16 marzo 2022 h 17.00
Cinema Adriano Firenze – via Giandomenico Romagnosi, 46

Politica, temi sociali, visioni del mondo
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Mi sembra che il punto di vista di Catherine Corsini sia questo: nei giorni in cui i gilet gialli manifestavano contro l’aumento del prezzo della benzina, la fetta di mondo costituita da un ospedale parigino e dintorni era divisa in due parti: da una parte la ragione, dall’altra il torto.

Chi sono i gilet gialli?
Il fenomeno è nato alla fine del 2018.
Protestavano contro: 1) l’aumento delle accise per la benzina, 2) l’abbassamento del limite di velocità sulle strade statali da 90 a 80 chilometri orari, 3) l’aumento dei pedaggi autostradali, 4) l’incremento del numero dei congegni che servono a rilevare le infrazioni e a multare gli automobilisti indisciplinati.
Chiedevano l’annullamento di misure finalizzate alla decarbonizzazione.
Naturalmente la protesta trovò l’appoggio di Marine Le Pen, di Jean-Luc Mélenchon e di quelli che si collocano più a destra della prima e più a sinistra del secondo. Destra estrema e sinistra estrema si incontrano in nome del populismo.
Populismo: conciliare Greta e le automobili inquinanti; lamentarsi dell’inquinamento e contemporaneamente del prezzo della benzina. Sento l’obiezione: «Si vede che tu la puoi pagare!».
«È vero, entro certi limiti, la posso pagare, non faccio il camionista e mangio molto di più di un bambino africano medio». Chi fa questa obiezione suppongo che stia per partire per l’Africa, magari su un camion carico di viveri, per condividere il destino dei bambini che mangiano solo un pugno di riso al giorno.
Da noi, che siamo quasi tutti privilegiati (chi più, chi meno, rispetto agli africani) ci si siede intorno a un tavolo e si mettono a confronto esigenze diverse: le esigenze del commesso viaggiatore che lavora con l’automobile, le esigenze del turista che vuole fare un giro alla scoperta degli antichi borghi, le esigenze del bambino che non deve respirare veleni quando va a scuola, le esigenze del pianeta che ci riguardano un po’ tutti.
Dopo alcuni tentennamenti, Macron venne incontro alle richieste dei veri proletari che si erano uniti alle proteste (ci sono anche i proletari finti, come ci sono gli ambientalisti finti che parlano da uno studio televisivo, in maniche di camicia in pieno inverno).
Le proteste (complice anche la pandemia) si esaurirono.
Forse se il presidente francese si fosse mosso in tempo per trovare un punto d’incontro tra esigenze diverse, il fenomeno si sarebbe esaurito prima.
In Francia il movimento era stato fieramente avverso a Macron; il ramo italiano appoggiò il governo più populista e parolaio della storia della repubblica (lega, cinque stelle), finendo nel baratro con l’affaire Papeete.
Di Maio, in seguito, definì “leggerezza” l’incontro con i rappresentanti dei gilets jaunes mentre era ministro. Come si può dargli torto!
Alle elezioni europee si presentò una Alliance Jaune con un programma che conteneva di tutto e di più da realizzare subito senza spiegare come. L’Alliance ottenne percentuali da prefisso telefonico.
Tutti i movimenti populisti esplodono in un attimo e spariscono l’attimo dopo (in Italia ci stanno mettendo un po’ di più per sparire, ma la strada è segnata).
Fine della storia dei gilet gialli, per ora.

Torniamo al film.
Il personaggio interpretato da Valeria Bruni Tedeschi è insopportabile: una persona adulta che si comporta come una bambina di cinque anni senza concedere e concedersi un attimo di sosta.
Qualcuno in sala la trovava divertente (risate e commenti captati), per me quel personaggio è insopportabile.
L’altro protagonista è un camionista che voleva “solo parlare con Macron” e per “parlare con Macron” – magari raggiungendolo attraverso le fogne, come dice, rivelando una condizione di dubbia lucidità – si è trovato in un doppio guaio: una ferita alla gamba da curare in un ospedale da quarto mondo e la certezza di perdere il lavoro.
Per non perdere il lavoro fa un altro guaio, con il quale il film si conclude.

Tutti i personaggi – medici, infermieri, pazienti, accompagnatori dei pazienti, gilet gialli inseguiti dalla polizia, poliziotti che inseguono i gilet gialli – sono in preda a una crisi di nervi e ne hanno ben donde.
Per tutta la durata del film non si salva una, neanche una sola delle regole che si applicano in un pronto soccorso e lo rendono un po’ diverso da un locale nei quartieri della movida. Ognuno fa quello che gli pare, dopo avere dato in escandescenze.
Chi ha la responsabilità di far rispettare le regole (un ospedale dovrebbe servire almeno a non diffondere le malattie) ci sta molto attento, perché è il primo a passare seri guai se succedono disastri. Nel film un disastro succede.

Non credo che un’infermiera, minacciata con un paio di forbici, che ha corso il pericolo di essere trafitta al collo (c’è mancato poco), poi continui a fare il suo lavoro nelle stesse condizioni, come se niente fosse accaduto, per giunta avendo una bambina ricoverata in ospedale. Incredibile.
Pare che in Francia non solo alcuni ospedali in certi momenti siano da quarto mondo, ma anche la giustizia, dal momento che dopo l’episodio drammatico nessun magistrato interviene e un poliziotto si limita a chiedere alla vittima: «desidera sporgere denuncia?».
Probabilmente la regista voleva mostrare la bontà dell’infermiera, che non sporge denuncia, ma in un paese civile (non nel paese descritto in questo film) la magistratura interviene indipendentemente dalla denuncia di parte per stabilire le responsabilità dell’aggressore, eventualmente non in grado di intendere e di volere, le responsabilità dell’ospedale, degli inesistenti agenti di guardia che dovrebbero essere presenti in un pronto soccorso, come accade in ogni paese civile.
Ma qui siamo nella Francia vista da Catherine Corsini, ed è legittimo un dubbio: sarà la Francia vera?
Tanto più che nel film c’è un evidente accumulo di coincidenze e un elemento che accomuna i personaggi: sono tutti, proprio tutti (tranne la signora defunta e la bambina ricoverata) sull’orlo di un esaurimento nervoso.

Sull’orlo!? Tutti i personaggi, tranne i due citati, sono da ricovero nel reparto psichiatrico di un ospedale, se nella Francia descritta da Catherine Corsini esistesse un’istituzione chiamata ospedale, divisa in sezioni chiamate reparti, delle quali una finalizzata a curare (obiettivo minimo: a non diffondere) le malattie dovute al disagio psichico causato da una manifestazione (una delle tante) avvenuta nel centro di una capitale europea (una delle tante), promossa da un movimento populista, i gilet gialli (uno dei tanti), scomparso da parecchio all’onore delle cronache (come i no vax, i no green pass, e, tra un po’, i “néné”: “né con Putin né con la Nato”).

La foto in testa al commento mostra il cinema Adriano, in via Angelo Tavanti, a Firenze.
Non è una via particolare: non si vedono turisti, monumenti. Potrebbe trovarsi in qualunque città.
Un baretto vicino al cinema, dove prendere un caffè, un parco dove si vedono soprattutto anziani che si fanno portare a passeggio dal cane, le macchine in sosta, il tram; in fondo un grande edificio: finestre, terrazze che in primavera si animano, ora, col freddo, sono chiuse, gli appartamenti sembrano disabitati.
Uscendo dal cinema si può prendere il tram per raggiungere, con un bel giro panoramico, piazza Santa Maria Novella, o si possono fare due passi facendosi guidare dai binari del tram fino a piazza Dalmazia, da cui in pochi minuti si raggiunge la stazione FS Rifredi.
C’est tout.