3 luglio 2023 h 17.00
Cinema Odeon Pisa – piazza San Paolo all’Orto
Temi
Politica, temi sociali, visioni del mondo
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“Verrà la morte e avrà i tuoi occhi“
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“Silent land”, regia di Aga Woszczynska. La coppia di turisti polacchi, Anna e Adam, è perfetta, per quanto perfetti possano essere gli appartenenti alla specie homo sapiens, una specie che ha basato sull’imperfezione e sulla variabilità il suo ragguardevole successo evolutivo.
I due sono biondi, alti, magri, belli, sportivi, pieni di salute e guardano i comuni mortali dall’alto in basso.
Quando Anna viene trascinata in un ballo popolare in un paesino sardo – un ballo consistente nel prendersi per mano in circolo e oscillare avanti e indietro insieme a un gruppo di abitanti del paesino che sembrano divertirsi – Anna non si diverte, guarda quella gente con disgusto, quasi con paura.
Il suo disagio è dovuto anche a un altro motivo: in quel momento Anna e Adam hanno scoperto che l’animo umano non può fare a meno della responsabilità nei confronti degli altri.
L’hanno scoperto drammaticamente in quanto, isolandosi nel loro bastare a se stessi, sono stati indotti a compiere un gesto irresponsabile nei confronti di un immigrato.
Anna e Adam, oltre a essere biondi eccetera, sono ricchi.
Come molti ricchi hanno deciso di godere della bellezza di un posto incantato, la costa sarda, ignorando completamente i comuni mortali che vivono in Sardegna, mantenendo contatti solo con chi è al loro servizio: il proprietario della villa, i camerieri del ristorante, persino i carabinieri che indagano sulla morte di un povero immigrato che lavorava nella villa, chiamato dal proprietario a mettere in funzione la piscina.
L’operaio è caduto nella piscina, ha battuto la testa, ha perso i sensi ed è rimasto sul fondo mentre la piscina si riempiva di acqua. Sarebbe bastato scomodarsi un poco per sollevarlo dal fondo e salvarlo. L’autopsia ha stabilito che la caduta ha causato solo lo svenimento: la morte è avvenuta per annegamento.
Adam e Anna erano presenti, hanno visto l’operaio cadere, hanno deciso che non era affare loro. Qual è stato il pensiero? Non so se è morto o solo svenuto; non m’importa saperlo. Non parlo in italiano, non posso chiamare i soccorsi, non mi muovo: chiamo il proprietario che deve risolvere il problema.
Intanto l’acqua continuava a fluire nella piscina fino a riempirla. I due hanno aspettato che il proprietario chiamasse i soccorsi, che l’ambulanza arrivasse. L’operaio immigrato è annegato.
Anche tra i ricchi ci sono differenze.
Ci sono i grandi ricchi – quelli che lasciano patrimoni miliardari ai figli – e i ricchi normali.
È come per i miracoli secondo Ricomincio da tre (Massimo Troisi): ci sono i miracoli che uno dice, alzando le braccia al cielo, «Miracolo! Miracolo!» e i miracoli normali.
Alcuni grandi ricchi di diverse nazionalità, anche italiani, quando vanno a godersi le bellezze della Sardegna si isolano dentro yacht lussuosi; altri si costruiscono ville favolose alla faccia di ogni regola di rispetto dell’ambiente. Ogni scusa è buona per distruggere e cementificare perché i grandi ricchi si considerano proprietari dell’ambiente e ritengono di poterne fare ciò che vogliono. Si racconta di un grande ricco, il più grande di tutti, che volle farsi costruire un gioco che simulava una eruzione vulcanica, per intrattenere le amiche e gli amici nel corso di “cene eleganti”. Ma dev’essere una favola. Non credo che un grande ricco possa essere stato tanto … (al posto dei puntini qualunque parolaccia) da buttare soldi per realizzare un giochino.
Anna e Adam sono ricchi normali. Hanno preso in affitto una villetta che il proprietario, un ristoratore, non usa più e utilizza per accumulare altri soldi (è una malattia, non si stancano mai di accumulare).
Nella villa le veneziane alle finestre sono rumorose, il ventilatore non funziona, l’apertura e chiusura automatica del cancello va a scatti, ma, soprattutto: la piscina è vuota, sporca, abbandonata.
C’è un mare meraviglioso a pochi passi, ma i due hanno preso in affitto una villa con piscina. La piscina deve esserci.
Il proprietario cerca di resistere: vi do uno sconto, vi do pasti gratis nel mio ristorante.
Niente da fare: nel contratto è scritto che c’è una piscina a disposizione e piscina dev’essere.
Il turista ha sempre ragione, anche quando chiede di sprecare l’acqua in un’isola assetata: il proprietario della villa, un cialtrone, garantisce che la piscina sarà in funzione in due giorni.
Così arriva a lavorare l’immigrato.
I due lo guardano come quelli che non si occupano di entomologia guardano gli insetti o come Anna guarda gli abitanti del paese che l’hanno coinvolta in un ballo popolare.
L’episodio del ballo è successivo all’arrivo dell’operaio, alla sua caduta, al suo annegamento; si colloca in un momento in cui i due hanno cominciato a capire che l’homo sapiens, se si comporta da irresponsabile nei confronti dei propri simili, anche se non dotati di pelle chiara e conto in banca, soffre di sensi di colpa che non si possono eliminare ballando senza freni in una discoteca o ubriacandosi.
Il mistero della morte, allontanato dalla coscienza, riappare nei sogni, atterrisce, tiene desto il rimorso.
Questa è la storia, esilissima, raccontata in Silent Land, un film che mantiene l’attenzione degli spettatori (in sala eravamo in tre) dall’inizio alla fine, nonostante i lunghi silenzi, l’andamento lento e le lingue sottotitolate (polacco, francese e inglese maccheronico del carabiniere).
Alla fine ho chiesto alle due spettatrici che hanno condiviso la visione: voi avete capito la conclusione del film?
Per spiegare come la conclusione sia inaspettata, la racconto.
Avviso: chi non ama la rivelazione di “come va a finire” si fermi nella lettura.
Dopo avere assistito alla devastazione della coppia – prodotta dalla paura che gli imbranati investigatori italiani scoprano il mancato soccorso di cui si è resa responsabile e dal senso di colpa – vediamo Adam e Ann seduti a tavola, impegnati nella cena. Sullo schermo una delle inquadrature perfette del film: la tavola apparecchiata in primo piano, Anna seduta a sinistra, Adam a destra.
Dal fondo appare l’immigrato morto. Con tutta naturalezza entra nella stanza, si siede al centro, di fronte, e partecipa anche lui alla cena.
Così finisce il film.
Secondo le amiche spettatrici, molto più intelligenti di me, questa conclusione vuole dire che i due non possono fare a meno dell’immigrato. Il morto sarà sempre presente nella loro vita.
Ma i due, ho obiettato, sembrano sereni, non sconvolti da questa presenza, dopo essere stati gravemente in crisi.
Risposta: sono sereni perché hanno, finalmente, accettato l’immigrato a tavola. Per estensione il significato sarebbe: l’Europa troverà la serenità e l’equilibrio solo quando accetterà di fare posto agli immigrati provenienti da altri mondi, a quelli che ce la fanno e a quelli che, purtroppo, annegano nel tentativo di raggiungere le nostre coste. Se saremo indifferenti e ci sentiremo irresponsabili del destino dei vivi e della sorte toccata ai morti, distruggeremo anche noi stessi.
Non so se questa sia l’interpretazione giusta, ma non ne ho altre. Per me il colpo di scena, la sorpresa che coglie lo spettatore quando si accorge di ciò che sta succedendo e lo spinge a riflettere è sufficiente per farmi dire: questo è cinema; è grande cinema.