17 gennaio 2020 h 18.30
Cinema Arsenale Pisa – vicolo Scaramucci, 2

La Storia siamo noi
// Campo di battaglia (la prima guerra mondiale) // La zona d’interesse (la penetrazione del nazismo nelle coscienze) // Napoleon (1769 – 1821) // Oppenheimer (l’inizio dell’era nucleare) // Casablanca (amore e guerra) // Rapito (il caso Mortara) // “Buongiorno, notte” e “Esterno notte: prima parte” (stesso commento; il caso Moro) // “Esterno notte: seconda parte” (il caso Moro) // Belfast (il conflitto nordirlandese) // L’ombra del giorno (fascismo e persecuzione degli ebrei) // Illusioni perdute (la società francese negli anni della Restaurazione) // Est Dittatura Last Minute (i paesi dell’Est negli anni dell’Unione Sovietica) // 1917 (la prima guerra mondiale) // Jojo Rabbit (nazismo) // Herzog incontra Gorbaciov (la fine dell’Unione Sovietica) // Hammamet (la fine di Craxi) // J’accuse (il caso Dreyfus) // La Favorita (i guai della Gran Bretagna al tempo della regina Anna, 1708) // Cold War (la guerra fredda) //

I vecchi
// Finalement // The Miracle Club // Perfect Days // Adagio (vecchi delinquenti) // Coup de chance e The Old Oak (vecchi registi) // Bassifondi // Scordato // La quattordicesima domenica del tempo ordinario // Il Sol dell’Avvenire // Il ritorno di Casanova // Non così vicino [A man called Otto] // Orlando // Il piacere è tutto mio // Astolfo // Rimini // Nostalgia // Settembre // Belfast // Callas Forever // Cry Macho // Boys // The father [Nulla è come sembra] // Nomadland // LONTANO LONTANO // Le nostre anime di notte (commento al libro) // Herzog incontra Gorbaciov // The Irishman // Dolor y Gloria // Stan & Ollie [Stanlio & Ollio] // Can you ever forgive me? [Copia originale] // Il Corriere [The Mule] // Moschettieri del re // Lucky // Loro // L’ultimo viaggio // Ricomincio da noi // Ella & John //

Un’intervista alla pancia, da cui gli occhi non riescono a distogliersi, di Gorbaciov, alla sua faccia tonda, gonfia come la faccia di un bambolotto, gonfia come un palloncino volante.
Se si pungesse la faccia di Gorbaciov come la vediamo sullo schermo – questa è l’impressione – si sgonfierebbe con un leggero sibilo, lasciando la pelle appesa, rinsecchita, su cui si vedrebbero ancora la voglia di fragola e gli occhi tondi, inespressivi, che, con un meccanismo interno, ogni tanto si inumidivano e sembravano quasi veri.
Un’intervista alle mani, alle dita, anch’esse gonfie, riparate, per buona parte dell’intervista, con una fasciatura, di quelle che coprono il polso delle persone sottoposte a ripetute fleboclisi.

L’ultimo “Segretario generale del partito comunista dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS)” è stato intervistato in tre occasioni nel corso di sei mesi nei quali è stato anche sottoposto a ricoveri in ospedale – mi sembra che la voce fuori campo abbia detto: a interventi in sala operatoria, ma non ricordo bene. Ciononostante, il volto tondo, inespressivo, cerca di sorridere, dimostra entusiasmo quando gli presentano il dono, consistente in un pacco abbondante di cioccolatini privi di zucchero, perché l’ultimo “Segretario generale … ecc ecc” soffre di diabete e non hanno avuto una buona idea con quel dono: non c’è lo zucchero, ma altre sostanze, nocive per la salute di una persona grassa affetta da diabete, certamente ci sono.

Ogni tanto scorrono immagini di repertorio, si vedono gli ultimi “Segretari generali del partito … eccetera, eccetera” che precedettero Gorbaciov in quella carica: c’era un Soviet Supremo eletto che ratificava le decisioni prese dall’apparato, principalmente dal capo del KGB, che poteva ricattare tutti. Alla fine, la Rivoluzione di ottobre aveva prodotto un apparato inefficiente, incapace di governare, un sistema privo di libertà e di giustizia. Fallimento completo, su tutti i fronti.

Breznev, Andropov, Cernenko. Come per il Papa, la carica durava per tutta la vita, tranne in caso di cospirazioni e disarcionamenti (Krusciov). Gli ultimi tre, negli ultimi tempi, erano ridotti proprio male, sembravano cadaveri ambulanti, morti viventi. Facevano impressione. Dovevano governare, o fare finta di governare, fino a quando gli uomini dell’apparato si arrendevano e consentivano loro di morire, dopo aver trovato un accordo per la successione.

Ai vertici dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche non si moriva senza permesso.

L’accordo si comunicava all’esterno mettendo il nuovo segretario generale in prima fila, al primo posto a ricevere le condoglianze e il bacio sulla bocca, con il volto atteggiato a sofferenza (l’alito di alcuni dirigenti comunisti, soprattutto di quelli quasi fatti cadavere, rientrava nella categoria dei gas asfissianti proibiti dalla convenzione di Ginevra). I giornalisti scrutavano la fila e capivano, in base alla posizione, chi era stato scelto come nuovo segretario generale e quale ruolo, più o meno importante, avevano gli altri.

Se qualcuno mancava, voleva dire che era stato defenestrato. “Più del 15% di coloro che avevano firmato varie petizioni per esigere il rispetto della legalità in occasione del processo Galanskov – Ginsburg è stato defenestrato nello spazio di un mese; quasi tutti coloro che erano membri del partito comunista sono stati esclusi.” – da Andrej Amalrik, “Sopravviverà l’Unione Sovietica fino al 1984?” – Coines Edizioni, pag. 97. L’introduzione di Carlo Bo s’intitola: “Amalrik un testimone per il futuro“.
Un testimone per il futuro. L’edizione italiana, tradotta dalla lingua russa, fu pubblicata nel 1970. Dunque, gli elementi per capire come le cose sarebbero andate a finire c’erano già allora; bastava togliersi le fette di prosciutto dagli occhi.

Considerando che ho sentito difendere la “democrazia sostanziale sovietica” da una persona che aveva studiato (insegnante, laureata in lettere) alla fine degli anni ‘80, mentre masse di tedeschi della Germania est si riversavano per le strade a piedi o sulle Traband per attraversare il confine in direzione della libertà («Quelli vogliono più comunismo», diceva la collega), devo dire che non doveva essere troppo facile togliersi le fette di prosciutto dagli occhi, soprattutto se si era affezionati a questo simpatico accessorio.

Nel corso del funerale di Konstantin Cernenko – un esponente dell’ala conservatrice del partito, malato grave per l’intero anno in cui aveva finto di governare, manovrato come un pupazzo – toccò a Michail Gorbaciov ricevere per primo, con la faccia compunta, le condoglianze dai capi di stato esteri. Sarebbe bastato un sorrisino di soddisfazione per l’incarico finalmente raggiunto e per essersi liberato di un cadavere – chissà quante volte era stato costretto a baciarlo sulla bocca nelle manifestazioni e commemorazioni ufficiali – per metterlo in disgrazia e farlo spostare all’ultimo posto nella fila dei dirigenti comunisti autorizzati a ricevere le condoglianze.

Dura la vita dei politici in ascesa nell’Unione Sovietica! Compensavano tanti sacrifici (soprattutto l’abitudine all’ipocrisia e a guardarsi continuamente alle spalle) con un livello di benessere incomparabile con i sacrifici che chiedevano al popolo, al quale promettevano il paradiso in terra, continuamente spostandolo in avanti (si erano impegnati a sottrarre alla povera gente anche la speranza di guadagnarlo all’altro mondo).

Chi comandava? L’apparato. Dietro alla facciata c’era un gruppo di capi militari, di dirigenti del KGB (nel quale Putin aveva iniziato la sua carriera di spia), sempre provvisti di dossier da utilizzare per ricattare (Putin ha imparato la lezione). Se le minacce e i ricatti non bastavano, si ricorreva all’omicidio per eliminare chi pretendeva di ragionare con la propria testa o di manifestare ambizioni confliggenti con le proprie (anche di questa lezione Putin ha tratto profitto).

I detentori del potere si minacciavano e tradivano a vicenda, complottavano nel chiuso di ambienti impenetrabili, fino a trovare una sintesi da presentare all’esterno, alle masse plaudenti.

È ciò che i nostri dirigenti del PCI chiamavano centralismo democratico e cercavano di applicare (fortunatamente non sempre riuscendovi, ma Cossutta faceva buona guardia). I sovietici applicavano in modo rigoroso i tre principi cardine del centralismo democratico: vietato pensare con la propria testa; in caso di dubbio, sostituire la propria testa con la testa del partito; la testa del partito è l’apparato.

Purtroppo il Partito Comunista Italiano impiegò troppo tempo per capire che la spinta propulsiva della Rivoluzione di Ottobre si era esaurita. Questa espressione (esaurimento della spinta propulsiva) fu utilizzata da Berlinguer nel 1981, a commento del colpo di stato del generale Jaruzelski in Polonia. Berlinguer, trattenuto dalla zavorra (vedi alla voce Cossutta, ma anche alla voce “professoresse o professori che si atteggiavano a comuniste/i”), non riuscì a trarne tutte le conseguenze. La spinta propulsiva si era esaurita fin dai tempi delle “purghe” di Stalin, che non erano rimedi alle difficoltà di evacuazione dell’intestino di cui il dittatore georgiano probabilmente soffriva, ma la sistematica eliminazione fisica, con qualsiasi mezzo, di tutti i suoi nemici politici, compresi quelli che avevano trovato rifugio in Occidente.

Con l’intervista di Herzog a Gorbaciov abbiamo visto come si sarebbe presentato, a conclusione del suo mandato, ai nostri giorni, tranne cospirazioni e disarcionamenti, l’ultimo Segretario generale del partito comunista dell’Unione Sovietica, se l’Unione Sovietica non fosse crollata dall’interno: si sarebbe presentato su quei palchi, tra le altre marionette, come un bambolotto ingessato.

Avremmo visto la mano gonfia uscire dal cappottone di foggia militare che copriva interamente i dirigenti sovietici, come un anticipo della bara, per salutare la folla plaudente (la mano di Breznev era magrissima, sembrava finta).
Gorbaciov ha avuto la fortuna di non essere obbligato a nascondere la malattia in attesa che l’apparato decidesse il successore.
Forse non avrebbe fatto la fine dei suoi predecessori (imbalsamati prima di morire), perché Gorbaciov aveva modificato molte cose, aveva confidenza con i media, sembrava vivo, nonostante ricoprisse quella carica mortuaria, addirittura allegro quando si presentava davanti alle telecamere con la moglie Raissa.
In effetti fu proprio questo cambiamento a far capire che il regime stava crollando: l’apparato non riusciva più a ingessare tutti, soprattutto non riusciva a controllare l’apparente comandante capo (commander in chief, direbbero gli americani).

L’apparato diede un ultimo guizzo: cospirò e cercò di disarcionarlo dall’asino su cui l’aveva messo fidando nella sua ubbidienza.
Poi tutto finì nelle mani tremolanti di un ubriacone (Eltsin).

Dopo il trauma, la paura del disfacimento, i poveri russi cercavano solo un salvatore della patria. Lo trovarono in quello che piace ai nostri sovranisti da quattro soldi (per l’esattezza: 49 milioni di euro).

Questo lungometraggio di Werner Herzog è, come tutti i documentari del grande regista, un film e, come tutti i suoi film, un documentario. I fatti narrati e rappresentati trasmettono quella che Herzog chiama la “verità estatica”, la sua concezione opposta al Cinéma Vérité (Edgar Morin e Nouvelle Vague).

Secondo Herzog

Il Cinéma Vérité confonde tra loro i fatti e la verità, e perciò passa l’aratro sulle pietre. Eppure a volte i fatti hanno un potere strano e bizzarro che fa sembrare incredibile la loro verità intrinseca.

… … … …

Ci sono strati più profondi di verità al cinema, e c’è una sorta di verità poetica, estatica. È misteriosa ed elusiva e può essere colta solo per mezzo di invenzione, immaginazione e stilizzazione. I registi del Cinéma Vérité assomigliano a turisti che scattano fotografie in mezzo alle rovine dei fatti.

Da: Werner Herzog – Incontri alla fine del mondo – ed. Minimum fax – pag.404

Ho riportato queste parole di Herzog perché mi vengono in mente ogni volta che leggo, all’inizio di un film, proiettata sullo schermo, la frase “Questo film racconta la verità” o frasi simili (in Blackkklansman di Spike Lee “La fottuta verità”). Si dovrebbe aggiungere una parolina: la verità estatica, o poetica, di cui parla Herzog.

Qual è l’argomento del film?
Apparentemente sono i ricordi di Gorbaciov; in realtà è la vecchiaia.

L’ho pensato non solo vedendo “la panza” costantemente inquadrata, ma anche quando ho visto un altro protagonista molto popolare degli anni del crollo dei regimi comunisti, il polacco Lech Walesa. Sindacalista degli operai di Danzica, era bello, dotato di un paio di baffoni che all’epoca erano di moda. Intervistato in questo documentario, è irriconoscibile.
Forse c’entrano i liquori forti di cui – è una mia esperienza, non voglio contrabbandarla come regola – i polacchi non si privavano; ne ho conosciuti quando lavoravo in un supermercato a Londra, alla fine degli anni settanta. I giovani polacchi erano disposti a fare i lavori più umili pur di non rientrare nelle grinfie e nella tristezza senza fine del regime; fare festa, per questi miei amici, voleva dire ubriacarsi. Ripeto: non è una regola, è solo un’esperienza personale.

Un film sulla vecchiaia fatto da un vecchio, che porta bene l’età, con tre matrimoni alle spalle e film indimenticabili (uno per tutti: L’enigma di Kaspar Hauser), in alcuni dei quali si interrogava sul trascorrere del tempo.

Le vecchie fotografie in bianco e nero aiutano a capire da dove è venuto fuori Gorbaciov: bambino accanto al padre e alla madre, giovane contadino nei campi, premiato insieme al padre; vediamo la falciatrice sulla quale passava molte ore al giorno, lo vediamo studente a Mosca, provinciale che deve digrossarsi, politico in carriera, capo della seconda potenza mondiale. Poi, gradualmente, la trasformazione: ingrassato, imbolsito, lento nei movimenti, irriconoscibile. Amici, questa è la vecchiaia, sembra dirci, o ricordarci, Herzog.

Margaret Thatcher sostenne con Gorbaciov l’opportunità di non accedere a un trattato con gli Stati Uniti per il disarmo nucleare, con l’argomento: sedere su una bomba nucleare, rischiare l’estinzione della specie umana, è positivo, perché evita lo scoppio di tante guerre convenzionali. Altro segno di un film sulla vecchiaia, perché la Thatcher era vecchia già allora, è sempre stata vecchia (in una foto all’asilo ha la stessa pettinatura, lo stesso sguardo ottuso); seguiva una logica tutta sua, anche in campo economico, una logica che si può definire thatcheriana, basata sul principio: basta che io possa sorseggiare il tè alle cinque del pomeriggio con la regina, di tutto il resto me ne fotto.

La macchina da presa gira intorno alla statua di Lenin, ci ricorda la valanga che trascinò in un attimo una costruzione che sembrava indistruttibile, insieme a chi reggeva la costruzione (i burocrati dell’apparato e gli spioni del KGB) e a chi aveva avviato la valanga (Gorbaciov). Un attimo e gli ungheresi tolsero i chilometri di filo spinato al confine con l’Austria; un attimo e i tedeschi orientali, in massa, abbatterono il muro di Berlino; un attimo e le Repubbliche socialiste sovietiche dichiararono l’autonomia, costringendo Gorbaciov a dimettersi da una carica che non esisteva più.

Alcuni ritengono che il crollo fosse inevitabile, non merito (o colpa, secondo i punti di vista) di Michail Gorbaciov: il sistema era assurdo e, dopo avere distrutto risorse enormi di una potenza che era stata tra le prime nel mondo, proiettata verso occidente e verso oriente, non poteva che piegarsi su sé stesso. Probabilmente Herzog pensa che la forza, la lucidità, la capacità di quell’uomo siano state decisive per trasformare un sistema che era diventato mostruoso.

A questo regista sono sempre piaciute le imprese impossibili (qualcuna l’ha compiuta nella vita), per esempio in Fitzcarraldo racconta di uomini che riescono a portare una nave, nella giungla, in cima a una montagna («Chi sogna può muovere le montagne» è una battuta del film).
Suscitano il suo interesse e la sua simpatia gli uomini al centro di vicende eccezionali, come Kaspar Hauser (un ragazzo trovato in una piazza di Norimberga nel 1800, rimasto chiuso in una cella, isolato dal mondo, dalla nascita), come l’ambientalista Timothy Treadwell, vissuto tra il 1990 e il 2003 tra gli orsi Grizzly dell’Alaska e mangiato da un orso insieme alla sua compagna.

Herzog dimostra grande simpatia per Gorbaciov, in tutta l’intervista, e scarica sul sistema la tragedia conseguente alla perdita di controllo della centrale nucleare di Chernobyl e al sostanziale immobilismo di quel colosso dai piedi di argilla: grande potenza ma basi fragili.
Gorbaciov racconta che il presidente dell’Accademia delle scienze (se ricordo bene l’attribuzione dello scienziato) lo aveva tranquillizzato. Secondo lui ciò che rischiavano le persone colpite dalle radiazioni non era nulla che non potesse passare andando a dormire dopo avere bevuto un bicchiere di wodka. La competenza era stata sostituita da un unico valore: la fedeltà.
In conseguenza di questo grave incidente – a cui il regime reagì, male, in ritardo, confermando la sua inconsistenza – si capì che il sistema era arrivato a un punto di non ritorno.

Io credo che Herzog dia a un uomo politico, prodotto di un apparato in un momento di crisi, più importanza di quella che realmente ebbe; già prima, Krusciov aveva cercato di introdurre delle novità e provato a rivedere l’eredità staliniana, ma senza successo, perché i tempi non erano maturi, nel senso che i frutti di quell’apparato non erano abbastanza marci.

Qui siamo nel campo delle opinioni.

Il fatto è la sofferenza di tanta gente che in quel regime, nato dalla Rivoluzione di ottobre, aveva creduto.

«Àdda vənì baffonə!» diceva, dalle mie parti, chi subiva un’ingiustizia, esprimendo una speranza che non poteva realizzarsi, perché, per fortuna, baffone non poteva venire da noi (nel 1976 Berlinguer dichiarò, in un’intervista a Giampaolo Pansa: «mi sento più sicuro sotto l’ombrello NATO che sotto il patto di Varsavia»); se fosse venuto baffone, ci avrebbe portato solo guai e un cadavere a fingere di governare una nazione.

Nota aggiunta il 31/08/2022
– Michail Gorbaciov, nato a Privol’noe il 2 marzo 1931, è morto a Mosca il 30 agosto 2022 –
Da skyTg24 online: “Gorbaciov, polemica per tweet Rizzo: «Dal 1991 aspettavo di stappare la bottiglia migliore». Marco Rizzo, segretario del Partito Comunista, ha pubblicato su Twitter la frase accompagnata dall’immagine di una bottiglia appena stappata. Non ha scritto nomi, ma il riferimento al leader russo scomparso nelle scorse ore è apparso chiaro. Migliaia di commenti e critiche. Poi ha aggiunto: «La mia è una provocazione voluta, quasi di tipo dadaista».”
Che fesso!