14 febbraio 2024 h 17.20
Cinema Adriano Firenze – via Giandomenico Romagnosi, 46

Altro film del regista: // Moschettieri del Re: la penultima missione //

Teatro
// Romeo è Giulietta // Sanctuary (impianto teatrale) // Educazione Fisica (da “La palestra” di Giorgio Scianna) // The Whale (dall’omonima pièce teatrale) // Anton Cechov (Il gabbiano) // Grazie ragazzi (S. Beckett: Aspettando Godot) // La Stranezza (Luigi Pirandello: Sei personaggi in cerca d’autore) // Drive my car (Anton Cechov: Zio Vanja) // Il sindaco del rione Sanità (Il teatro di Eduardo) // Conversazione su Tiresia (Andrea Camilleri) // Favola (dalla commedia di Filippo Timi) // The Party (impianto teatrale) //

Umorismo (fa bene ridere)
// Romeo è Giulietta // La Primavera della mia vita // Il discorso perfetto // Una famiglia mostruosa // Mandibules // Odio l’estate // Jojo Rabbit // Tolo Tolo // Il colpo del cane // Stan & Ollie // Moschettieri del re // Il Grinch // Achille Tarallo // L’incredibile viaggio del fachiro // Favola // Una festa esagerata // Metti la nonna nel freezer // Come un gatto in tangenziale // The Disaster Artist // C’est la vie: prendila come viene //

Giovanni Veronesi non ama il teatro. Lo deduco da alcune interviste rilasciate anni fa. Recentemente ha detto che a teatro si addormenta.
Io credo che non ami i grandi registi di teatro della generazione precedente (una specie di cui restano in giro pochi rappresentanti), gli istrioni affabulatori che regnavano incontrastati come monarchi assoluti nei teatri stabili e nei teatri precari sparsi nella penisola e portavano le loro opere rivoluzionarie, le loro riletture e interpretazioni personali di grandi capolavori – Shakespeare, Bechett, Pirandello, Bertolt Brecht, se gli girava: Ludovico Ariosto, Vittorio Alfieri, Miguel de Cervantes – al festival di Spoleto.

I “lavori” di questi registi avevano grande riscontro di un pubblico scelto che rinnovava ogni anno l’abbonamento e non perdeva una prima.
I critici teatrali producevano lunghi articoli di terza pagina sull’abbattimento della quarta parete, sull’abbattimento del teschio di Yorick (alas! Poor Yorick), sull’abbattimento del cavallo di don Chisciotte, il più abbattuto di tutti.
In questo film Veronesi disegna un regista teatrale, interpretato dal bravo Sergio Castellitto, fornito di due cognomi, naturalmente bisessuale, capriccioso, narcisista e sadico nei confronti dei giovani attori che si presentano a un provino con la speranza di conquistare una particina, magari la parte principale, nel nuovo allestimento di Romeo e Giulietta.
Il regista è in crisi perché non ha un’idea nuova, è nervoso e se la prende con chi ha la colpa di essere giovane e di avere l’avvenire davanti a sé.
Nessuno lo manda a quel paese, anche perché se un diplomato o una diplomata di una costosa scuola di teatro lo facesse, con le conoscenze di cui il regista dispone, lo/la metterebbe per i prossimi trent’anni fuori da ogni palcoscenico, compresi quelli situati nelle cantine umide e nei teatrini parrocchiali.

Ognuno può divertirsi a collegare i puntini e far apparire uno dei grandi registi teatrali che ne facevano di cotte e di crude, di astruse, qualche volta di geniali, nei teatri italiani. La specie, con il nuovo millennio, è andata in crisi; forse si è trasferita nel cinema e costituisce uno dei clan in cui quel mondo, molto più complesso, che fa girare molto più denaro, si è organizzato.
Credo che il doppio cognome serva a depistare e a suggerire l’origine nobile, o almeno alto borghese, del regista.

Giovanni Veronesi conosce registi, fedeli accompagnatori che sono diventati a loro volta registi, produttori, direttori di teatro per meriti politici, attori alle prime armi, vecchi attori sempre sulla breccia, vecchie attrici ritirate ma non troppo dalle scene; conosce gli episodi squallidi, gli aneddoti divertenti che gli artisti si passano l’un l’altro infiocchettandoli nelle lunghe cene da “Alfredo”, che, come nella canzone di Branduardi, si mangiò “Lo Zozzone”, che si mangiò “Il Rugantino”, che si mangiò “La Sora Lella”. I ristoranti sono ancora floridi, però la colonia degli artisti di teatro amava migrare e farsi ispirare da nuovi odori.
A Roma, come a Milano, a Firenze, a Napoli, la “gente di teatro” tramandava pettegolezzi e si scambiava proposte davanti a un piatto di fettuccine. L’ambiente è andato in crisi quando si è scatenata la guerra alla pancia e si è passati dalle fettuccine alla dieta.

Sergio Castellitto si cala perfettamente nella parte. Si vede che si diverte e anche noi ci divertiamo.
La trama è molto cinematografica. Quante Victor Victoria, Tootsie, Mrs Doubtfire e compagnia cantante sono state fatte al cinema? Tante, da perdere il conto. Tutte dirette da bravi registi, con grandi attori; tutte di qualità.
Forse la donna che “fa” l’uomo e l’uomo che “fa” la donna – per trovare lavoro, per non farsi trovare dalla mafia, per non perdere il contatto con i figli, per divertimento, per non pagare l’affitto (Totò), per vendicarsi di qualcuno, per visitare o per nascondere una parte di sé – sono personaggi legati alla natura stessa del teatro e poi del cinema. Ci piacciono sempre, riconosciamo l’archetipo e sospendiamo volentieri i dubbi riguardo alla credibilità della finzione.
Non c’importa che siano storie assurde. Siamo disposti a credere a qualunque assurdità se il regista è capace di raccontarcela. Ci divertiamo.

Giovanni Veronesi riesce a creare interesse su una vicenda che sappiamo come si svolgerà e come si concluderà fin dalle prime battute.
Sulla conclusione si poteva lavorare di più per rendere meno scontato il gesto di Vittoria (Pilar Fogliati) che si toglie naso finto e parrucca, scuote la testa muovendo la bella massa di capelli, libera il bel viso, si sfila il corpetto che imprigionava i seni, provoca lo svenimento del regista e un “ooh!” di meraviglia da parte del pubblico ingenuo del teatro. Ma forse si è voluto concludere con una citazione.
Comunque: a quel punto ci siamo divertiti e … va bene così.