
19 marzo 2022 h 21.00
Cinema Arsenale Pisa – vicolo Scaramucci, 2
Neorealismo (vecchio e nuovo)
// Vermiglio // Palazzina Laf // C’è ancora domani // Kafka a Teheran // Profeti // Gli orsi non esistono // Il male non esiste // Un eroe // Ladri di biciclette // Il vizio della speranza // Cosa dirà la gente
Religioni e/o superstizioni
// The Miracle Club // C’è ancora domani (il matrimonio cattolico) // Kafka a Teheran (Islam) // Rapito (Il Papa Re) // Benedetta (Cattolicesimo) // Holy Spider (Islam) // Profeti (Islam) // Chiara (Cattolicesimo) // Gli orsi non esistono (Islam) // Alla vita (Ebraismo ortodosso) // Il male non esiste (Islam) // Un eroe (Islam) // The Youngest (Ebraismo ortodosso) // Covered up (Ebraismo ortodosso) // Corpus Christi (Cattolicesimo) // Un divano a Tunisi (Islam e psicanalisi) // The dead don’t die (nel commento: fede e dubbio) // Mug Un’altra vita (Cattolicesimo polacco) // Il settimo sigillo (il silenzio di Dio) // L’apparizione (Cattolicesimo) // Cosa dirà la gente (Islam) // Io c’è (religione e denaro) // The Young Pope (Cattolicesimo) //
Violenti per caso o per scelta (gli horror e i thriller sono nel tema “suspense“)
// Killers of the Flower Moon (la violenza subita dai nativi americani) // Animali selvatici [R.M.N.] (la paura di essere invasi genera violenza) // Il potere del cane (violenza domestica nel Far West) // Il male non esiste (boia per caso) // Joker // La terra dell’abbastanza (ragazzi spinti da adulti) // Dogman (anche una pecora, se l’aggredisci, prima o poi si ribella) // Tre manifesti a Ebbing, Missouri //
“Il male non esiste”; “There is no evil”, regia di Mohammad Rasoulof. Un film a episodi.
Primo episodio.
Heshmat è un uomo apparentemente tranquillo; ha lo sguardo triste, gli occhi di ghiaccio.
Finito il lavoro, che scopriremo tra un po’, di mattina ritorna a casa in macchina, nel traffico di Teheran.
Il suo appartamento si trova in un grande edificio: parcheggio interno, ascensore. Entra in casa, si lava, si riposa (è sveglio dalle tre di notte). Il citofono squilla. Una vicina di casa con due bambini lo chiama in aiuto per liberare un gattino imprigionato sotto alla caldaia; arrivando l’aveva visto, ma aveva preferito ignorarlo. Salva il gattino e lo affida ai bambini; la donna ringrazia.
Heshmat si rimette in macchina; raggiunge la moglie, uscita dalla scuola dove insegna. Vanno in banca, poi davanti alla scuola dove la bambina li sta aspettando insieme alla maestra. A causa del traffico sono in ritardo; la bambina li rimprovera, dice: «Per punizione dovete comprarmi un gelato». Vanno al supermercato, poi dalla mamma di Heshmat.
La signora, poco autonoma, è in poltrona davanti al televisore acceso. La moglie di Heshmat l’aiuta a lavarsi, lui passa l’aspirapolvere. Trascorrono il pomeriggio a casa della nonna; preparano la cena.
Dopo cena la famigliuola si mette in macchina per tornare a casa. La bambina si addormenta. Heshmat la prende in braccio con delicatezza, la porta a letto stando attento a non svegliarla. Prima di piombare nel sonno mette la sveglia alle tre.
Suona la sveglia. Heshmat si alza, si lava, raggiunge in macchina un grande edificio, passa il controllo delle guardie, entra nel parcheggio interno. Si porta in un’ampia sala semivuota. Un tavolo al centro, un cucinino in un angolo, lucette sulla parete di fronte; accanto alle lucette, in alto ad altezza d’uomo, una stretta apertura rettangolare dà su un altro ambiente. Il cucinino serve per bollire il tè, preparare la colazione.
Le lucette da rosse diventano verdi: è il segnale.
Heshmat si affaccia sull’apertura nella parete, controlla che tutto sia a posto, pigia un bottone.
Dall’altra parte la visione agghiacciante di cinque uomini impiccati. Spingendo il bottone ha fatto aprire la botola.
Movimenti convulsi delle gambe, delle mani, dei piedi (non vediamo i volti coperti con cappucci); dopo alcuni secondi i movimenti si arrestano, l’urina esce dalle vesciche rilassate, cola tra le gambe e i piedi. Schermo nero; fine dell’episodio.
L’uomo dallo sguardo triste è un boia. Questo è il suo lavoro, così passa il tempo dall’alba fino a prima mattina: controlla l’arrivo del segnale, controlla che tutto sia in ordine, pigia il bottone. Non vediamo il seguito, non sappiamo se tocca a lui spostare i cadaveri, ma questo è un dettaglio. L’orrido successivo viene lasciato alla nostra immaginazione. Non sappiamo quante volte ripete questa operazione all’alba di ogni giorno lavorativo.
La lunga premessa sarebbe potuta sfociare in qualunque cosa; quegli occhi freddi ci facevano temere il peggio. Avremmo potuto vedere in azione un pazzo alla Lars von Trier, quel Jack che costruiva la sua casa accumulando cadaveri (La casa di Jack). Sarebbe stato un film horror partorito dalla fantasia del regista. È un horror prodotto dalla realtà.
Heshmat è un serial killer di stato.
Fonte “Nessuno tocchi Caino”:
“L’impiccagione è il metodo preferito con cui è applicata la Sharia in Iran. L’impiccagione in versione iraniana avviene di solito tramite delle gru o piattaforme più basse per assicurare una morte lenta e dolorosa. Come cappio è usata una robusta corda oppure un filo d’acciaio che viene posto intorno al collo in modo da stringere la laringe provocando un forte dolore e prolungando il momento della morte. L’impiccagione è spesso combinata a pene supplementari come la fustigazione e l’amputazione degli arti prima dell’esecuzione.”
In Iran vengono impiccati i responsabili di gravi delitti e gli oppositori del regime particolarmente tenaci.
Il numero elevato di esecuzioni ha reso necessario organizzare il lavoro e affidarlo a professionisti; anche ai militari di leva può essere richiesto di diventare carnefici.
In conseguenza (secondo episodio) ogni giovane si può trovare nella condizione di diventare assassino di stato.
Il povero soldato aspettava di finire il servizio militare per chiedere il passaporto. Era il suo progetto: scappare lontano da un paese governato da una banda di fanatici religiosi. Gli manca poco alla liberazione, ma arriva un ordine: almeno una volta deve fare il boia. Vogliono che diventi complice, che si sporchi anche lui le mani.
Se rifiutasse, il servizio militare sarebbe prolungato e l’ordine di fare il boia ripetuto più volte; rifiuti di obbedire: altri due anni di servizio militare; rifiuti di nuovo: altri due anni, e così via.
Ogni iraniano deve piegarsi ai dettami di una interpretazione arbitraria dei cosiddetti testi sacri: i fanatici religiosi sanno dov’è il diavolo, hanno stabilito che cos’è il male e vogliono estirparlo dalla società; tutti devono agire come dettano loro.
Questo è il nocciolo del secondo episodio, l’unico dei quattro che, nel finale, fa vedere un po’ di luce nel buio fondo, forse un sogno. La ribellione è possibile, si può imbracciare il fucile, rivolgerlo contro gli altri militari assuefatti all’obbedienza, cercare di attraversare il confine con la Turchia, da dove, con molta fortuna, raggiungere il mondo libero. Si può sognare di liberarsi.
Non sappiamo se è la realtà, ma vediamo il povero soldato in macchina insieme alla ragazza che lo ha aiutato, sulle strade montagnose dell’Iran. Dal lettore di cassette esce la musica e la voce di Milva che canta “Bella ciao” nella versione delle mondine (la prepotenza dei capi, l’invito a ribellarsi). La nostra cultura in tutte le sue forme, anche le più semplici, popolari, è un segnale che rincuora chi sogna la libertà.
Nel terzo episodio un soldato raggiunge la donna amata per una licenza di tre giorni. La ragazza abita con la famiglia in una casa immersa nella natura, tra boschi e ruscelli, lontano da Teheran.
Il giovane ha chiesto la licenza in occasione del compleanno della ragazza; col permesso dei genitori vuole donarle l’anello di fidanzamento. I due si amano.
La ragazza e la sua famiglia sono in lutto: un professore, un maestro venerato dai giovani del posto, perseguitato dal regime, è stato ucciso.
Javad non vuole occuparsi di politica e, per ottenere la licenza, ha accettato di fare il boia, di partecipare all’impiccagione di un uomo che non conosce. Lo ha fatto per raggiungere la sua innamorata, per festeggiare insieme a lei. La foto del maestro che tutti piangono è appoggiata su un tavolo, tra corone di fiori. Javad lo riconosce. È lui!
Il giovane capisce che la sua pretesa di non prendere posizione, di pensare unicamente al piccolo vantaggio immediato, ignorando tutto il resto, ha distrutto l’amore della sua vita. Ha capito, è pentito, ma è troppo tardi. Non può riparare il delitto commesso, non può purificarsi tuffando la testa nell’acqua gelida di un ruscello. Tormentato dal rimorso, confessa il delitto alla ragazza. La ragazza lo allontana. Javad ha perso tutto.
Nell’ultimo episodio il regista si addentra nella psicologia di un uomo che da giovane, ai tempi folli di Khomeini, ha fatto la scelta giusta: non ha collaborato con i fanatici religiosi, non si è sporcato le mani. Ha rinunciato a tutto, anche alla professione medica; è rimasto in Iran, in un paesino isolato sulle montagne. Ha sacrificato la figlia, affidandola a un fratello fuggito in Germania. La ragazza è cresciuta senza sapere che il vero padre è rimasto in Iran (crede sia lo zio). Quando lo raggiunge e scopre la verità ha una reazione inaspettata.
Il racconto rompe la nettezza, la chiarezza, la semplicità del tema mostrato negli episodi precedenti ed è troppo lungo, pieno di particolari non necessari che distraggono.
Il personaggio principale – l’uomo che non si è piegato e, alla fine della vita, si trova di fronte alle conseguenze delle sue rinunce – avrebbe meritato di essere sviluppato in un film intero. Un episodio è insieme troppo lungo e insufficiente per approfondire un tema così complesso.
Mohammad Rasoulof, il regista del film, è stato condannato più volte dalla cosiddetta corte rivoluzionaria, espressione della banda di fanatici religiosi che si sono impossessati del suo paese. È stato più volte in prigione, non ha potuto ritirare personalmente l’Orso d’oro che gli fu assegnato nel 2020 dal festival di Berlino. Il premio fu ritirato dalla figlia che vive in Germania. Credo che in seguito sia riuscito a scappare dall’Iran e anche lui si sia rifugiato in Germania.