25 maggio 2023 h 17.30
Cinema Principe Firenze – Viale Giacomo Matteotti
Film di Marco Bellocchio su questo sito: // Buongiorno, notte // Marx può aspettare // Esterno notte: prima parte // Esterno notte: seconda parte // Rapito //
“La Storia siamo noi“
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Religioni e/o superstizioni
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Sul caso Mortara (Bologna 1858) ci sono almeno tre libri importanti.
David Kertzer – Prigioniero del Papa Re
Daniele Scalise – Il caso Mortara
Vittorio Messori – Io, il bambino ebreo rapito da Pio IX. Il memoriale inedito del protagonista del caso Mortara
C’è questo film di Marco Bellocchio, una ricostruzione dei fatti e del periodo storico emozionante per l’accuratezza di ogni dettaglio.
Oltre ai libri e al film ci sono i documenti dei processi, gli articoli dei giornali, le dichiarazioni dei politici e degli intellettuali dell’epoca, testimonianze delle persone di famiglia, il memoriale.
Il rapimento del bambino impressionò l’opinione pubblica mondiale, in particolare impressionò le comunità ebraiche.
Nel Museo Ebraico di Francoforte sul Meno è conservato un quadro dipinto nel 1862, quattro anni dopo l’inizio e in piena persistenza del rapimento, da Moritz Daniel Oppenheim (1800 – 1882)
Non so se il caso suscitò la stessa impressione nelle comunità cattoliche e quale reazione ebbero nell’intimo le madri e i padri della nostra penisola; non so se superarono il razzismo indotto dalle gerarchie ecclesiastiche, se riuscirono a identificarsi con i poveri genitori di Edgardo.
Sono pessimista a riguardo: sicuramente la maggioranza delle persone, in ambiente cattolico, fu distolta dalla “pietà cristiana” (che in questo caso sembra un ossimoro) dai preti, dalle monache, dai frati, dai vescovi, dalle associazioni parrocchiali “laiche”, dalla fitta rete di influencer (oggi si chiamerebbero così) che a quei tempi riuscivano a influire sulle coscienze fino a distoglierle dai sentimenti naturali.
Sia chiaro: questa gente corre quando si tratta di dare una mano (a Firenze, nei giorni seguenti il 4 novembre 1966, arrivarono molti giovani delle organizzazioni cattoliche; tanti preti hanno speso la vita per gli ultimi), ma se fin dall’infanzia ti hanno inculcato l’odio per gli ebrei – addirittura durante la messa del Venerdì Santo (Oremus et pro perfidis Judaeis, che significa “infedeli”, ma sicuramente la gente intendeva “perfidi”) fino a Papa Giovanni XXIII e al Concilio Vaticano II – sei portato a dimenticare che il buon samaritano, Cristo, la Madonna, San Giuseppe, gli apostoli e Paolo di Tarso erano ebrei e furono devoti fino alla morte. Il rapimento fu un argomento in più negli ambienti liberali per evidenziare la necessità di abolire un potere assoluto che, per fortuna, aveva cominciato a vacillare.
Dal memoriale di Edgardo Mortara risulta la conversione del giovane alla fede cattolica; il rapimento, secondo alcuni, non è un rapimento in quanto in quegli anni a Bologna vigeva la legge canonica, che prescriveva: un bambino cristiano (battezzato) non può essere cresciuto in una famiglia non cristiana. Sulla base di questa legge inumana la chiesa cattolica aveva assunto la connotazione di una banda di rapitori.
Il meccanismo era semplice: definisco cristiano ogni bambino che ha ricevuto un po’ di acqua sulla fronte e da quel momento su quel bambino comando io.
Se diciamo che i delinquenti non erano delinquenti perché applicavano la legge vigente sarebbe come dire che i delitti contro l’umanità commessi nel periodo nazista non sono delitti contro l’umanità in quanto erano commessi in applicazione delle leggi del Terzo Reich.
Se affermiamo che il rapimento abbia trovato una giustificazione nella conclusione (la conversione di Edgardo), sarebbe come dire che un atto violento non è un atto violento se ha conseguenze che consideriamo positive per chi l’ha subito (ammesso che sia positivo convertirsi dall’ebraismo al cattolicesimo).
Dunque: via libera alla violenza! Nessuna considerazione delle sofferenze delle vittime: il bambino, la madre, il padre, i fratelli, la comunità da cui Edgardo fu strappato.
Portando alle estreme conseguenze questo modo di ragionare, sarebbe ammessa la tortura per convertire gli infedeli.
Di fatto Edgardo Mortara divenne cattolico, spontaneamente si fece prete e riferì ricordi che testimoniavano un progressivo distacco dalla famiglia di origine.
Non sempre il ricordo dei protagonisti può essere assunto come sentenza definitiva e inappellabile per risalire ai fatti; il ricordo è modificato da ciò che è accaduto dopo il trauma iniziale e dai meccanismi di difesa messi in atto.
La vittima di un rapimento, in particolare se è un bambino, nel ricordare la violenza subita non va al se stesso dei momenti in cui è stato sottratto agli affetti (troppo doloroso il ricordo), va al se stesso di un tempo successivo, dopo l’elaborazione del trauma e il raggiungimento di un nuovo equilibrio.
Ciò accade soprattutto se la violenza dura a lungo e tra rapitori e rapito si stabilisce un legame che, col passare del tempo, diventa affettivo.
È accaduto che alcuni rapiti abbiano vissuto la cosiddetta sindrome di Stoccolma nei confronti di bande di delinquenti improvvisate e malmesse. È accaduto con adulti rapiti. Figuriamoci che cosa poteva ottenere una banda ben organizzata che aveva addirittura a disposizione un istituto per la rieducazione (leggasi lavaggio mentale) dei bambini rapiti.
Il rapimento Mortara non fu l’unico, fu solo quello che riuscì a penetrare nell’opinione pubblica per il tentativo di resistere messo in atto senza successo dai genitori, che non si arresero facilmente, e perché avvenne in un momento in cui il potere assoluto del Papa si era indebolito e Pio IX (questo è il nome del capobanda) stava per perdere una parte del potere.
La chiesa cattolica aveva acquisito una lunga esperienza e elaborato un metodo senza eguali per il lavaggio mentale.
I gulag sovietici e i campi della cosiddetta “Rivoluzione culturale” cinese trattavano soprattutto adulti ed erano basati sulla ripetizione ossessiva del trauma (continuo a colpirti fino a che il tuo cervello cede). Nella “Domus Catecumenorum”, in cui erano rieducati i bambini sottratti alle famiglie, si cercava di favorire il superamento del trauma iniziale e si agevolava la confusione tra rapitore e salvatore. Lo scopo era legare indissolubilmente, con un legame affettivo, vittima e carnefice.
Ci sanno fare i preti nel plasmare i bambini e conquistare la loro fiducia: lo abbiamo visto in positivo, quando l’intenzione era di fare del bene, e in negativo nei numerosi casi di pedofilia che continuamente vengono alla luce (sui quali la chiesa dovrebbe porsi delle domande riguardo al “voto di castità”).
Se i bambini rapiti fossero stati affidati in adozione a famiglie cattoliche, avrebbero vissuto le contraddizioni che nelle famiglie reali allontanano i giovani dalla fede.
Invece i rapiti erano inseriti in un grande gruppo (coetanei a cui si affezionavano, figure materne, figure paterne), che dava protezione, l’affetto severo che doveva essere meritato con l’obbedienza. Diventavano parte di una famiglia astratta, ferrea, inossidabile nei suoi principi eterni, nelle sue certezze, mai scalfita dal dubbio, basata su dogmi, riferimento sicuro nel mare in tempesta della vita.
Che situazione riposante, soprattutto dopo un trauma! Potersi affidare a una nave inaffondabile che chiede solo: china la testa (realmente e metaforicamente).
Sui fatti di Edgardo Mortara ci sono opinioni diverse, come è giusto che sia.
Proposta: riusciamo a condividere tutti, cattolici e non cattolici, credenti, agnostici e atei, l’affermazione seguente?
Lo sviluppo della personalità di un bambino, che non aveva compiuto sette anni quando fu sottratto alla sua famiglia, fu alterato dagli eventi successivi, dalla sensazione di trovarsi in una condizione di “dominio incontrollato” (per ripetere l’espressione usata da un altro famoso rapito in una situazione completamente diversa).
Possiamo essere tutti d’accordo anche con l’affermazione seguente?
L’uomo cerca di ripararsi quando subisce un trauma, soprattutto se è un bambino e ha sperimentato l’incapacità dei genitori di aiutarlo. I poveri genitori sono percepiti come la parte debole perché non sono riusciti a salvarlo.
Se tuo padre non ha mantenuto la promessa di salvarti («Ti prometto che ti riporteremo a casa»), il rapitore diventa padre, tanto più se è potente, invincibile, portato in trono, adorato dai fedeli e ben disposto a gratificarti con manifestazioni di benevolenza.
Severo ma ben disposto nei tuoi confronti, se impari a memoria e ripeti in continuazione le preghiere, se pieghi la testa fino a baciare per terra a un suo ordine.
La chiesa cattolica sapeva agire sulla paura.
Questi cattolici che sollecitano l’assunzione di un altro punto di vista pensano si possa giustificare Pio IX perché agiva sulla base di leggi che considerava sacre. Se fossero coerenti con questa posizione, dovrebbero giustificare Hitler, Stalin o un sadico qualsiasi, un terrorista islamico convinto di fare il bene, di applicare la legge (addirittura una legge divina) mentre scatena i peggiori istinti animali di sopraffazione.
Una volta riconosciuto il delitto contro l’umanità, contro la legge naturale (Processo di Norimberga), deve sopravvivere solo il disprezzo nei confronti del colpevole, anche se si nasconde dietro una formula in latinorum (Non possumus).
La scena più bella? I popolani romani, dopo Porta Pia, volevano buttare nel Tevere la bara di Pio IX; Edgardo ritrova un momento di lucidità, ricorda il dolore subìto, la madre disperata. Per un momento si unisce ai popolani.
Non so se la bara fu realmente buttata nel Tevere.
Mi dispiace, ma credo che questo momento di lucidità di Edgardo sia una fantasia del regista, che ci ha abituati, nei suoi film, a realizzare, per un attimo, i sogni (Moro liberato da una brigatista pentita in “Buongiorno notte”). La realtà è che Edgardo tornò nel buio in cui il lungo lavaggio mentale lo aveva costretto. Pur rimanendo cattolico per tutta la vita e morendo novantenne, fu afflitto da numerose malattie (psicosomatiche?) che lo costrinsero a letto per lunghi periodi.
Marco Bellocchio, a più di ottant’anni, è un regista giovane e in piena attività; ha raccontato un suo triste ricordo di famiglia (Marx può aspettare); è ritornato sull’affare Moro (Esterno Notte); in Rapito è tornato a occuparsi di religione e potere.
Quando ha smesso di far entrare la politica ideologica nei suoi film, Marco Bellocchio si è rivelato un grande, geniale raccontatore di storie.
Nota (settembre 2004): Nell’ambito della Mostra del Cinema di Venezia, premio Bresson a Marco Bellocchio. Il premio ha il patrocinio, tra gli altri, del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede. Come dice Giovanna Gammarota su facebook: in barba ai bacchettoni.