14 novembre 2022 h 17.00
Cinema Odeon Pisa – piazza San Paolo all’Orto

Film brutti. Decisamente brutti
// Enea // Chi segna vince // La guerra del Tiburtino III // Mi fanno male i capelli // Felicità// L’ordine del tempo // Educazione Fisica // Un uomo felice // Il primo giorno della mia vita // Vicini di casa // War La guerra desiderata // La figlia oscura [nei commenti brevi] // Dune // Domani è un altro giorno // Dead in a week // Una vita spericolata // Doppio amore [L’amant double] // Sono tornato //

Dopo un inizio (un quarto d’ora) di tensione crescente, la sceneggiatura non regge. I personaggi sono tutti sopra le righe e nervosi
L’allevatore di cozze è perennemente agitato.
La psicologa fa domande da manuale, non ascolta le risposte e pretende di essere presa sul serio («Come mai lei si droga?»; «Io non mi drogo»; «Quando ha cominciato a drogarsi?»; «Non ho mai cominciato»; «Con quale frequenza consuma sostanze stupefacenti?»; e così via).
I ragazzi sono divisi in bande.
La tensione aumenta: l’allevatore si sottomette inutilmente alle “bustarelle” da elargire agli esperti di cozze per avere il premio; poi lo otterrà, non con le tangenti ma con la violenza dei paramilitari e noi non sapremo mai se le sue cozze sono buone e la sua attività merita un premio.
Ogni tanto appare il fratello dell’allevatore, un ragazzo in coma, assistito in una stanza d’ospedale. Per lui l’allevatore ha abbandonato lo studio delle lingue romanze e cambiato lavoro: dalle parole alle cozze, un bel salto.
Il ragazzo è l’unico personaggio credibile perché non dice una parola (giustamente, dal momento che si trova in stato vegetativo). Il fratello, che ha preso in mano la sua attività, vuole dargli la soddisfazione (in qualche modo postuma) di vincere il premio.
Questa è la parte delicata del film e, per un po’, mi ha preso.
Poi è scoppiato il casus belli (se ne parla in televisione) e la gente ha cominciato a correre.
La gente corre continuamente in questo film, intorno ai personaggi che il regista ci fa seguire.
La tensione esplode; piovono personaggi assurdi, incoerenti: il barista paramilitare, il padre della protagonista, la spia.
Naturalmente, per gli sceneggiatori, una spia francese deve avere per forza l’accento francese, per farsi riconoscere, casomai gli spettatori e gli altri personaggi avessero difficoltà a capire che si tratta di una spia e a individuarne la nazionalità.
Si sa che le spie vanno in giro con il loro accento che funziona da lasciapassare e serve per svolgere il lavoro. A volte fingono l’accento straniero (in realtà avrebbero l’accento romanesco) per farsi riconoscere più facilmente. Se proprio non riescono a rifare un accento (pensiamo a una spia ungherese), vanno in giro con un cartello: sono una spia, sto lavorando, non disturbate.
In questo film alla spia manca solo il cartello: la faccia, i modi e l’accento ci sono.
Non è chiaro quale sia il piano della psicologa – figlia del viceministro ex generale guerrafondaio – in conflitto con il padre, al quale attribuisce la responsabilità della guerra o l’intenzione di entrare in guerra.
Un sottosegretario decide la guerra? Gli sceneggiatori hanno idea di come funziona la dichiarazione di guerra in Italia?
Non sapendo che fare, la psicologa, con il gruppo di amici, sequestra il padre e lo tiene chiuso in una sauna, nonostante il suo mal di schiena e con poche risorse alimentari.
È spinta dal pacifismo? Sembra un tentativo estremo di liberarsi di conflitti non risolti, di cancellare il problema eliminando la causa (quanto tempo potrà resistere il padre nella sauna?. Sei psicologa e non capisci che esistono pulsioni profonde che vanno governate? Ah già: è quella delle domande.
Chi rappresentano i sequestratori? Rappresentano i giovani pacifisti, in contrapposizione ai giovani paramilitari, ai giovani tifosi violenti e ai vecchi coglioni come il padre.

Il piano, stranamente, riesce: fanno entrare il vice ministro nella sauna e inchiodano assi di legno all’ingresso.
Sparisce un viceministro e nessuno se ne accorge; non sono avviate ricerche con i cani; non partono gli appelli a “Chi l’ha visto”.

I sequestratori sembrano una banda di ragazzini svitati; l’unico che non è un ragazzino, ma è più svitato degli altri, suona l’ukulele mentre racconta episodi della sua vita che gli altri avrebbero preferito non conoscere.
Gli sceneggiatori vogliono comunicarci la notizia originale: “c’è del marcio in Danimarca”, ma sembra che stiano giocando a chi le spara più grosse.
Ha vinto quello che ha inventato la corsa della protagonista sulla pista di atterraggio di un aeroporto militare, dietro a un aereo che sta decollando. Il più pallista di tutti.
La ragazza non riesce a raggiungere l’aereo e a impedire al fratello pilota di partire … peccato! … se ci fosse riuscita la cazzata sarebbe stata perfetta.
Però riesce a scappare dall’aeroporto mentre due militari la scortano. Anche questa è una palla notevole.
A un certo punto si perde il conto delle assurdità (la gara continua fino alla fine).
In una situazione del genere io mi distraggo, penso ad altro, non seguo i contorcimenti di una trama assurda.
“War, eccetera” si piazza al primo posto nell’elenco dei film più brutti degli ultimi anni. È addirittura più brutto di La figlia oscura (Maggie Gyllenhaal), che non sono riuscito a commentare perché non sono rimasto in sala fino alla fine. Dopo un po’ sono uscito a fare due passi.

Questo film è così brutto che certamente Marco Giusti lo farà diventare “stracult”; però mancano le parolacce, i peti e non c’è un personaggio come Pierino che racconti barzellette sconce. Questi elementi sono necessari perché un film possa assurgere allo straculto.
Sono riuscito a rimanere in sala fino alla fine perché qualcosa di buono, all’inizio, c’è.
Mi riferisco al rapporto delicato tra l’allevatore di cozze e il fratello in stato vegetativo.
Troppo poco per risollevare il film dalle assurdità raccontate male.

Ci sono buoni attori, ma questa è una regola che ho riscontrato in molti altri film brutti; non in tutti.
Qui gli attori sono sprecati.
Poi si domandano per quale motivo la gente non vada al cinema!