27 novembre 2023 h 16.30
UCI Cinemas Firenze – via del Cavallaccio, 1

La Storia siamo noi
// La zona d’interesse (la penetrazione del nazismo nelle coscienze) // Napoleon (1769 – 1821) // Oppenheimer (l’inizio dell’era nucleare) // Casablanca (amore e guerra) // Rapito (il caso Mortara) // “Buongiorno, notte” e “Esterno notte: prima parte” (stesso commento; il caso Moro) // “Esterno notte: seconda parte” (il caso Moro) // Belfast (il conflitto nordirlandese) // L’ombra del giorno (fascismo e persecuzione degli ebrei) // Illusioni perdute (la società francese negli anni della Restaurazione) // Est Dittatura Last Minute (i paesi dell’Est negli anni dell’Unione Sovietica) // 1917 (la prima guerra mondiale) // Jojo Rabbit (nazismo) // Herzog incontra Gorbaciov (la fine dell’Unione Sovietica) // Hammamet (la fine di Craxi) // J’accuse (il caso Dreyfus) // La Favorita (i guai della Gran Bretagna al tempo della regina Anna, 1708) // Cold War (la guerra fredda)

Grande rigore filologico della scenografia, scarso della sceneggiatura e della caratterizzazione dei personaggi, soprattutto del personaggio principale; scene di massa e scene di guerra grandiose: l’alternanza tra soggettive e campi lunghi dà la sensazione di trovarsi nel campo di battaglia.
È un’esperienza interessante essere portati nel mezzo della battaglia di Waterloo e – questa è la bravura del regista – viverla come un thriller,  nonostante si conosca la conclusione.

Ne I Miserabili di Victor Hugo c’è una descrizione precisa, più impressionante del film, della battaglia di Waterloo. Sono andato a rileggerla perché, dal ricordo, mi sembrava che il regista si fosse molto ispirato a quelle pagine di grande letteratura e che mancasse un episodio fondamentale. È così: secondo me si è ispirato e manca l’episodio descritto nel Cap. IX che ha per titolo L’imprevisto.
L’imprevisto che contribuì alla sconfitta di Napoleone fu il precipitare di una parte della cavalleria (i corazzieri di Milhaud) in un ampio fossato, ignorato dai militari addetti all’esplorazione del campo di battaglia.
Forse l’episodio – impressionante il racconto di Victor Hugo – è troppo complicato per metterlo in scena: centinaia di cavalieri lanciati alla carica precipitarono in un fosso, uno sull’altro, quelli dietro spingevano quelli davanti, fino a riempire il fosso di uomini e di cavalli calpestati dagli ultimi, gli unici che riuscirono a salvarsi.

Tante sfortune concorsero alla sconfitta di Napoleone, compreso un forte acquazzone che ostacolò i movimenti dell’artiglieria francese, arma decisiva (Victor Hugo: “Napoleone aveva l’abitudine di tenere tutta l’artiglieria in pugno come una pistola, prendendo di mira ora questo ora quel punto della battaglia”).
Mi sarebbe anche piaciuto vedere Cambronne gridare «Merde!» all’ufficiale inglese che gli chiede di arrendersi, espressione identica, ma meno educata e più sintetica del «Vile, tu uccidi un uomo morto!» lanciata da Ferrucci in faccia a Maramaldo.
Non mi preoccuperei di verificare se questi episodi, divenuti leggendari, siano reali. Anche se non sono reali sono veri, nel senso che episodi simili, raccontati dopo tanti anni ai nipoti dai superstiti davanti al camino, con in mano un buon bicchiere di vino – al nonno certamente brillavano gli occhi – si saranno verificati a migliaia.

Molte scene, per esempio la decapitazione di Maria Antonietta (1793), sono realizzate in modo da regalare allo spettatore un’esperienza di realtà virtuale.
Non vedo l’ora di sperimentare la nuova tecnologia che non fa passi avanti perché gli occhiali che servono per “immergersi” sono scomodi (li ho provati). Quando saranno a disposizione occhiali leggeri, diversi da quelli utilizzati dai subacquei, sarà bello farsi un giro in una trincea della prima guerra mondiale, nel centro di Firenze all’epoca di Dante, in una foresta abitata dall’uomo di Neanderthal. Sarà un’illusione, ma le illusioni sono il sale della vita. Credo che chi verrà dopo di noi potrà fare queste esperienze con la stessa facilità con cui accendiamo il televisore; serviranno registi rigorosi come Ridley Scott per realizzare immagini fedeli in 3D con le quali, più o meno, si potrà interagire su percorsi obbligati e previsti. Ma tant’è: finché non avremo a disposizione la macchina del tempo bisognerà accontentarsi. In futuro (se gli abitanti del pianeta si salveranno) sarà possibile navigare nella Storia come ora si naviga tra i siti internet, immergendosi negli ambienti visitati.
Noi abbiamo a disposizione la letteratura e il cinema.

Devo dire che in questo caso, nonostante la bravura del regista, la letteratura batte il cinema almeno tre a uno, non per colpa degli scenografi, che segnano l’unico goal per il cinema.
Il disegno delle scene, i costumi, la ricostruzione degli ambienti sono perfetti; la sceneggiatura è il punto debole.
I passaggi storici sono sorvolati di corsa, senza un minimo di approfondimento. Altro che Bignami! La storia, in questo film, è una serie di nomi e di date. I nomi sfuggono, le date, senza un ragionamento, non si collegano tra loro, si dimenticano. Sarebbe stato più utile indicare le età di Napoleone in corrispondenza dei fatti raccontati. Difficile far credere che l’uomo appassito e un po’ stonato, privo di entusiasmo giovanile, che vediamo sullo schermo abbia 24 anni (1769 nascita – 1793 Assedio di Tolone).
Il personaggio passa dai ventisette anni del matrimonio con Giuseppina Beauharnais ai quarantasei anni di Waterloo ai cinquantadue della fine sempre con lo stesso fisico e lo stesso sguardo assonnato. Qualche volta sembra addormentarsi e qualcuno lo scuote per richiamare la sua attenzione.
Probabilmente l’errore di fondo consiste nell’avere voluto abbracciare un periodo troppo lungo della vita di Napoleone.

Ora passiamo alla caratterizzazione: altro punto debole.
Niente a che vedere col Napoleone di Marlon Brando in Désirée (1954, regia di Henry Koster): un fumettone, ma quel Napoleone attraversava lo schermo.
Joaquin Phoenix ha ancora addosso il personaggio di Beau ha paura (regia di Ari Aster, commento su questo sito). Ha dato a Napoleone l’espressione di Beau: tra intontita e paurosa. Si indovina il pensiero di Giuseppina, quando lo guarda perplessa: «Vediamo che dice questo stronzo che mi è capitato per marito».
Evidentemente alla Giuseppina Beauharnais del film, forse anche a quella storica, non interessava il rozzo militare che faceva l’amore vestito, con lei vestita, e in un solo modo: da dietro. Chi ha detto al regista che Napoleone faceva l’amore solo in quella posizione?
Non è una domanda polemica. Sarei curioso di sapere se ci sono libri di studiosi che hanno affrontato questi argomenti. Se si tratta di ricerche serie e non di illazioni, corro a comprarli. È interessante sapere come si comportava un grande condottiero nella battaglia del sesso. Dal film sembra che utilizzasse sempre la stessa strategia: avanzata decisa dalla retroguardia consumando tutte le munizioni; intanto Giuseppina guardava la parete di fronte, esaminava i quadri e faceva il conto dei giorni mancanti alla prossima spedizione, in Italia, in Egitto o da qualunque altra parte purché non nel suo letto.
La somiglianza del Napoleone di Joaquin Phoenix con Beau del film di Ari Aster salta agli occhi quando appare la madre dell’imperatore.
Si presenta subito come una madre castrante che si propone come modello inarrivabile di donna. La vecchia dominatrice fa l’esame di sesso all’imperatore, riducendolo allo stato larvale. Gli dice: «Nell’altra sala c’è una diciottenne nuda a letto. Così potrai verificare se è per colpa tua che non avete figli o per colpa di Giuseppina. Datti da fare». Questa donna aveva senso pratico. Il grande condottiero non la manda a quel paese: accetta di sottoporsi all’esame. In quel momento Joaquin Phoenix è Beau. Ha dimenticato che sta facendo un altro film.

Questo fa capire, se vogliamo giocare con la psicologia insieme al regista, il motivo che spingeva Napoleone a imbarcarsi in tante spedizioni, ad affrontare tante battaglie, a condurre tanti giovani a morire precocemente, senza darsi un attimo di tregua. Il povero bambino doveva dimostrare alla madre implacabile di essere un vero uomo, un vero imperatore capace di dare un infelice erede alla nazione. L’interpretazione psicologica è un gioco, come sono un gioco i tormenti di Napoleone dedotti dalle lettere a Giuseppina. A quei tempi si scriveva di getto, si scriveva qualunque cosa con quelle penne scomode, come ora si scrive qualunque cosa sulle tastiere, salvo pentirsi dopo avere pigiato invio.
Immagino che molti studiosi abbiano scritto su questo argomento, ma se un rapporto affettivo viene scandagliato unicamente sulla base di lettere scritte in momenti difficili: anche no.

Accontentiamoci: è un film. Però questa è la parte più debole, a prescindere dalla somiglianza fisica e psicologica del personaggio con il vero Napoleone.
Ho già scritto che è fastidioso il volo superficiale tra date e nomi.
Secondo me Ridley Scott avrebbe fatto meglio a concentrarsi su due momenti: il trionfo dell’incoronazione e, dopo un salto rappresentato anche fisicamente dal Napoleone invecchiato e imbolsito, il passaggio dall’isola d’Elba alla battaglia di Waterloo, a Sant’Elena, a “Ei fu. Siccome immobile, / dato il mortal sospiro, / …” (raccomando il punto e la pausa dopo Ei fu, come si faceva una volta a scuola).

Dal punto di vista storico il regista avrebbe potuto sottolineare con i mezzi del cinema l’importanza di quel gesto decisivo colto da Jacques-Louis David nel famoso quadro (notare che la madre non era stata presente alla cerimonia, ma Napoleone la impose a David; a Napoli si dice: «Se no mammà si piglia collera»).
Il gesto di incoronarsi da sé e incoronare l’imperatrice separò definitivamente lo stato dalla chiesa. Da quel momento qualunque potere statale, dittatoriale o democratico, monarchico o repubblicano, si sia affermato in Europa e nei paesi che sono nati come allargamento dell’Europa in altri continenti, non ha avuto la necessità di piegarsi alla supremazia delle religioni e dei suoi rappresentanti. Le Chiese hanno continuato ad avere potere e hanno rallentato il processo, però da quel momento nella testa della gente i vari governi che si succedevano, buoni o cattivi che fossero, non provenivano da Dio: erano il risultato di una sopraffazione o di una competizione elettorale, di una imposizione della classe dominante o di una libera scelta del popolo, non più di un potere fondato nel soprannaturale, dunque indiscutibile. Il potere dello stato non fu più concepito (cominciò a non essere concepito) come un dono, buono o cattivo, di Dio. Era dunque possibile organizzarsi per abbattere il potere dello stato o per sostituire democraticamente un governo senza avere la sensazione di remare contro la volontà di Dio.
Napoleone poté compiere questo gesto rivoluzionario perché era figlio, in una certa misura degenere, di una rivoluzione che, con tutte le esagerazioni, gli sconfinamenti e i ritorni indietro, alla fine aveva mutato nel profondo la mentalità dei popoli europei.