22 novembre 2022 h 21.00
DVD (Schermo televisivo)

Umorismo (fa bene ridere)
// Romeo è Giulietta // La Primavera della mia vita // Il discorso perfetto // Una famiglia mostruosa // Mandibules // Odio l’estate // Jojo Rabbit // Tolo Tolo // Il colpo del cane // Stan & Ollie // Moschettieri del re // Il Grinch // Achille Tarallo // L’incredibile viaggio del fachiro // Favola // Una festa esagerata // Metti la nonna nel freezer // Come un gatto in tangenziale // The Disaster Artist // C’est la vie: prendila come viene //

Ogni tanto ci vuole un film comico.
Fa bene ridere e il cinema può contribuire a darci questo farmaco – in senso etimologico: per usufruirne occorre intelligenza, altrimenti è un veleno.
Uno che riesce a scrivere un libro divertente, pieno di osservazioni, di invenzioni – su una trama inconsistente, leggera come una piuma – è un grande scrittore.
Mi riferisco al francese Fabrice Caro, autore del libro Le discours.
Il regista Laurent Tirard ne ha tratto un film rimasto per poco tempo nelle sale, per così poco tempo da non darmi la possibilità di vederlo. Nella versione italiana il titolo del film è Il discorso perfetto.
Mi incuriosiva perché conosco e apprezzo i fumetti che Fabrice Caro pubblica con lo pseudonimo Fabcaro.
Mi sono procurato il libro, introvabile in formato cartaceo, sotto forma di ebook.
Il libro mi ha piaciato (direbbe Petrolini). Ho cercato il film. In streaming niente da fare; nelle ricerche su internet mi fermo presto: respingo i cookie, legittimi, illegittimi, pubblicitari, tutti quelli che posso. Oppongo una resistenza estrema, con le mie povere forze, alla cattura dei dati (vade retro Satana). La lotta è impari e, di solito, finisce con la resa, da parte mia.
Fossi onorevole (Dio me ne guardi) presenterei un disegno di legge: vietato sottrarre dati, anche a chi, inconsapevolmente o per stanchezza, dà il proprio consenso. In altri termini: neanch’io posso autorizzare un ladro a rubarmi in casa (vedo una difficoltà a distinguere tra dono e furto, ma ci lavoreremo).
Ho trovato il DVD in libreria: nessuna cessione di informazioni o accettazione di biscottini e polpette avvelenate. Ne avevo prese abbastanza con l’ebook, ma non se ne può fare a meno! – purtroppo il mio disegno di legge non è stato approvato, neanche presentato: gli onorevoli hanno altro a cui pensare.

Il film non mi ha deluso. Il regista è riuscito a riportare sullo schermo la comicità surreale del libro, legata alle piccole cose della vita quotidiana, alle “buone cose di pessimo gusto” che, col tempo, hanno perso la bontà e peggiorato il gusto. Come sarebbe ora la signorina Felicita? Che cosa penserebbe? Non voglio immaginarlo, caro Guido. La piccola borghesia di provincia è stata avvelenata da una propaganda aggressiva, tesa ad accentuare le sue paure. Forse la signorina Felicita sarebbe rancorosa, perfida, disumana.

A un libro e a un film comico chiedo soprattutto risate. Ciononostante ho notato che, nascoste tra le pieghe del discorso, volutamente esagerato, paradossale, si trovano considerazioni profonde sui rapporti all’interno della famiglia, l’organizzazione sociale in cui tutti, quasi tutti, siamo entrati nascendo e siamo rimasti per tutta la vita. Salvo trasmigrare da adulti verso un’altra famiglia, nuova di zecca ma copia fotostatica della prima riguardo ai ruoli (cambiano i musicanti ma la musica è la stessa).
Qualcuno, per scelta volontaria o casuale, uscito dalla prima (volati a miglior sorte i pilastri che la reggevano) non ha la voglia o l’occasione di entrare in una seconda: rimane fuori a osservare, un po’ crucciato, all’inizio, ma, alla fine, contento. È bello gustare il sapore della libertà nei rapporti umani.

La famiglia di Adrien, il personaggio che parla in prima persona nel libro, il personaggio principale del film, più che oppressiva è il “regno del non-detto” – un po’ come la maggior parte delle famiglie, forse tutte.
La madre sottopone il caro figliolo a situazioni imbarazzanti: si ostina a tenere appeso a una parete della cucina un portastrofinacci  ritagliato nel compensato che il bambino ha realizzato a scuola nell’ora di Educazione Tecnica. Mostra con orgoglio agli ospiti il capolavoro, anche quando il figlio è ormai adulto. L’oggetto, che nelle intenzioni doveva rappresentare un albero di Natale, è venuto molto somigliante a un pene. Tutti se ne accorgono, tranne la madre di Adrien.

Nel corso della cena, che si fa tutti insieme, come nelle famiglie patriarcali, il padre parte regolarmente con i ricordi di quando era giovane; i ricordi si complicano, s’intrecciano, finché, regolarmente, perde il filo. Non è malato, è solo abituato a seguire un percorso tutto suo, senza tenere conto degli altri.
Tutti si guardano e lo guardano con aria depressa. Non se ne accorge. Basterebbe un accenno, nei modi dovuti, per aiutarlo a rientrare nella realtà. Basterebbe dire «ce l’hai già raccontato!». Impossibile: siamo nel “regno del non-detto”.

Per il compleanno di Adrien la sorella gli regala, ogni anno, un’enciclopedia. Ha trentacinque anni; da quando ne aveva otto la sorella gli ha regalato un’enciclopedia all’anno. Le ventisette enciclopedie, sui più disparati argomenti, mai aperte, giacciono tristemente su uno scaffale della libreria.
Adrien non dice alla sorella che le enciclopedie non gli interessano: non si fa, non sta bene. La famiglia è il “regno del non-detto”.

Il compagno, prossimo marito, della sorella, porta i discorsi su argomenti tecnici o scientifici di cui è appassionato: uno degli argomenti preferiti è il riscaldamento domestico attraverso il pavimento. La sorella di Adrien, il padre, la madre lo stanno a sentire con gli occhi spalancati e la bocca aperta, ammirati di tanto sapere. Ogni tanto la madre interrompe il flusso delle parole e domanda a Adrien: «Che ne pensi?». Naturalmente è obbligatorio pensarne bene.
Il cognato, soddisfatto, passa alla trofallassi delle formiche, poi al riscaldamento globale. «Che ne pensi Adrien?» «Bene. Sono d’accordo» «In che senso?» «È una cosa buona» «Il riscaldamento globale è una cosa buona?» «Mi riferivo alla trofallassi delle formiche».

Le cene si svolgono secondo una liturgia ripetitiva e si concludono sempre con la torta allo yogurt, specialità della madre.
Adrien non partecipa alla conversazione, pensa ad altro.
Non si accorge delle nubi che si addensano sul suo capo quando il discorso dei familiari si sposta sul prossimo matrimonio della sorella. Il cognato gli dice in un soffio, con tono amichevole ma perentorio: «Adrien, nel corso della festa, quando gli invitati saranno seduti ai tavoli in attesa del pranzo, dovresti prendere il microfono, chiedere la parola e fare un bel discorso. Che ci vuole!».

Terrore!

I matrimoni sono cerimonie spaventose, forse ciò che rimane di antichi riti tribali che servivano a sconsigliare i giovani dall’intraprendere questo passo. I ragazzi partecipavano al matrimonio dei più grandi e decidevano: «Non mi sposerò mai! Piuttosto mi faccio stregone» (gli stregoni potevano unirsi alle loro compagne, fare figli, formare una famiglia di fatto ma erano esentati dal matrimonio; a questa regola risale il celibato ecclesiastico).
Fabrice Caro elenca tutte le forme di tortura che caratterizzano questo antico rituale: la finta allegria, la commozione forzata, la cerimonia in comune o in chiesa. Durante il lunghissimo pranzo: gli scherzi degli amici, i balli con i “trenini” obbligatori (le mani sudate di qualcuno sulle tue spalle, le tue mani sulle spalle sudate di quello davanti), i discorsi dello sposo, della sposa, di un parente prossimo: una forma raffinata di tortura per chi li ascolta e per chi è costretto a farli.

Adrien è incapace di sottrarsi, di ribellarsi alle richieste apparentemente ragionevoli degli altri, ai ricatti affettivi («se fai un discorso tua sorella sarà contenta»). Si rappresenta nella mente il momento in cui prenderà il microfono e comincerà a parlare. Immagina vari tipi di discorso e le reazioni degli invitati. L’angoscia s’intreccia con il momento difficile, dal punto di vista sentimentale, che sta attraversando.
La ragazza che ama ha chiesto una pausa nel loro rapporto, la pausa dura da 38 giorni e lei non risponde a un messaggio sul telefonino.

Questo è il nucleo comico del film: trovate semplici, molto divertenti.

Non c’è solo la satira sulla famiglia, ma anche sui miti che ogni generazione s’inventa.
La ragazza che pensa di adoperarsi a favore dell’Africa raccogliendo penne a sfera da inviare nel Benin mi fa venire in mente le vecchiette che negli anni venti – lo racconta Achille Campanile in un libro – raccoglievano la carta stagnola dei cioccolatini per inviarla in Africa e liberare un “negretto” (allora si diceva così). Achille Campanile immagina che un nero grande e grosso raggiunga la vecchietta e le dica: «Grazie per avere contribuito a liberarmi con la carta stagnola dei cioccolatini. Ora sono qui perché tu, così disponibile al sacrificio (mangiare cioccolatini per aiutare gli africani), contribuisca a mantenermi». La vecchietta, nel racconto di Campanile, se la dà a gambe levate, rivelando prontezza di riflessi e velocità inaspettate.
Ogni generazione ha le sue illusioni; sono curioso di scoprire quali comportamenti fintamente ecologici ha suscitato negli adolescenti attuali la passione per Greta Thunberg. A che cosa hanno rinunciato? Allo smartphone? ai messaggini che consumano energia? ai mezzi inquinanti (in testa ai quali si trova il motorino)? I più ricchi avranno rinunciato a farsi accompagnare a scuola dal padre o dalla madre con il suv?
«Morire per delle idee», diceva Georges Brassens, «ma di morte lenta».

Un altro film francese, divertente come questo, che consiglio vivamente (credo sia su Raiplay) è Le Sens de la fête; titolo italiano: C’est la vie: prendila come viene, regia di Éric Toledano e Olivier Nakache – commento su questo sito.

In entrambi c’è un motivo musicale italiano al cui ricordo siamo legati, un motivo popolare anche in Francia: Se bastasse una sola canzone, di Eros Ramazzotti, in C’est la vie: prendila come viene e Sarà perché ti amo, dei Ricchi e Poveri, in Il discorso perfetto.
Le canzoni italiane degli anni sessanta e settanta vanno molto nel cinema d’autore. Si avverte un’emozione quando in Parasite, capolavoro indimenticabile di Bong Joon-ho (2019) parte la voce di Gianni Morandi che canta In ginocchio da te.