10 maggio 2023 h 18.30
Cinema Arsenale Pisa – SALA SAMMARTINO

Temi

Tra realtà e finzione, l’arte dell’illusione
// Gli ultimi giorni dell’umanità // Babylon // Everything Everywhere All At Once // Finale a sorpresa // La fiera delle illusioni // Otto e mezzo // The French Dispatch of the Liberty, Kansas Evening Sun // C’era una volta a Hollywood // Notti magiche //

Da tempo non compro giornali cartacei; ho perso l’abitudine (sullo schermo si fa prima a leggere le notizie). Però non ce la faccio a disfarmi dei vecchi giornali, settimanali e anche alcuni quotidiani, che hanno acquisito un valore affettivo.
Quando vede che li conservo in modo disordinato, C. ripete: «Tu non butti mai niente».
Alla frase accompagna un’espressione visiva che significa: non prenderla come un complimento.
A volte penso che abbia ragione, ma quando decido di fare un po’ d’ordine nel caos trovo qualcosa di interessante, mi fermo a leggere e rimando. Non è necessario che sia un articolo di terza pagina: dopo alcuni anni anche la pubblicità diventa interessante. Ciò che anni prima era banale, anche fastidioso, è diventato una traccia, un segno della vita precedente, apparentemente dissolta nel nulla.
Levo la polvere col piumino, perché l’aspirapolvere mi guarda con la stessa espressione di C.: «Aspiriamo tutto?».
«Com’è possibile!?».
«Non ci vuole niente. Basta farli a pezzettini».
«Scusa, ma non sarebbe meglio, nel caso mi decidessi, metterli nel contenitore per il riciclaggio della carta?».
«Lo dicevo così. Per divertirci».
Ho un aspirapolvere loquace e con scarsa coscienza ecologica. L’intelligenza artificiale che l’ha programmato non ha previsto questo aspetto.

Se C. vedesse lo studio di Enrico Ghezzi (si vede nel film; la registrazione risale a qualche anno fa), pieno di libri, riviste e videocassette sparse, in confusione, sui tavoli e negli scaffali, direbbe: «Non butta mai niente».

L’archivio di Enrico Ghezzi è costituito da più di cinquecento videocassette, che ora sono digitalizzate.
L’informatica ha portato ordine nella materia, eppure credo che Enrico Ghezzi non abbia rinunciato ai vecchi supporti ingombranti; se ho capito il tipo (conoscendo me stesso) credo li abbia messi da parte, ma non li abbia eliminati.
Ai vecchi giornali, alle audiocassette e videocassette, ai dischi in vinile, ai libri di carta, ci si affeziona. Quando sono in vena di malinconia rimpiango la macchina fotografica analogica (si guastò e non la riparai, comprai la prima digitale), le pellicole in bianco e nero; rimpiango l’ingranditore e tutta l’attrezzatura per lo sviluppo, di cui mi sono disfatto, arrendendomi alla mancanza di spazio.

Prima o poi riverserò anch’io le videocassette, che non guardo da una vita, in un supporto digitale. Dentro ci sono le feste di Natale in famiglia, le feste di fine anno scolastico, ma anche Fuori orario di Enrico Ghezzi. Se avevo qualcosa di urgente da fare e non potevo stare di notte davanti al televisore, facevo partire la registrazione su una videocassetta di lunga durata, abbassavo il volume del suono, mi spostavo in un’altra stanza per completare il lavoro. Ero certo che dopo le parole fuori sincrono sarebbe arrivato un film imperdibile, che avrei potuto vedere con calma il giorno dopo.
In un’intervista a l’Unità del 18 agosto 2002 Enrico Ghezzi diceva: “Il fuori sincrono oltre che per dis-integrare un po’ l’automatico comunicare televisivo, è nato per comodità, l’ho fatto per telefono dall’India, dal Giappone …. È quasi un monologo interiore che diventa esteriore, una piccola “cosa TV” a sé, non un commento”.

Andava così: una premessa stancante, pronunciata a volte guardando da un’altra parte, poi una o più scoperte imperdibili. Avrei preferito leggere la premessa anziché ascoltarla; per fortuna Enrico Ghezzi ha scritto diversi libri attraverso i quali è più facile, o meno difficile, entrare in un pensiero complesso che richiede concentrazione. Sicuramente siamo più abituati a concentrarci sulla parola scritta che sull’ascolto. Verba volant ed è difficile acchiapparle a volo, specialmente se già in partenza sembrano andare per conto loro.
Nell’ultimo libro sono raccolti i testi sulla televisione: L’acquario di quello che manca (Ed. La nave di Teseo, 2021), a cura di Aura Ghezzi con la collaborazione di Alberto Pezzotta. Una raccolta completa, la più completa che si potesse realizzare; testi recuperati dagli archivi dei giornali, ma anche dai famosi scatoloni, di cui parla la figlia, che hanno accompagnato i trasferimenti della famiglia; il primo testo è datato 14 novembre 1978, molti non hanno data, l’ultimo è del 2013: parole assolutamente in sincrono con il tempo in cui sono state pronunciate, anzi precorritrici, alcune strane e deliziose poesie, le interviste concesse in tante situazioni (giornali, incontri, scuole, festival cinematografici); non ce lo saremmo aspettato, ma nelle interviste era estremamente chiaro, semplice, preoccupato, si direbbe, di far capire bene il proprio pensiero a chi gli poneva le domande.

Riverserò in digitale le videocassette delle feste, dei programmi televisivi mitici (si facevano programmi veramente mitici nella Rai3 di Angelo Guglielmi), delle commedie napoletane, dei film che non giravano nelle sale e Enrico Ghezzi ci dava la possibilità di recuperare. Col tempo era diventato un amico disposto a darti dei consigli che tu accetti perché sai che è più intelligente di te, anche se a volte non lo capisci. Così lo vedevamo: era l’amico invisibile che si materializza dopo una certa ora con la sua pettinatura disordinata e ci consiglia un regista che, senza di lui, continuerebbe a esserci sconosciuto o conosciuto poco e male.

Non eliminerò le cassette, non eliminerò i giornali. Si ha la sensazione di poter ricavare altro dai vecchi supporti, dopo avere estratto l’informazione più evidente e averla messa sotto forma di una sequenza di zeri e di uno. Il video montato alla buona mettendo insieme Elvis Presley, i canti di montagna, alcune scene di Freaks e la festa di Natale in famiglia è qualcosa di più delle sequenze di numeri che lo codificano e lo rendono immagazzinabile in un hard disk o nel cloud.

Certamente l’informazione in forma digitale non la batte nessuno per l’ordine e per la possibilità di poterla recuperare quando serve.
La raggiungo con poca fatica se decido di occuparmi di un determinato argomento. Ma poi rimane sepolta dentro una casella; in qualche caso sepolta per sempre. Non posso raggiungerla casualmente. È ordinata ma seppellita, come i morti sono disposti in modo ordinato e seppelliti nei cimiteri.

L’informazione in forma analogica è disordinata; se si prova a ordinarla si devono continuamente ridiscutere i criteri di catalogazione. Problema: come ordino i libri? Soluzione: per titolo, per autore, per data, per argomento, per casa editrice, per dimensioni, per colore della copertina, per numero di pagine, per numero di letture e riletture, per intensità del legame affettivo, per grado di difficoltà, per altri criteri. Non sempre si può rispettare un criterio di catalogazione: quel libro dovrebbe andare lì ma nello scaffale non entra; a quell’altro toccherebbe un posto in fondo, fuori mano, o troppo in alto, ma mi piace aprirlo ogni tanto per leggere una poesia; cambio il criterio, devo ricominciare. Da qui il disordine.

Ci si consola pensando al pregio della casualità, che consente di trascorrere un pomeriggio intero in completo rilassamento, leggendo, o leggiucchiando, libri che si sono fatti trovare da soli. Quante scoperte e riscoperte rendono possibili questi pomeriggi poco efficienti, per questo rilassanti!
Forse Enrico Ghezzi e Alessandro Gagliardo, gli autori di Gli ultimi giorni dell’umanità, hanno fatto la stessa operazione con l’archivio di immagini conservate nella loro memoria organica (come diceva Umberto Eco), prima ancora che nella memoria minerale (il silicio). Hanno trascorso molti pomeriggi a mettere insieme, una dopo l’altra, immagini provenienti da fonti diverse e si sono divertiti a montarle. Il divertimento traspare, nonostante il titolo disperato.
Dentro al film c’è di tutto; posso provare a fare un elenco di ciò che ricordo, restando molto al di sotto delle cose che ho visto.

Home video della famiglia Ghezzi che hanno lo stesso valore delle mie feste di Natale; si vede il volto sorridente del giovane padre, scene di vita quotidiana della bella famiglia; verso la fine addolora il volto cupo di Enrico Ghezzi ammalato di Parkinson.

Letture dell’amato Kafka; si può dire che il tema complessivo sia il tempo, oltre al cinema come realtà e finzione. Il tempo porta ciascuno di noi, forse l’intera umanità, inesorabilmente verso gli ultimi giorni (da qui il titolo).

Riprese drammatiche dal G8 di Genova (2001).

Scene tratte da film di autori importanti (è inutile copiare l’elenco dai titoli di coda) inserite in un contesto diverso da quello originale (qui c’è il divertimento).

Registrazione di un incontro con Jean-Marie Straub e Danielle Huillet, registi che non amo ma hanno il merito, secondo me, di avere suggerito uno stile a Ciprì e Maresco: basta vedere l’inizio di Sicilia (Straub&Huillet). Mi riferisco all’incipit perché non riesco a vedere questo film fino in fondo: mi sembra un Ciprì e Maresco troppo lungo e privo di umorismo. Nell’incontro Straub dice una cosa che trovo illuminante: «Un film è solo una scuola di percezione e basta. Bisogna essere coscienti e modesti e sapere di cosa si tratta. È uno strumento per aiutare la gente a guardare, a vedere meglio e a sentire meglio.»

Lunghi estratti di uno spettacolo di Luca Ronconi che ha lo stesso titolo del film.

Parti di documentari della Nasa: un oggetto spaziale ripreso mentre scende verso la terra affidandosi all’attrazione gravitazionale; noi ci affidiamo alla speranza che prima o poi arrivi e il suo viaggio interminabile finisca.

Eruzioni vulcaniche, fughe di animali, un incendio in un deposito di pellicole accanto a un cinema torinese. Ogni tanto non si capisce bene se si tratta di riprese reali o di finzioni: sono l’una e l’altra cosa.
La durata di alcune sequenze e la durata complessiva ci distrugge; i due autori non tagliano mai (il film dura più di tre ore), col risultato di stancare, un po’ come stancavano le premesse a Fuori orario. Però era bello sapere che alla premessa sarebbero seguiti tesori imperdibili, scelti da un amico che ne sa più di noi.
Questo accade anche nel film: la resistenza è premiata da un montaggio superbo che fa scoprire sorprendenti collegamenti fisici e mentali.