19 marzo 2022 h 21.00
Cinema Arsenale Pisa – vicolo Scaramucci, 2

Neorealismo (vecchio e nuovo)
// Palazzina Laf // C’è ancora domani // Kafka a Teheran // Profeti // Gli orsi non esistono // Il male non esiste // Un eroe // Ladri di biciclette // Il vizio della speranza // Cosa dirà la gente

Religioni e/o superstizioni
// The Miracle Club // C’è ancora domani (il matrimonio cattolico) // Kafka a Teheran (Islam) // Rapito (Il Papa Re) // Benedetta (Cattolicesimo) // Holy Spider (Islam) // Profeti (Islam) // Chiara (Cattolicesimo) // Gli orsi non esistono (Islam) // Alla vita (Ebraismo ortodosso) // Il male non esiste (Islam) // Un eroe (Islam) // The Youngest (Ebraismo ortodosso) // Covered up (Ebraismo ortodosso) // Corpus Christi (Cattolicesimo) // Un divano a Tunisi (Islam e psicanalisi) // The dead don’t die (nel commento: fede e dubbio) // Mug Un’altra vita (Cattolicesimo polacco) // Il settimo sigillo (il silenzio di Dio) // L’apparizione (Cattolicesimo) // Cosa dirà la gente (Islam) // Io c’è (religione e denaro) // The Young Pope (Cattolicesimo) //

Violenti per caso o per scelta (gli horror e i thriller sono nel tema “suspense“)
// Killers of the Flower Moon (la violenza subita dai nativi americani) // Animali selvatici [R.M.N.] (la paura di essere invasi genera violenza) // Il potere del cane (violenza domestica nel Far West) // Il male non esiste (boia per caso) // Joker // La terra dell’abbastanza (ragazzi spinti da adulti) // Dogman (anche una pecora, se l’aggredisci, prima o poi si ribella) // Tre manifesti a Ebbing, Missouri //

Mariarosa Mancuso ha ragione: i film durano troppo [Il Foglio on line – 12 marzo 2022].
Lo scrive in una rubrica che si chiama POPCORN.
Il titolo della rubrica mi indispone riguardo al contenuto (odio gli sgranocchiatori seriali di popcorn), però non posso fare a meno di ammettere, insieme a Mariarosa Mancuso:

«I film sono sempre più lunghi, dice il nostro cuore di spettatori, cosicché interrompiamo la sospensione dell’incredulità per suggerire “qui c’era da fare un taglio, questa spiegazione è inutile”. Il cinema inteso come vita con le parti noiose tagliate via non attira più nessuno.
… … … … … … … … …
Diceva Billy Wilder: in una buona sceneggiatura, uno più uno fa tre. Sullo schermo vediamo una cosa, poi ne vediamo un’altra, e siamo noi a fare i collegamenti, questo non succede più.» [dall’articolo citato; il grassetto è nel testo originale].

Questo dice Mariarosa Mancuso.
Ha ragione.
Nei film attuali si vedono troppe spiegazioni, troppi passaggi intermedi quando ne basterebbe uno solo.
Vuoi mostrare, nel primo episodio, che un uomo apparentemente tranquillo, Heshmat, torna dal lavoro in macchina nell’ora di punta. Non farci vedere tutto, proprio tutto: il percorso, il traffico, le soste, la difficoltà a parcheggiare davanti alla banca mentre aspetta che la moglie ritiri lo stipendio, le manovre avanti e indietro, un automobilista suona il clacson, Heshmat sposta la macchina più avanti, un altro automobilista … basta! Abbiamo capito!

Non è necessaria questa immersione in tutti i particolari della giornata di un uomo qualunque, apparentemente tranquillo, dagli occhi di ghiaccio.
È inutile e stancante la moltiplicazione degli esempi, delle spiegazioni. Mostraci 1 e 3; il 2 lo mettiamo noi.

Heshmat va a casa, si lava, si cambia, si riposa un po’, corre in aiuto a una famigliola (una mamma e due bambini) che ha visto un gattino imprigionato sotto alla caldaia (arrivando aveva fatto finta di non vederlo). Si rimette in macchina per prendere la moglie insegnante; passano alla banca: traffico, difficoltà di parcheggio. Vanno davanti alla scuola della bambina. La bambina monta in macchina, chiede un gelato, vanno al supermercato, poi dalla mamma di Heshmat. La signora, anziana, è poco autonoma; l’aiutano nelle faccende domestiche. Cenano. Di nuovo in macchina per tornare a casa. La bambina si addormenta in braccio al padre, la portano a letto. Prima di piombare nel sonno, Heshmat mette la sveglia alle tre.
Suona la sveglia; l’uomo si alza, si lava, raggiunge in macchina un grande edificio, passa il controllo delle guardie, entra nel parcheggio interno. Si porta in un’ampia sala: un tavolo, lucette sulla parete di fronte e, accanto alle lucette, in alto, una stretta apertura rettangolare che dà su un altro ambiente.
Si organizza: mette a bollire l’acqua per il tè, si prepara la colazione.
Arriva il segnale: le lucette da rosse diventano verdi.
Heshmat si affaccia sull’apertura nella parete, controlla che tutto sia a posto, pigia un bottone.

Dall’altra parte dell’apertura la visione agghiacciante di cinque uomini impiccati. Premendo il bottone ha fatto aprire la botola.
Movimenti convulsi delle gambe e dei piedi (non vediamo i volti coperti con cappucci), i movimenti si arrestano, l’urina esce dalle vesciche rilassate, schermo nero; fine dell’episodio.

Heshmat, l’uomo dallo sguardo triste, è un boia. Questo è il suo lavoro, così passa il tempo dall’alba fino a metà giornata: controlla l’arrivo del segnale, controlla che tutto sia in ordine, pigia il bottone. Non sappiamo se tocca a lui spostare i corpi, ma questo è un dettaglio. Sul seguito il regista ha tagliato: il resto, orribile, ce l’immaginiamo noi.

La lunga descrizione della vita di Heshmat sarebbe potuta sfociare in qualunque cosa: un serial killer, un pazzo alla Lars von Trier.
L’uomo è un serial killer di stato, è un pazzo mimetizzato, nascosto sotto una maschera, come Jack, che costruiva la sua casa accumulando cadaveri (La casa di Jack – commento su questo sito).
Oppure avrebbe potuto essere l’uomo che in Doppia pelle, di Quentin Dupieux, uccide i possessori di giacche di pelle di daino perché ha deciso: l’unico possessore di una giacca di daino al 100% sono io, tutti gli altri devono morire.
Le invenzioni di due registi che amano l’assurdo hanno una corrispondenza nella realtà.
In Iran chi non condivide una religione al 100%, chi non persegue un ideale assoluto, dev’essere eliminato. Tutti devono condurre una vita ”normale” nella follia.

Fonte “Nessuno tocchi Caino”
“L’impiccagione è il metodo preferito con cui è applicata la Sharia in Iran. L’impiccagione in versione iraniana avviene di solito tramite delle gru o piattaforme più basse per assicurare una morte più lenta e dolorosa. Come cappio è usata una robusta corda oppure un filo d’acciaio che viene posto intorno al collo in modo da stringere la laringe provocando un forte dolore e prolungando il momento della morte. L’impiccagione è spesso combinata a pene supplementari come la fustigazione e l’amputazione degli arti prima dell’esecuzione.
… … … … … …
Delle 530 esecuzioni del 2016, 194 esecuzioni (36%) sono state riportate da fonti ufficiali iraniane (siti web della magistratura, televisione nazionale, agenzie di stampa e giornali statali); 336 casi (64%) inclusi nei dati del 2016 sono stati segnalati da fonti non ufficiali (organizzazioni non governative per i diritti umani o altre fonti interne iraniane). Il numero effettivo delle esecuzioni è probabilmente molto superiore ai dati forniti nel Rapporto di Nessuno tocchi Caino.“

Per alcuni “delitti” (considerati tali dai religiosi, notoriamente sessualmente perversi) c’è la lapidazione.

Fonte “Nessuno tocchi Caino”
“Nell’aprile 2013, il Consiglio dei Guardiani, il potente corpo di religiosi e giuristi islamici che controlla l’attività parlamentare e certifica che corrisponda alla legge della Sharia, ha reinserito la lapidazione in una precedente versione del nuovo codice penale nella quale era stata omessa come pena esplicita per l’adulterio. Il progetto di codice penale come modificato dai Guardiani identifica esplicitamente la lapidazione come una forma di punizione per le persone condannate per adulterio, la relazione sessuale di una persona sposata consumata fuori dal matrimonio. Ai sensi dell’articolo 132, comma 3, un uomo o una donna possono essere lapidati a morte per relazioni extraconiugali reiterate. Inoltre, in base all’articolo 225, se un tribunale e il capo della magistratura stabiliscono che in un caso particolare “non è possibile” effettuare la lapidazione, la persona può essere giustiziata con un altro metodo, sempre che le autorità abbiano dimostrato il reato in base a testimonianze oculari o alla confessione dell’imputato. L’articolo non spiega cosa si intenda per “casi in cui la lapidazione non è possibile”. Il nuovo codice prevede inoltre che i tribunali che condannano gli imputati di adulterio in base al libero “convincimento del giudice”, una formula notoriamente vaga e soggettiva che permette la condanna in assenza di prove concrete, possono imporre la punizione corporale di 100 frustate invece della lapidazione. La pena per le persone condannate per fornicazione, il sesso al di fuori del matrimonio di una persona non sposata, è di 100 frustate.” – Fonte “Nessuno tocchi Caino”.

In Iran vengono impiccati i responsabili di gravi delitti e gli oppositori del regime particolarmente tenaci.
Il numero elevato di esecuzioni ha reso necessario organizzare il lavoro e affidarlo a professionisti, ma anche ai militari di leva può essere richiesto di diventare carnefici.
In conseguenza (secondo episodio) un giovane che ha scelto di fare il servizio militare solo perché spera di ottenere il passaporto (senza è impossibile) e di scappare lontano da un paese governato da una banda di fanatici religiosi, si può trovare nella condizione di diventare a sua volta assassino.
Non può rifiutarsi, perché in questo caso il servizio militare sarebbe prolungato e l’ordine di fare il boia ripetuto all’infinito; ti rifiuti: altri due anni di servizio militare; ti rifiuti di nuovo: altri due anni, e così via.

L’individuo deve piegarsi ai dettami di una interpretazione arbitraria o letterale dei cosiddetti testi sacri: i fanatici religiosi hanno stabilito che cos’è il male, sanno dov’è il diavolo e vogliono estirparlo dalla società; tutti devono collaborare, anche facendosi boia.

Questo è il nocciolo del secondo episodio, l’unico dei quattro che, nel finale, fa vedere un po’ di luce nel buio, forse un sogno: la ribellione è possibile, si può imbracciare il fucile, rivolgerlo contro gli altri militari assuefatti all’obbedienza, scappare.
Riuscirà il povero soldato, con l’aiuto della sua ragazza, a liberarsi dall’oppressione?
Intanto si gode la fuga in macchina insieme a lei, per le strade montagnose dell’Iran, con la musica di “Bella ciao” cantata da Milva nella versione delle mondine (la prepotenza dei capi, l’invito a ribellarsi): emozionante sentire la nostra canzone in un film che racconta una storia appartenente a una cultura, per fortuna, così lontana dalla nostra. L’aspirazione alla libertà e alla leggerezza (quanto sono pesanti i fanatici religiosi!) è comune a tutte le culture e presente in tutte le latitudini.

Nel terzo episodio un soldato raggiunge la donna amata per una licenza di tre giorni. La ragazza abita con la famiglia in una casa immersa nella natura, tra boschi e ruscelli.
Javad ha chiesto la licenza in occasione del compleanno della ragazza: col permesso dei suoi genitori vuole donarle l’anello di fidanzamento. Una bella coppia di giovani che si amano.

La famiglia della donna è in lutto perché un professore, un maestro venerato dai giovani del posto, perseguitato dal regime, è stato ucciso.
Javad non lo conosceva, ma capisce che quella persona era molto importante, stimata da tutti, dalla sua ragazza, dalla famiglia della ragazza.
Anche in questo episodio c’è il tema della responsabilità individuale di fronte a una richiesta contraria alla coscienza.
Se non si prende una posizione ci si ritrova, quasi senza volerlo, complice di assassini.
Per ottenere la licenza, Javad si è fatto boia di un uomo che non conosceva. Quell’uomo è il maestro che la sua ragazza, la famiglia della sua ragazza e i giovani del posto ammiravano e amavano, è il maestro ucciso dal regime, per il quale la piccola comunità è in lutto.

Il giovane capisce che la sua pretesa di non prendere posizione, di pensare unicamente al piccolo vantaggio immediato (la licenza in cambio dell’uccisione di uno sconosciuto) ha distrutto l’amore della sua vita. Javad è pentito, ma è troppo tardi. Non può riparare il delitto commesso, non può purificarsi tuffando la testa nell’acqua gelida di un ruscello. La ragazza lo allontana. Javad ha perso tutto.

L’ultimo episodio mi fa tornare in mente l’articolo di Mariarosa Mancuso.
Decisamente l’episodio dura troppo, tanto da distrarci, anche perché è un po’ fuori tema; tra l’altro mi ha fatto perdere il treno e rientrare a casa molto tardi, in una notte fredda; ma non è questo il punto. Sono contento di avere visto un film così bello, così profondo, un capolavoro che, con un montaggio più rigoroso, tagliandolo in alcuni punti, sarebbe stato perfetto. Seduto sulla panchina metallica, in attesa del treno, posso leggere, posso scrivere; un tè caldo compenserà il freddo della notte pisana.

Nell’ultimo episodio il regista si addentra nei meandri della psicologia di un uomo che, da giovane, ai tempi folli di Khomeini, ha fatto la scelta giusta (non collaboro, non divento assassino, rinuncio a tutto, anche alla professione medica), ma per questo ha sacrificato la figlia, affidandola a un fratello fuggito in Germania. La ragazza è cresciuta senza sapere che il vero padre è rimasto in Iran (crede sia lo zio). Quando lo raggiunge e scopre la verità ha una reazione inaspettata.
Il racconto rompe la nettezza del tema mostrato negli episodi precedenti ed è troppo lungo, pieno di particolari non necessari.
Il personaggio principale – l’uomo che non si è piegato e, alla fine della vita, è di fronte alle conseguenze delle sue rinunce – avrebbe meritato di essere sviluppato in un altro film. Anche la psicologia un po’ contorta della nipote (figlia) avrebbe richiesto un approfondimento. Troppo lungo come episodio, nel contempo, proprio perché è un episodio, non abbastanza approfondito.

Mohammad Rasoulof è un grande regista e un grand’uomo; è perseguitato dalla banda di fanatici religiosi che si sono, purtroppo, impossessati del suo paese: non può allontanarsi dall’Iran, non ha potuto ritirare personalmente il premio assegnato al suo film dal festival di Berlino.