimane solo lo squallore.
Tra l’altro non ci sono più gli attori capaci di essere irriconoscibili anche dai propri familiari più stretti passando da un film all’altro; non ci sono o Virzì non li sceglie. Christian De Sica, tanto per cambiare, imita il padre (ma forse non lo imita: è la brutta copia di Vittorio De Sica); la Ferilli vuole fare la Magnani con le guance tirate, senza le rughe di cui la Magnani era orgogliosa; Laura Morante sospira e fa … come Perry Como (… sospira e fa: I love you, I love you); i caratteristi rifanno il carattere senza avere la finezza di Tina Pica, che lo rinnovava in ogni interpretazione: la governante del maresciallo in Pane, amore e fantasia è diversa dalla nonna del seminarista innamorato di Sophia Loren (Ieri, oggi, domani) ed è diversa da Nonna Sabella (Dino Risi, Pasquale Festa Campanile). È sempre una vecchia con la voce e i modi tipici, ma ogni volta è un personaggio diverso.
Naturalmente anche in Un altro ferragosto abbondano le assurdità. Il povero Sandro è un malato grave portato a delirare su un’isola, privo di assistenza; uscendo dal cinema, dopo avere visto questo film, ho avuto la sensazione di avere visitato un obitorio in cui un moribondo è stato dimenticato tra tanti morti in avanzato stato di decomposizione. Un film horror che non fa paura ma solo deprime.