10 ottobre 2022 h 18.15
Cinema Spazio Uno Firenze – via del Sole, 10

Temi

Fantascienza e/o distopia
// Civil War // Dogtooth [Kynodontas] // Another End // Povere creature! [Poor things] // Amore postatomico // M3GAN // Everything Everywhere All At Once // Siccità // Nope // Penguin Highway // Lightyear: la vera storia di Buzz // E noi come stronzi rimanemmo a guardare // Dune // La terra dei figli // Tenet // Il dottor Stranamore // AD ASTRA // Brightburn // Jurassic World Il Regno distrutto // 2001: Odissea nello spazio // Tito e gli alieni // L’isola dei cani // La forma dell’acqua //

Tra realtà e finzione, l’arte dell’illusione
// Povere creature! [Poor things] // Asteroid City // Gli ultimi giorni dell’umanità // Babylon // Everything Everywhere All At Once // Finale a sorpresa // La fiera delle illusioni // Otto e mezzo // The French Dispatch of the Liberty, Kansas Evening Sun // C’era una volta a Hollywood // Notti magiche //

Le scimmiette che scrivono (writing.monkeys su Instagram) invitano a vedere Everything Everywhere All At Once dei Daniels (Daniel Kwan e Daniel Scheinert).
Siccome mi fido di loro e mi piace come scrivono, rispondo al post con questo commento.
“Corro a vederlo oggi pomeriggio, allo Spazio Uno a Firenze. Grazie del suggerimento, che mi ha fatto cambiare la programmazione della giornata.”
All’uscita dal cinema, nel treno che mi riporta da una stazione dedicata a una santa a una stazione dedicata a un santo, invio questo commento:
“L’ho appena visto (esco dalla sala). Sono d’accordo: inaugura un nuovo modo di fare cinema, come, a suo tempo, fu Pulp fiction, da cui sono derivati film importanti (tra i quali un capolavoro: Parasite). Vedremo altri film che avranno incorporato la lezione (l’originalità) dei Daniels. Mi sono divertito, ma alla fine stancato (troppo lungo); c’è un collegamento con la teoria dei quanti troppo sottinteso (non siamo tutti fisici teorici); senza riferimenti scientifici il film diventa una favola; sullo stesso tema c’è un bel film di animazione: Penguin Highway.”

Lo spazio per i commenti su Instagram è poco: la necessità della sintesi spinge a tagliare a fette i concetti (Parasite non è l’unico capolavoro che si possa definire figlio, pronipote, di Pulp Fiction). Il regista di Penguin Highway è Hiroyasu Ishida (commento su questo sito): svolge lo stesso tema in modo meno divertente ma più poetico.

Nel 2016 il primo film dei Daniels: Swiss Army Man, mai distribuito nelle sale; si poteva vedere solo in streaming o tramite DVD.
Swiss army knife è il coltellino multiuso, che noi chiamiamo coltellino svizzero e gli americani chiamano coltello dell’esercito svizzero. Dunque Swiss Army Man è un uomo multiuso.
L’uomo multiuso è un cadavere. Un naufrago disperato, che sta per suicidarsi, vede il cadavere sulla spiaggia. Scopre che il morto ha una caratteristica molto particolare.
Il film richiede una riflessione successiva alla visione; da subito, e fino alla fine, ci si sente aggrediti dal linguaggio crudo dei protagonisti e dagli argomenti di cui parlano; il morto, a un certo punto, comincia a parlare, a rispondere al naufrago, a fargli domande. I due non hanno inibizioni verbali: il loro linguaggio fa a pugni con la nostra educazione. Siamo abituati a considerare argomenti personali i peti, le erezioni e le masturbazioni: se ne parla solo tra sé e sé, con discrezione.
Si capisce che il linguaggio volgare e le situazioni grottesche non sono gratuite: come per Amleto, c’è una logica nella follia.
Due personaggi: un Robinson Crusoe disperato e un Venerdì bianco (nel senso di non nero come l’originale), pallido cadavere flatulente dotato di poteri straordinari.
I nomi sono diversi, ma i personaggi sono quelli.
Il naufrago cerca di far tornare in vita il suo portentoso amico raccontandogli le cose per cui la vita è degna di essere vissuta: l’incontro con una donna (sono due uomini), l’innamoramento, il sesso. Parla con il morto, ma a noi sembra che parli con sé stesso.
Anche a lui deve sembrare di parlare con sé stesso, fino a che si accorge che il morto, piano piano, con difficoltà, comincia a reagire, a fare domande.
Un cadavere non ha memoria della sua vita precedente, tutto ciò che il naufrago gli racconta è nuovo per lui, si meraviglia delle reazioni del suo corpo che, sollecitato dal racconto, piano piano ritorna in vita.
In un primo tempo avevo pensato: è la descrizione di un incubo, dell’impazzimento di un uomo tormentato dalla solitudine. Non mi sarei meravigliato se il protagonista, alla fine, si fosse svegliato dentro al letto di contenzione in una sala di ospedale psichiatrico e il morto avesse la faccia di un infermiere gentile.
Non avevo capito niente.
Non che dopo abbia capito di più! Ma non importa: non andiamo al cinema o guardiamo i film sul computer per capire.
Il naufrago, in un momento cruciale, osserva: tutto è merda. In un certo senso ha ragione: siamo polvere e polvere ritorneremo (anche quelli che si credono immortali).
Al di là del significato del film, che mi sfugge (è come un rebus che non riesco a completare), credo che un dato emerga evidente: i due attori, Paul Dano e Daniel Radcliffe (quello di Harry Potter), i due registi, Dan Kwan e Daniel Scheinert (i Daniels) hanno un grande talento, ciascuno nel proprio campo. Dal punto di vista cinematografico il film è perfetto: una storia avvincente, anche se assurda, coinvolgente benché assurda; fotografia, colonna sonora adeguate.

Nel 2022 un altro film complicato dei Daniels, ma, questa volta, divertente: Everything Everywhere All At Once.

È diviso in tre capitoli: Everything (Tutto, Ogni cosa), Everywhere (Dovunque), All at once (Tutto in una volta). Non ci sono virgole nel titolo.
Fin da poco dopo l’incipit è implicita una domanda che siamo sollecitati a porci: come sarei ora se quella volta avessi fatto una scelta diversa?
Quale volta?
Quella a cui ripenso in continuazione: mi sono trovato davanti a un bivio o all’incrocio di più strade.
Ho fatto una scelta consapevole, che poi si è rivelata giusta o sbagliata, o mi ha trascinato la strada su cui mi trovavo, mi hanno trascinato i parenti, gli amici, la pigrizia, la paura, il caso.
Il risultato è il me stesso di oggi. Il risultato è la signora Evelyn Wang, appartenente alla comunità degli emigrati cinesi in America.

Situazione attuale, in questo momento preciso, della signora Wang:
lavanderia a gettoni – la gestisce e la odia;
padre – in carrozzina, quasi demente, si lamenta, chiede di fare colazione;
marito – sorridente, incapace di affrontare qualsiasi problema, pensa al divorzio;
figlia – imbronciata, mangia troppo e desidera solo far accettare alla madre e al nonno la sua ragazza, per giunta non cinese. La mamma finge di confondersi tra “he” e “she” (tra “lui” e ”lei”) quando si riferisce alla ragazza. «In cinese è più semplice» dice alla figlia per giustificarsi, ma entrambe, lei e la figlia, sanno che sta barando, che questo è un modo per evidenziare la sua disapprovazione.
Della situazione attuale di Evelyn Wang fanno parte i clienti che protestano o mettono le scarpette da ginnastica nella lavatrice e, soprattutto, una funzionaria dell’agenzia delle entrate americana che esegue un controllo asfissiante sui conti della lavanderia.
Evelyn è infelice: corre avanti e indietro, cerca di rabbonire la funzionaria feroce e decisa ad affermare il suo potere attraverso l’esame minuzioso di ricevute, fatture, moduli, coefficienti, tenendo sempre aperta la possibilità di pignorare la lavanderia.

Le scelte che abbiamo fatto nella vita ci hanno portato alla situazione attuale. Per Evelyn Wang una situazione infelice.
Qui entra nel film un’ipotesi scientifica non verificata che viene data per dimostrata. Il film entra nel genere fantascienza.
L’ipotesi è la seguente: ogni volta che ci siamo trovati davanti alla possibilità di imboccare strade diverse si è aperto un mondo, un nuovo universo.
Non è una metafora. 

Esiste un numero enorme di universi: l’insieme si chiama multiverso. In ciascuno c’è una versione di Evelyn che ha fatto altre scelte.
È la stessa Evelyn, con capacità e in situazioni molto più interessanti delle attuali.
Mentre qui e ora, in questo universo, Evelyn è terrorizzata, insieme al padre e al marito, da una funzionaria sadica dell’agenzie delle entrate, negli altri mondi è una cantante lirica impegnata nelle prove di uno spettacolo, è un’esperta di kung fu che spiega l’essenza della sua arte, è una chef giapponese, una diva del cinema e tante altre cose.
C’è anche l’universo in cui ha sviluppato caratteristiche fisiche inusuali, perché la specie di homo sapiens dotata di quelle caratteristiche ha prevalso sulla specie da cui discendiamo noi. In quel mondo gli uomini hanno le dita a forma di hot dog.
C’è addirittura l’universo in cui la signora Wang è un sasso, suo marito e tutti gli altri sono sassi, perché in quel mondo non è avvenuta l’evoluzione della vita.

Geniali i Daniels!
Il film percorre il filone della commedia, il filone dell’assurdo, la fantascienza, i supereroi, i thriller. Molte citazioni.
I personaggi passano continuamente da una condizione all’altra. Grande abilità e umorismo dei due registi e degli attori, tra i quali Michelle Yeoh, un’attrice che nel corso della sua carriera ha interpretato personaggi diversissimi tra loro. In questo film ne incontra alcuni.

Evelyn si sposta da un mondo all’altro nel multiverso, di cui vediamo una mappa sullo schermo di un computer.
Qui i Daniels mettono un po’ di pepe nella storia: uno degli universi potrebbe essere distrutto da un cattivissimo – nei film di supereroi c’è sempre un cattivissimo, che digerisce male, dorme poco, ha il fegato ingrossato e si dà da fare, per motivi suoi, per distruggere o assoggettare gli altri.
La nostra Evelyn è chiamata a salvare il mondo, a fare, suo malgrado, il supereroe (supereroina non suona tanto bene).
Il film è diventato un thriller spaziale, con combattimenti serrati e mosse acrobatiche tra i rappresentanti del bene e i rappresentanti del male.
C’è un’idea scientifica alla base di questo divertente, a volte divertentissimo, troppo lungo, racconto di ogni cosa (Everything), ogni dove (Everywhere), tutto in una volta (All at once), senza virgole.

Un grande sogno! Non il thriller, che serve solo a mettere su un po’ di trama che spinga gli spettatori a non perdere il filo (ogni tanto succede; non sono teneri con noi i Daniels, anche se tengono ben presente che stanno facendo un film, non un documentario di Superquark o del corrispondente programma americano).
Il grande sogno, che risolverebbe tanti nostri problemi e rimpianti, forse tutti, è l’idea che esistano universi paralleli nei quali ciascuno di noi ha sviluppato tutte le possibilità che aveva alla nascita e anche prima di nascere.
In ogni universo è presente un me stesso che quella volta ha fatto una scelta diversa. Quale volta? Tutte le volte che ci siamo trovati davanti a un bivio o alla confluenza di più strade.
Gli universi sono in numero enorme, perché nella vita questa situazione si verifica tante volte per ciascuno di noi.
L’idea viene dalla scienza: è uno degli sviluppi possibili della meccanica quantistica, anche se non si può dire che sia una teoria scientifica.
Gli universi paralleli non si possono osservare e, quindi, neanche misurare; quando si avrà anche un solo segnale empirico della loro esistenza, quando si potranno fare esperimenti e l’ipotesi sarà falsificabile (Karl Popper), saremo nell’ambito della scienza. Per ora siamo nella fantascienza.

L’idea ha colpito soprattutto gli artisti, naturalmente.
Da dove viene fuori?
Dalla Fisica teorica, in particolare da quella parte della Fisica che si è sviluppata nel secolo scorso a partire dagli studi di Max Planck e Albert Einstein: la meccanica quantistica.

È un settore della Fisica che ha portato enormi sviluppi e applicazioni, alcune delle quali sono davanti ai nostri occhi o nelle nostre tasche, altre ci cambieranno la vita in futuro.
I fisici erano impegnati a risolvere problemi relativi alla struttura degli atomi: trovare l’equazione matematica che descrive le caratteristiche delle particelle subatomiche, in particolare la distribuzione dell’energia degli elettroni.
I quanti sono pacchetti di energia (Planck, Einstein) che consentirono di spiegare le proprietà ondulatorie e, insieme, corpuscolari della luce.
Si applicò il concetto alla struttura degli atomi, alla rotazione degli elettroni intorno al nucleo.
Nella fisica classica per descrivere il moto di un punto materiale si usano le leggi di Newton che consentono di stabilire, istante per istante, tutte le proprietà del moto (posizione, velocità, accelerazione, energia); nella meccanica quantistica si associa alla particella subatomica una probabilità, utilizzando un’equazione che la descrive come corpuscolo e, insieme, come onda. Non possiamo stabilire dove si trova un elettrone, ma solo la probabilità che si trovi in un punto. Questo non è dovuto a un limite dei nostri strumenti di misura, è connesso alla natura (corpuscolare e ondulatoria) di queste particelle.

Einstein non era convinto al 100% di questa descrizione del mondo subatomico basata sulla probabilità («Dio non gioca a dadi»).

Il principio di indeterminazione di Heisenberg stabilisce che non è possibile determinare quantità di moto (velocità, energia) e posizione di una particella nello stesso istante, indipendentemente dalla precisione e dalla sensibilità dello strumento di misura. Se misuriamo la velocità, la posizione diventa indeterminata, se misuriamo la posizione, la velocità diventa indeterminata.
Le particelle subatomiche sono sia corpuscoli che onde. Le proprietà che si misurano (corpuscolari o ondulatorie) dipendono dallo sperimentatore.

Nel 1957 Hugh Everett III avanzò un’ipotesi: la scelta di una proprietà misurabile della materia non esclude le altre; le diverse proprietà si trovano in un numero molto elevato di universi paralleli.
Da qui a estendere il discorso agli oggetti estesi non ci vuole niente, solo un po’ di fantasia.

Ecco da dove vengono gli universi paralleli del film dei Daniels e di Penguin Highway.
Si chiama “Interpretazione a molti mondi”; fu avanzata nel 1957 dal fisico Hugh Everett III. Esistono molti universi paralleli, in ciascuno dei quali si realizza uno degli stati alternativi che caratterizzano la materia. L’idea fu ripresa, sviluppata e pubblicata nel 1970 dallo scienziato americano Bryce De Witt. Ebbe grande successo.

È possibile verificare l’esistenza di altri mondi? Per ora non è possibile, purtroppo.
Per fare questa verifica ci dovrebbe essere la possibilità di spostarsi dall’uno all’altro, ottenendo, inoltre, un vantaggio non trascurabile: il viaggio nel tempo.
A Napoli si dice: e rittə nientə! (hai detto niente! Ti sembra di avere detto poca cosa?!)