4 maggio 2023 h 17.00
Cinema Odeon Pisa – piazza San Paolo all’Orto

Altri film del regista
// Dante // Il Signor Diavolo //

Amicizia (scoperta, coltivata o tradita)
// Casablanca (Rick e Sam, Rick e Louis) // Bassifondi // Animal House // La quattordicesima domenica del tempo ordinario // La Primavera della mia vita (Colapesce e Dimartino) // Gli spiriti dell’isola (fine di un’amicizia) // Close (l’amico del cuore) // Nostalgia (gli amici si ammazzano, non si dimenticano) // Cry Macho (tra un vecchio e un ragazzo) // Mi chiamo Mattia (racconto) // Lontano Lontano (amicizia tra anziani) // 1917 (amicizia sotto le armi) // Stan & Ollie (amicizia tra artisti) // Copia originale [Can you ever forgive me?] (tra due tipi eccentrici) // Green Book (tra un italoamericano e un afroamericano) // Il mio Capolavoro (tra pittore e gallerista) // Moschettieri del Re (amicizia mitica) // Lazzaro felice (tra emarginati) // The Shape of Water [La forma dell’acqua] (tra individui “diversi”) //

I vecchi
(diversi modi di essere vecchi)
// Bassifondi // Scordato // La quattordicesima domenica del tempo ordinario // Il sol dell’Avvenire // Il ritorno di Casanova // Non così vicino [A man called Otto] // Orlando // Il piacere è tutto mio // Astolfo // Rimini // Nostalgia // Settembre // Belfast // Callas Forever // Cry Macho // Boys // The father [Nulla è come sembra] // Nomadland // LONTANO LONTANO // Le nostre anime di notte (commento al libro) // Herzog incontra Gorbaciov // The Irishman // Dolor y Gloria // Stan & Ollie [Stanlio & Ollio] // Can you ever forgive me? [Copia originale] // Il Corriere [The Mule] // Moschettieri del re // Lucky // Loro // L’ultimo viaggio // Ricomincio da noi // Ella & John //

La quattordicesima domenica del tempo ordinario è riferita al tempo liturgico della chiesa cattolica, un modo di indicare lo scorrere del tempo che ora pochi, anche cattolici, conoscono.
Il tempo ordinario inizia con la Quaresima e si conclude con l’Avvento; il sacerdote, durante la celebrazione della Messa, indossa paramenti di colore verde. Nel tempo ordinario solitamente si celebrano i matrimoni.
Una canzone di Pupi Avati e Sergio Cammariere accompagna il film, dall’inizio alla fine. Sui titoli di coda è cantata da Sergio Cammariere.

«Ovunque nella stanza ci son sogni / non realizzati. / S’involano lontano nel silenzio / terre remote. / Le cose belle son fuggite via / dal cielo buio della mia vita. / … / Le tue labbra che cercano le mie / le tue labbra che trovano le mie. / Nel tuo tepore sempre».

Il 24 giugno 1964, quattordicesima domenica del tempo ordinario, Pupi Avati realizzò il suo sogno: sposò la donna di cui era innamorato, la donna che per lui era la più bella di Bologna. Aveva impiegato quattro anni per convincerla.
Pupi lo ha raccontato più volte. In un’intervista televisiva (Fabio Fazio, Che tempo che fa) ha reso il suo pensiero con le parole seguenti:
«Immagina un drone che sorvola tutta la tua vita. Si ferma su un certo giorno, una certa ora, un certo minuto. 24 giugno 1964 … mi sto un po’ commuovendo … è il giorno in cui mi trovo di fianco una ragazza che ho corteggiato per quattro anni, fino a quando questa ragazza, a mio avviso la più bella di Bologna, non si decide a rispondermi sì. E io me la trovo di fianco e credo che quel momento sia stato il momento più felice del prima e del dopo. Non ci sono più stati momenti come quello. Ecco: il drone si è fermato lì (Pupi fa un gesto con la mano a indicare qualcosa che si ferma in alto). Allora io ho pensato: forse devo rendicontare che cos’è la vita, a ottantaquattro anni – ormai ne so abbastanza – per poi raccontare il percorso, fino a essere in prossimità di quelli che possono essere i titoli di coda della mia vita. Comunque il drone si ferma lì. È un po’ come la stella cometa. Si ferma lì, in quel momento. Ognuno di noi dovrebbe riflettere su quello che è stato il giorno più felice della propria vita. Io racconto questo».

Mi sono meravigliato di questa affermazione: avrei pensato che nella vita di un uomo che, apparentemente, ha realizzato i suoi sogni, il drone o la stella polare si siano fermati sulla sua testa non una, ma molte volte. È possibile, mi sono chiesto, che nella sua vita non ci siano stati momenti ugualmente alti, ugualmente felici, o ancora più felici?
Nel film guarda indietro alla vita sua e dei suoi coetanei bolognesi – non solo coetanei e non solo bolognesi (rivediamo il mago Zurlì, che conquistò i bambini di tutta l’Italia per molto tempo) – sfoglia un album fotografico, rivede i luoghi e i volti conservati nella memoria.
Rivolge lo sguardo soprattutto in direzione di quelli che non ce l’hanno fatta, di quelli che non hanno realizzato il proprio sogno.
Marzio (Lodo Guenzi da giovane, Gabriele Lavia da anziano) sognava di diventare cantante e chitarrista.
Lo è diventato. Ma come?

Fin da quando erano piccoli si era formato un duo, ma Samuele, il compagno dei “Leggenda” (brutto nome per un piccolo complesso, forse il nome spiega il mancato successo) è voluto uscire dal gruppo non appena la speranza di portare una canzone al Festival di Sanremo è naufragata. Samuele ha preferito lasciare il sogno e tenersi il posto in banca.
È una situazione che si verificava di continuo, in tutti i gruppi musicali che si formavano negli anni sessanta, settanta e primi anni ottanta. Uno mollava – gli altri, i più motivati, stringevano i denti e andavano avanti, con alterne fortune. Alla fine riuscivano quelli che trasformavano un gioco in una professione: continuavano a divertirsi mettendoci l’impegno necessario.
Non si è professionali se si fa una sola canzone e se ci si presenta ubriachi nella sala di registrazione o nel posto dove si è chiamati a esibirsi.
Il problema, nel caso dei Leggenda, è che il più motivato dei due beveva troppo e aveva problemi nei rapporti con la moglie, che amava troppo.

Si può amare troppo? Sì, se questo significa asfissiare l’oggetto del proprio amore e tormentarlo con la gelosia.
Nella stessa intervista Pupi Avati ha detto che questa caratteristica del personaggio l’ha presa da se stesso (ha detto: «Mia moglie ha dovuto sopportare le pene dell’inferno per colpa mia!»).

Dunque: la data del matrimonio di Marzio e Sandra è la stessa del suo matrimonio, la sposa era la più bella ragazza di Bologna, la gelosia patologica del personaggio è la stessa da cui era affetto Pupi Avati. Il personaggio e il regista si assomigliano; l’ambiente in cui sono cresciuti è lo stesso: stessa gelateria da bambini. Pupi è diventato un maestro del cinema; Marzio finisce a cantare e suonare in una piccola televisione locale dove utilizzano le sue canzoni per pubblicizzare prosciutti, gommisti e ristoranti.
Il personaggio sembra un fallito; certamente non lo è Pupi Avati.

Non c’è un momento in cui sul viso di Gabriele Lavia (Marzio anziano) si veda un sorriso. Da ragazzo e da giovane è tutto un ridere, un sorridere a viso aperto verso la vita e verso gli altri, da vecchio è depresso come un cane bastonato.
Samuele lo ha respinto anche da vecchio. Il film inizia così. Marzio si era presentato nello studio di Samuele, presidente di un importante istituto bancario, con un CD e il progetto di far resuscitare il duo Leggenda.
Questo non ci sta con la testa! Se Samuele avesse accettato avrebbe provocato il crollo delle azioni della banca, la fuga dei correntisti. Chi affiderebbe i propri risparmi a un cantante? Io no.
Marzio non riesce a rassegnarsi al passaggio del tempo, alla fine della giovinezza, al fatto che il momento magico dura un attimo: il drone, o la stella cometa, si sposta, si porta verso altri lidi. È bello conservare la speranza e la disponibilità, bello essere sempre pronti a imbarcarsi per nuove avventure, come Ulisse, ma deve soffiare il vento per andare avanti, con meno forza, ma il vento ci deve essere. Il vento che spinge avanti la vela di Pupi Avati e gli ha consentito l’anno scorso, ottantatreenne, di realizzare Dante, uno dei film più poetici che ho visto negli ultimi anni (mi rendo conto che è un’opinione poco condivisa).

La quattordicesima domenica del tempo ordinario (mi piace molto questo titolo) è il terzo film uscito di recente in cui un regista vecchio rappresenta la vecchiaia: solo Il sol dell’Avvenire, di Nanni Moretti, non ha come tema dominante la nostalgia; negli altri due c’è uno struggimento infinito.
Gabriele Salvatores sposta lo struggimento sul personaggio doppio del suo film (Casanova e il “maestro”).
Pupi Avati lo inserisce in tutto ciò che c’è di autobiografico (a partire dall’album fotografico) in una storia che autobiografica non è.
Forse il regista, che ha iniziato come musicista, ha voluto immaginare un’altra vita possibile.
Quante volte abbiamo pensato che se non avessimo incontrato determinate persone, se a quell’esame fossimo stati bocciati, se qualcuno ci avesse chiuso la porta in faccia, probabilmente la nostra vita si sarebbe svolta in modo diverso!
Il regista si diverte a rappresentare un’altra vita, con la certezza che lui non avrebbe rinunciato al sogno, pur sapendo che alla fine si sarebbe potuto trovare, come Marzio, a cantare e suonare davanti a un tecnico televisivo annoiato e distratto che ogni tanto pigia un bottone per avviare gli applausi registrati o la pubblicità.

In questo film tutto finisce in un fallimento: l’amore, l’amicizia, il sogno di una vita da rockstar o da cantante popolare, il sogno di una vita da top model (non ricordo se a quei tempi si diceva così). Persino la decisione di fare carriera in banca e lasciar perdere i sogni, alla fine, si risolve in un fallimento. Il presente, in questo film, è un fallimento per tutti.

Samuele, che ha scelto la banca e non ha avuto scrupoli a portarsi a letto la moglie dell’amico – spinto dalla donna che voleva vendicarsi, attuare la furia distruttiva rivolta verso un uomo che non sapeva amare, ma la amava teneramente – finisce prigioniero dei palazzi del potere, poi sale su una sedia per precipitarsi dalla cima di una rampa di scale che sembra fatta apposta per agevolare il suicidio. A sconfiggerlo è la malattia e la morte del figlio.
Si potrebbe osservare che Pupi Avati, gelosissimo della sua donna (lo ha detto lui), nel film fa andare a letto il personaggio che la rappresenta con l’amico bello – realizza l’incubo che tormenta il cervello di tutti i gelosi – poi lo punisce facendolo suicidare. È solo una curiosità: non si può andare troppo avanti con queste interpretazioni psicologiche avventurose. Si può solo aggiungere che il cinema serve (al regista, all’attore, allo spettatore) a produrre una catarsi realizzando i sogni o gli incubi. Non a caso Pupi Avati è autore di importanti film horror.

Sandra, la ragazza più bella di Bologna, dopo essersi separata dal marito, essere arrivata a odiarlo, guarisce da una grave malattia e, con l’aiuto di Samuele (cherchez l’argent), riprende il suo lavoro di indossatrice. Poi, al funerale di Samuele, veniamo a sapere che anche con lui si era separata, aveva subito un tracollo economico, aveva perso la casa, si faceva ospitare da un’amica. Fallimento completo di un altro progetto di vita.
Nelle ultime scene si realizza, per Sandra e Marzio, la speranza di un po’ di pace, prima della pace definitiva. Solo un po’ di pace, nell’appartamento con le pareti ritinturate in blu, per richiamare un momento magico per entrambi.

Marzio aveva un sogno e una gelosia patologica. Il suo sogno è stato distrutto dalla incapacità di controllare gli eccessi (di gelosia, di alcol).

Pupi Avati sorprende con la totale libertà che riversa nei suoi film. La libertà riguarda anche, da sempre, la scelta degli attori.
Anni fa scoprì e mise in risalto la vena drammatica e la capacità espressiva di un attore che avevamo sempre considerato solo un simpatico caratterista: Carlo delle Piane, protagonista, nel 1983, di Una gita scolastica.
Pupi Avati sperimenta sempre nuove facce: attori che non ci aspetteremmo evidenziano grandi qualità drammatiche.
Questa è la volta di Massimo Lopez, in una parte piccola (Samuele da vecchio) ma molto intensa.
Edwige Fenech è una conferma, non una scoperta: ha avuto esperienze con grandi registi, nei film non ha fatto solo le docce per le quali molti di noi la ricordano; Pupi Avati gioca con questo ricordo in una scena divertente.

Una scoperta è Lodo Guenzi, che finora, come attore, avevo visto solo in un brutto film: EST Dittatura last minute, regia di Antonio Pisu (commento su questo sito). Ammetto di non essere informato abbastanza della carriera di attore intrapresa da questo cantante.

La quattordicesima domenica del tempo ordinario è un po’ il C’eravamo tanto amati (Ettore Scola) di Pupi Avati. La generazione è successiva; il tempo rimpianto non è il tempo eroico della guerra partigiana, della Liberazione e del dopoguerra che preparò il boom economico e la transizione dell’Italia verso una democrazia matura.
Anche in C’eravamo tanto amati (1974) c’è il sognatore destinato al fallimento (Nicola Palumbo, interpretato da Stefano Satta Flores), il cinico realista (Gianni, interpretato da Vittorio Gassman) che fallisce anche lui perché si fa imprigionare dal suocero (l’imprenditore palazzinaro e imbroglione, interpretato da Aldo Fabrizi) e dalla sua avidità di potere; c’è la ragazza (Luciana, interpretata da Stefania Sandrelli) che cerca una strada nel cinema ma non riesce (come tante) e si accontenta di fare la maschera in una sala cinematografica.

Qui finisce il parallelo tra i due film; manca il personaggio interpretato da Nino Manfredi (Antonio, l’infermiere), idealista ma concreto.

Bisogna anche dire che i personaggi disegnati da Ettore Scola nel suo capolavoro sono molto più approfonditi di Marzio, Samuele e Sandra; questi ultimi ci lasciano la sensazione di avere acquisito di loro solo una conoscenza superficiale.
Sappiamo poco della vita di Sandra, solo che desidera ardentemente fare l’indossatrice e liberarsi dell’obbligo di allevare una caterva di figli (all’epoca molte donne si accontentavano di questo obiettivo tradizionale). Sappiamo nulla, proprio nulla, della vita di Samuele (tranne la scena struggente al capezzale del figlio morto); un po’ di più sappiamo di Marzio, ma non abbastanza da capire che cosa gli bolle nella testa.
Alla fine, quando, nel ristorante con Sandra adulta, reagisce nel solito modo al sospetto di una provocazione da parte di un giovane, dà l’impressione di essere affetto da paranoia; nell’ultima scena, al ritorno dall’ospedale con la testa fasciata, sembra un derelitto. No, decisamente non capiamo Marzio, il suo comportamento sfocia troppo spesso nella patologia.
In una scena precedente, in chiesa, quando cerca di suonare la chitarra senza il permesso dei parenti del defunto, il suo cervello non gira nel verso giusto dal momento che non è detto, come lui sembra credere, che per Samuele il tempo in cui suonava e cantava nel duo Leggenda fosse il migliore della sua vita: non è detto che il morto, potendo chiedere il suo parere, accetterebbe con piacere la sua esibizione.
Di questo personaggio capiamo solo che è un uomo fortemente centrato su se stesso.

La parte più bella (forse la più autobiografica, oltre alle immagini della vecchia Bologna) è il sogno, che forse non è un sogno, in cui Marzio rivede il padre perduto troppo presto e parla con lui, finalmente in piena libertà, finalmente senza la paura di essere giudicato, di essere troppo sincero, troppo indifeso, la paura che ci attanaglia quando parliamo con gli altri.

Si può notare che in questo momento i film italiani più interessanti in circolazione sono fatti da registi che hanno, in qualche caso abbondantemente, superato i cinquant’anni; poca roba è prodotta da giovani registi, almeno in Italia. Questa è la mia impressione, che si riferisce ai film che girano nelle sale. So che ci sono tanti autori giovani molto conosciuti sul web. Parlo del vecchio amore: la sala cinematografica.

Negli anni settanta avrei potuto indicare almeno cinque giovani registi italiani (veramente giovani, non come i cinquantenni di oggi) non solo promettenti, ma affermati.
I registi più interessanti sono sempre i soliti, gli stessi che allora erano giovani e ora fanno film che ricordano C’eravamo tanto amati.

In conclusione bisogna aggiungere che i film di Pupi Avati, compreso questo, sono una carezza per gli occhi e per le orecchie.
Inquadrature perfette rendono interessanti persino le scene che si svolgono dentro una macchina o tra la macchina e il fuori; perfetta integrazione con la colonna sonora e con la canzone di Pupi Avati e di Sergio Cammariere, cantata, sui titoli di coda, dall’autore della musica.