26 gennaio 2022 h 18.00
Cinema Arsenale Pisa – vicolo Scaramucci, 2

Temi
Tra realtà e finzione, l’arte dell’illusione
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La rivista Sight & Sound, pubblicata dal British Film Institute dal 1934, realizza, a partire dal 1952, un sondaggio tra i più autorevoli critici per compilare una lista dei migliori dieci film di tutti i tempi.
La lista è stata rinnovata ogni dieci anni: nel 1962, nel 1972, nel 1982, nel 1992, nel 2002, nel 2012 (per ora, l’ultima).
A partire dal 1972 nella lista si trova sempre   – di Federico Fellini (Premio Oscar 1963), tranne una volta, nel 1992. Considerando i mutamenti del gusto e delle tecniche intervenuti dagli anni sessanta, e l’apparire di nuovi capolavori, a me questo sembra un dato significativo.
Forse solo Quarto potere di Orson Welles (1941) è presente con la stessa frequenza in quegli elenchi.
Dal 1992 la rivista ha aggiunto una lista ricavata dalle opinioni dei più importanti registi: i dieci migliori film di tutti i tempi secondo i registi. Nelle tre compilazioni realizzate finora – 1992, 2002, 2012 – il film di Fellini si trova sempre ai primi posti.
In particolare, nell’elenco compilato da Martin Scorsese nel 2012, sono presenti

Al primo posto: 2001 Odissea nello spazio – di Stanley Kubrick (1968)
Al secondo posto:  – di Federico Fellini (1963)

Io inserirei nel mio elenco personale almeno due film di Martin Scorsese e tre di Charlie Chaplin, uno dei quali, Luci della città, al primo posto.
Al secondo, anche per me, va il film di Fellini, che spesso chiamiamo Fellini 8½ – come fosse nome e cognome.
Non è importante quali siano gli altri film scelti da Martin Scorsese (la limitazione nel numero impone sacrifici assurdi), o quali siano i preferiti da ciascuno di noi: la scelta è legata a esperienze, soprattutto emotive, estremamente personali. Non si tratta solo di gusto o di cultura cinematografica, si tratta di emozioni, ricordi.
Sottolineo che per il grande regista Martin Scorsese, come per un modesto e approssimativo amante del cinema, per altri registi e per altri amanti del cinema, dopo tanti anni dalla sua uscita sugli schermi cinematografici (un altro mondo), Fellini 8½ sia considerato stabilmente uno dei dieci migliori film mai realizzati, più di altri film di Fellini che appaiono fuggevolmente in quegli elenchi o non appaiono.
Eppure, molti degli altri film sono certamente capolavori, sono anche più semplici, più accessibili al grande pubblico, occupano un posto speciale nella nostra memoria e hanno avuto un numero assai maggiore di spettatori.

Come si spiega?

La spiegazione che mi do è la seguente: questo film complicato, non “popolare”, che non concede nulla allo spettatore ed è estraneo al neorealismo, alla commedia all’italiana, all’impegno politico, è cinema allo stato puro.

Che vuol dire?

Diciamolo in negativo, utilizzando la tecnica che consentiva di fermare le immagini quando si usavano gli strumenti analogici di ripresa: la macchina fotografica realizzava l’immagine negativa, poi, con un procedimento chimico, dal negativo si passava al positivo.
Proviamo a fare la stessa cosa (più o meno) con Fellini 8½.
Non è un racconto per immagini; non ha una trama che si possa raccontare facilmente, dunque non può essere assimilato alla letteratura: se non fosse un film non esisterebbe (in altri casi la sceneggiatura è letteratura e regge come tale indipendentemente dal film).
A me piace raccontare i film, e, spesso, racconto troppo; con 8½ non si corre questo pericolo: la trama è così semplice, ridotta all’osso, che non c’è nessun finale da svelare.

Nella pittura potrebbe corrispondere a una serie di quadri astratti (una sola tela non basterebbe a contenere tutto), che però sarebbero statici. Puoi essere Picasso, ma se dipingi su una tela ci sono limitazioni oggettive.

Solo il cinema consentiva, all’epoca in cui il film è stato realizzato, la rappresentazione dinamica dei pensieri, sogni, ricordi, momenti di vita, incubi … uno dopo l’altro, senza soluzione di continuità.
Lo spettatore è spiazzato, perché non c’è un segnale che lo avverta: ora stai vedendo un sogno. Pare che negli anni sessanta ai cinema situati nei paesini siano state inviate copie in cui le sequenze oniriche erano virate in seppia. Non so se si tratti di una leggenda metropolitana; suggerirebbe un’idea poco lusinghiera della produzione nei confronti di noi provinciali.

Inizia con un incubo: chiuso in macchina, la macchina ferma in un ingorgo di traffico, volti immobili, sguardi severi provenienti dalle altre macchine. Guido è bloccato nell’indifferenza di tutti. Come accade a volte negli incubi, se la paura non ci fa svegliare, raggiunto il massimo dell’angoscia si è liberi. Guido esce dalla macchina, si libra nell’aria, ma è una figura goffa, non ha la leggerezza degli uccelli, non si trova nel suo elemento; viene catturato, precipita, si sveglia.

L’idea è semplice: Guido Anselmi (Federico Fellini) non riesce a portare avanti un film di cui ha avviato la realizzazione.
 è il film sul film che il regista famoso, partito da un’idea, non riesce a completare. Famoso – altrimenti il produttore non avrebbe anticipato i soldi.

Nel 1963 Fellini era famoso e aveva fatto entrare molto denaro nel cinema (sale, attori, tecnici, operai, produttori e via discorrendo). Era affidabile, entro certi limiti, tanto da essere seguito su una proposta di un film strano, non “popolare”: il regista che non riesce a fare il film.
La situazione corrispondente, per uno scrittore, sarebbe un foglio bianco pieno di scarabocchi e di pensieri buttati lì senza controllo: una situazione deprimente, rappresentata fino alle estreme conseguenze dal personaggio interpretato da Jean Louis Trintignant nel film La terrazza di Ettore Scola.
Associazione libera è chiamato nella tecnica psicoanalitica il flusso di parole incontrollate (Fellini era affascinato dal ramo junghiano della psicoanalisi). Analisi dei sogni: altra tecnica della psicologia analitica.

C’è un libro ponderoso, in tre volumi, che raccoglie i sogni notturni di Fellini: li ha descritti, aiutandosi con gli schizzi, praticamente per tutta la vita. Al risveglio scriveva e disegnava il sogno appena fatto, prima che scappasse via dalla memoria; andava a Cinecittà e rappresentava i sogni, buona parte del materiale di molti film, insieme ai ricordi.

In fondo 8½ non ha neanche un titolo: dopo il nome del produttore – Angelo Rizzoli, il fondatore della casa editrice e della casa di produzione e distribuzione CINERIZ – appare la scritta “8½ di Federico Fellini”; più che un titolo è un calcolo: sei film completi e tre mezzi film, cioè con più di un regista; se la matematica non è un’opinione, fanno sette film e mezzo … più uno.

En passant si può aggiungere che Angelo Rizzoli (parlo del fondatore) era l’editore del Marc’Aurelio, il bisettimanale satirico a cui il giovane Federico si era accostato trasferendosi, intorno ai vent’anni, insieme alla madre Ida e alla sorella, poi anche al fratello minore, dalla natia Rimini a Roma. Il padre Urbano era rimasto a Rimini per proseguire la sua attività.
La madre voleva tentare di ristabilire i rapporti con la famiglia di origine, interrotti quando aveva conosciuto e sposato Urbano e si era trasferita a Rimini. Non riuscendo nel suo intento, dopo un anno la signora Ida tornò a Rimini con la figlia, mentre i due figli maschi, Federico e Riccardo, restavano a Roma.

Appena arrivato nella capitale, dopo essersi iscritto, per spinta della madre, a legge (ma non ne farà nulla), Federico aveva cercato inutilmente di entrare nel più famoso settimanale satirico dell’epoca, il Marc’Aurelio; aveva cominciato a collaborare con un quotidiano: Il Piccolo – Giornale d’Italia.
In seguito Federico entrò nella redazione del Marc’Aurelio con i suoi disegni e i suoi racconti e riuscì a farsi un nome nella cerchia dei lettori e degli scrittori del giornale. Tutto ciò prima di “scoprire” il cinema, come sceneggiatore e come regista.

Guido Anselmi soffre di disturbi fisici, non una vera e propria malattia; si sottopone alla cura delle acque e ai cosiddetti bagni termali per riposarsi, forse fuggire (non tanto lontano: da Roma a Chianciano), ritrovare la salute e l’ispirazione. Però, intanto, ha avviato la realizzazione del film, si è impegnato, ha messo in moto la macchina, ha raccolto un buon numero di attori (attraverso provini o per chiamata diretta), i tecnici, gli operai, persino un critico cinematografico, che dovrebbe garantire dal lato “intellettuali” con i suoi giudizi puntuti e “colti”.
Tutta questa gente, raccolta in un albergo, aspetta la sua parola.
Ha fatto costruire un’enorme struttura che dovrebbe servire per un film di fantascienza: l’impalcatura di un’astronave sulla quale gli abitanti della Terra, distrutta da una catastrofe nucleare, scapperanno via.
Non sa più che farsene di quella struttura: ha perso il filo della sua arte, ha perso il filo della vita.

Guido fa arrivare nella stazione termale l’amante e la moglie: non si preoccupa minimamente del possibile incontro tra le due; racconta bugie con grande naturalezza.

Questo personaggio, che rappresenta lo stesso regista (come si vede in quel periodo) è una specie di Alice nel paese delle meraviglie, ma anche di Figaro del Barbiere di Siviglia; tutti lo cercano, tutti lo vogliono: il produttore, gli attori, le comparse prese dalla strada, le attrici in cerca di rassicurazione, conigli e cappellai matti che ruotano intorno al mondo del cinema, che ruotavano in continuazione negli anni sessanta, perché dietro l’apparenza di circo equestre giravano milioni di lire.
A differenza di Figaro, Guido non ama la situazione, che certamente gli piaceva prima. Ora vorrebbe fuggire, addirittura con la morte.

È in crisi il suo rapporto con le donne; non riesce a districarsi tra i vari aspetti dell’Anima (Jung), “l’immagine interiorizzata del femminile” che ciascun individuo di sesso maschile porta con sé: Carla (l’amante), Luisa (la moglie), Claudia (il candore, la purezza, la grazia, forse con la gi maiuscola), Rossella (la razionalità), la Saraghina, la prostituta selvaggia che mostrava il corpo ai bambini per pochi soldi (l’istinto, il sesso femminile). Dietro a tutte c’è il rapporto difficile che ogni maschio ha con la madre: ogni figura femminile riporta alla madre (in fasi diverse dello sviluppo).

Guido ricorda l’infanzia contadina che, nella realtà, Fellini non ha vissuto ma solo intravisto attraverso la nonna paterna, una vecchietta rinsecchita che brontola in una lingua antica, apparentemente incomprensibile, in realtà chiara, esplicita anche per un meridionale come me, una lingua bellissima, che non ha bisogno di parole e sembra musica.
Le morbide donne contadine immergono i bambini in una tinozza: il bagno nel vino serve a rinforzarli, a preservarli dalle malattie (altro che le medicine); una bambina, dall’alto, lancia chicchi d’uva nella tinozza; le donne accolgono i bambini nelle braccia calde, nei panni caldi, li mettono nel lettone a dormire sereni. La vecchia controlla che si siano addormentati. La bambina insegna al bambino Guido la formula “Asa Nisi Masa”.

Tutta questa sequenza, che inizia con il telepata, per me è la parte più bella del film, è una delle sequenze più belle mai viste al cinema. 

Se ritieni un film così importante da metterlo tra i primi dieci, al secondo posto, d’accordo con Scorsese; se sei affezionato, a prescindere, ai film di Fellini, che hanno accompagnato il tuo amore per il cinema, ai volti degli attori e delle attrici felliniane – primo tra tutti Marcello Mastroianni; se riesci a sopportare, a fatica, Sandra Milo quando la vedi in televisione, solo ricordandoti questa interpretazione (ma che le è successo? È rimasta bloccata per sempre in un personaggio?); se la musica di Nino Rota ti accarezza l’anima ogni volta che la senti, non ti lasci sfuggire l’occasione di andare in una bellissima sala cinematografica (l’Arsenale di Pisa) a vedere Fellini 8½ restaurato dalla Cineteca Nazionale e da Medusa.

Mediaset (Medusa) detiene i diritti “prelevati” dalla CINERIZ, che fallì, insieme a tutto l’ambaradan, quando finì nelle mani del nipote del fondatore.
Il fondatore, Angelo Rizzoli, teneva i conti sulla scatoletta di un pacchetto di Turmac (le sigarette): debiti, crediti, denaro circolante. Con questo sistema controllava i numeri dell’azienda e riuscì a costruire un impero editoriale che due generazioni (figlio Andrea, nipote Angelo), solo due generazioni sono riuscite a distruggere (ciò che rimane, smembrato e ricostruito, appartiene ad altri).
Non sono affari miei, ma la “distruzione” della Rizzoli e la “distruzione” della Olivetti mi fanno incazzare. Come fosse roba mia. Lo so, questi due marchi non sono finiti, sono passati di mano, sono entrati in altri gruppi, continuano a produrre reddito. Anche le aziende hanno una personalità e la Rizzoli, la Olivetti che ho conosciuto non esistono più. I primi libri, i primi tascabili (o i secondi, dopo Mondadori), i film amati, la prima macchina per scrivere, il primo computer. I “capitani coraggiosi”, se resuscitassero, non le riconoscerebbero: i veri capitani coraggiosi, non quelli che in seguito furono definiti tali ed erano solo capaci di spolpare le aziende.

Il film è stato restaurato a partire da una pellicola originale e da una vecchia copia positiva ancora in buone condizioni. Ho letto che nel restauro qualcosa si sarebbe modificato: una sovraesposizione voluta dal regista in un momento del film, la solarizzazione della sequenza delle terme, sarebbe stata eliminata, sostituita da una regolazione perfetta dell’illuminazione e del contrasto.
Ho la presunzione di una buona memoria (finché regge), ma non ricordavo particolarmente il momento di sovraesposizione, anche perché una volta, con la bassa risoluzione di cui disponevamo nelle fumose sale cinematografiche e sugli schermi dei vecchi televisori, era tutto sovraesposto, sottoesposto, contrastato, col fuoco poco centrato. Faceva parte dell’arte cinematografica, risultato delle intenzioni del regista e delle condizioni in cui si vedevano i film.
Ciò rendeva estemporanea questa forma d’arte, postmoderna, come quelle esibizioni che alla fine dei sessanta chiamavano happening e oggi chiamano performance: Marina Abramović fa la performance; anche il salumiere: «Mi faccia una performance di tre etti di prosciutto toscano e una bottiglia di lambrusco»: tra tra tra (rumore dell’affettatrice). «Desidera altro?».

Non sono riuscito a fermare l’attenzione sul momento della supposta ipercorrezione della pellicola restaurata, primo perché davanti a un film come questo mi lascio andare, secondo perché, onestamente, non ricordavo questo particolare, per i motivi anzidetti. Credo sia facile confrontare il film restaurato con le vecchie registrazioni, per capire (sarà sempre un’opinione) se è stato corretto un difetto dovuto all’usura della pellicola analogica originale o il restauro è intervenuto in maniera troppo pesante sulle intenzioni del regista.
Nella biografia di Fellini scritta da Tullio Kezick – Federico Fellini, la vita e i film; ed. Feltrinelli; capitolo 28 – leggo (riassumo): il regista “tradì” il vecchio operatore della fotografia (Otello Martelli) e scelse Gianni Di Venanzo, che aveva lavorato a L’eclisse di Antonioni, proprio perché voleva sperimentare soluzioni fotografiche innovative, tra le quali, appunto, la solarizzazione della sequenza delle terme.

Il personaggio più ripugnante del film è il critico cinematografico, l’intellettuale logorroico che sproloquia e, giustamente, fa una brutta fine, sebbene solo nell’immaginazione di Guido.

Prima di strisciare sotto al tavolo, durante la presentazione voluta dal produttore (il grande Guido Alberti, organizzatore, insieme ai coniugi Bellonci, del premio Strega), quando l’episodio da reale diventa incubo, uno della produzione suggerisce a Guido: «Te l’ho messa nella tasca destra». Guido va sotto il tavolo, estrae la pistola e si spara (nel sogno). Qualcuno ha notato che estrae la pistola dalla tasca sinistra, e giù tutta una discussione. Non hanno pensato che i sogni sono pieni di incongruenze?

Mentre Guido s’intrattiene nella stanza d’albergo con la giuliva amante, pare che nello specchio appaia per un attimo un uomo che si abbassa per non farsi vedere: forse lo stesso Fellini che sta guidando le riprese.
E che sarà mai?

Che cosa significa “ASA NISI MASA”? Significa Anima? (AsaNIsiMAsa).
Fellini si riferirebbe alla psicoanalisi junghiana.
O forse il significato va ricercato nel dialetto riminese? “Masa!” vuol dire “nascondi!”.
Qualcuno fa riferimento alla cultura induista, qualche altro (io sono tra questi) al gusto del gioco, della presa in giro (metto nel film una serie di parole senza senso e mi diverto a vedere come vi scervellate).
Chissà! Fellini non ha mai spiegato, che io sappia.

Incongruenze, errori lasciati lì, misteri.
Semplicemente: cinema.