29 novembre 2023 h 16.00
UCI Cinemas Firenze – via del Cavallaccio, 1

Suspense (alta tensione: thriller e/o horror)
// BlackBerry (thriller tecnologico) // Club Zero (horror alimentare) // Come pecore in mezzo ai lupi // Sanctuary (thriller psicologico) // Beau ha paura [Beau is afraid] // Cane che abbaia non morde [Barking dogs never bite] // Preparativi per stare insieme … (thriller psicologico) // L’ultima notte di Amore (noir metropolitano) // Holy Spider // M3GAN (thriller distopico) // Bones and All (horror cannibale) // Nido di vipere // L’homme de la cave [Un’ombra sulla verità] // La fiera delle illusioni // America Latina // Raw (horror cannibale) // Titane // Doppia pelle [Le daim] // Il sospetto [Jagten] // Favolacce // Notorious! (thriller H) // Parasite // Il signor diavolo // The dead don’t die (gli zombie sono tornati) // Border: creature di confine // La casa di Jack // Gli uccelli [The birds] (horror H) // L’albero del vicino //

BlackBerry, regia di Matt Johnson.
Il BlackBerry è non solo il mio primo smartphone, è il primo smartphone apparso sul mercato.
Il film è tratto dal libro di Jacquie McNish e Sean Silcoff – Perdere il segnale: La storia non ancora raccontata dietro la straordinaria ascesa e la spettacolare caduta del BlackBerry (Losing the Signal: The Untold Story Behind the Extraordinary Rise and Spectacular Fall of BlackBerry).
Il titolo dice tutto; è la storia di una meteora luminosa apparsa nel cielo della tecnologia informatica, svanita dopo pochi anni; è la storia degli uomini che l’hanno fondata, travolti dalla necessità, faticosa, di pensare sempre cose nuove, anche dopo avere raggiunto il successo. È un campo in cui chi non ce la fa a rinnovarsi soccombe.

Il fenomeno si è ripetuto negli ultimi decenni, ha riguardato aziende nate dal nulla e cresciute nella grande ragnatela che avvolge il mondo (World Wide Web), arrivate a capitalizzare cifre incredibili in pochi anni (a volte mesi), a spartire dividendi enormi, precipitate in pochissimo tempo (a volte settimane o giorni).
Esempio. Gli ex giovani che bazzicavano intorno alle prime versioni di Windows e navigavano su internet quando la metafora ha cominciato a diffondersi certamente ricordano Navigator, il browser prodotto da Netscape Communications. Ora l’azienda e il programma non esistono più.
Il re indiscusso del software (Bill Gates) era in ritardo rispetto alla comprensione dell’importanza di internet; l’altro re, di un reame più piccolo che comprendeva possedimenti software e hardware, (Steve Jobs) in quel periodo era in difficoltà con l’azienda che aveva creato e gli si era rivoltata contro: era abbastanza hungry e foolish da riuscire a occuparsi d’altro (cinema, animazione), nonostante la probabile delusione per l’ingratitudine dei vecchi amici.
Netscape Communications approfittò della distrazione dei due monarchi per imporsi in un settore trascurato: i programmi grafici, intuitivi, che consentono di spostarsi in sicurezza (relativa) e con precisione da un sito all’altro. Da qui il successo di Navigator.
I due monarchi, ciascuno con il proprio stile, fecero in tempo a recuperare. Il primo dette ai clienti Explorer compreso nel prezzo del sistema operativo: colpo decisivo per il quale dovette difendersi dall’accusa dell’antitrust.
L’altro, ripreso il possesso dell’azienda che aveva creato, dette Safari insieme a tutto l’ambaradan (software e hardware).
Netscape Navigator (azienda e programma) non poteva che salutare educatamente e chiudere i battenti. Google ha capito la lezione: il browser Chrome è la ciliegina sulla torta, il cuore del business sono le ricerche.
Un errore grave fu commesso dai programmatori di Netscape quando Navigator era al vertice dei programmi scelti dagli utenti per spostarsi tra i siti. Anziché mantenere la posizione, decisero di avviare una radicale pulizia del software, dimenticando che l’ottimo è nemico del bene.
Mentre i programmatori correggevano ogni riga di comando, puntando alla perfezione, la gente non trovava gli aggiornamenti, non riusciva a far funzionare le stampanti nuove e si rivolgeva altrove.

L’azienda che produceva il BlackBerry non era, come altre, un fenomeno di finanza speculativa. La condizione fondamentale perché un’industria possa avere un successo duraturo è produrre oggetti utili e simpatici. Lo smartphone si è dimostrato molto utile e ha rivelato anche un certo fascino, come la macchina per scrivere Olivetti, la Due Cavalli Citroen, il block notes Moleskine.
Per alcuni anni il BlackBerry funzionò egregiamente e riuscì a diventare status symbol; poi fu bloccato da un irrigidimento di chi lo aveva concepito, dalla incapacità di reagire in modo adeguato alla concorrenza di un oggetto simile (l’iPhone) che dava l’idea di una maggiore capacità di evoluzione.
Non ci fosse stato Steve Jobs a capo della Apple, forse le more in giro (blackberry = mora) sarebbero più delle mele col morso.

La storia raccontata dal film ha l’andamento di un thriller poliziesco; ci sono le guardie e i ladri: una breve apparizione della Sec, l’organo di vigilanza della Borsa americana, e operazioni finanziarie al limite della legalità. La suspense è interamente basata sul rapporto emotivo tra i personaggi principali, rapporto che si avvicina in continuazione al punto di rottura e, alla fine, lo raggiunge.
Lo spettatore si domanda fino a quando il fondatore dell’azienda, Mike Lazaridis – nella prima parte è il buono, poi si adegua sopporterà l’arroganza di Jim Balsillie, il cattivo definitivo: sguardo torvo, incapacità di divertirsi, pensiero fisso, squalo della finanza. Prende con decisione il timone e porta la nave in acque pericolose che comportano grandi guadagni e grandissimi pericoli, compreso il rischio di finire in galera (la borsa americana non scherza).

La suspense riguarda anche il rapporto tra Douglas Fregin, cofondatore dell’azienda, e lo stesso squalo Jim Balsillie: hanno una mentalità troppo diversa per riuscire a sopportarsi.
A essere onesti (non noi, che odiamo Jim Balsillie dal primo minuto in cui ne abbiamo sentito parlare, ma i due fondatori dell’azienda) bisogna ammettere che gli anni di grande successo furono dovuti all’attività frenetica del suddetto antipatico squalo.

Riassumendo, ci sono tre personaggi: Mike Lazaridis, il genio, Douglas Fregin, il pasticcione, Jim Balsillie: ó malamente (il cattivo). Gli altri due sono i buoni: il primo fino alla seconda parte, il secondo, interpretato dal regista, fino a quando esce di scena.
Jim Balsillie era stato licenziato da un’azienda importante per i metodi troppo aggressivi. Disoccupato, decise di proporre ai due ragazzi, titolari di una piccola azienda che non riusciva a piazzare i suoi modem e proponeva un progetto tecnologico completamente nuovo, di diventare socio e capo (CEO), riservandosi la parte amministrativa, mentre Mike Lazaridis conservava il controllo tecnico.
I ragazzi accettarono e da lì l’azienda prese il volo. Dunque è vero che non basta essere i tecnici più bravi, bisogna anche saper piazzare i prodotti. L’odioso Jim Balsillie lo sapeva fare.

A partire dagli anni ottanta si erano verificati tre fenomeni importanti nel campo della tecnologia informatica: computer, internet, cellulari.
I congegni elettronici diventavano sempre più potenti, economicamente accessibili, diffusi.
I cellulari riuscivano a scambiare telefonate e sms tra gli utenti. Poco più.
È importante fare mente locale: ciò che è accaduto in seguito può falsare il ricordo.
Ora tutti abbiamo in tasca un piccolo computer, lo smartphone, con il quale non facciamo solo telefonate: inviamo e riceviamo le email, le videochiamate, leggiamo i giornali, compriamo il biglietto del treno, ci colleghiamo al conto in banca e facciamo bonifici o paghiamo la spesa al supermercato, scriviamo, scarichiamo musica e video. Ci sembra di avere sempre svolto queste azioni, ma non è così: le facciamo con tanta facilità e sicurezza da quando il cellulare è diventato smartphone.
Enormi volumi di dati passano in tutti i versi attraverso una strada, le onde elettromagnetiche, che era considerata troppo stretta per sopportare un traffico così intenso. Il cambiamento fu reso possibile da uno dei personaggi che entrano nel thriller: Mike Lazaridis.
Insieme ad altri studenti di ingegneria canadesi, tra i quali il suo amico Douglas Fregin, negli anni ottanta aveva dato vita a una piccola azienda che produceva modem e cercapersone: la Research in Motion (RIM).
Mike era uno di quei ragazzi che gli anglosassoni chiamano nerd. Sono i ragazzi appassionati della tecnologia informatica. In italiano nerd viene reso con smanettone, che secondo me accentua l’elemento fissazione, o con secchione, che, secondo me, non c’entra nulla. Il secchione studia perché è ambizioso, vuole fare bella figura o perché ha paura. Il nerd conosce i congegni tecnologici come le proprie tasche, studia per il piacere di studiare, non per affermarsi; spesso non brilla a scuola, è troppo distratto dai suoi interessi, ma tutti sanno che è un genio. Lo sanno i suoi amici e lo rispettano: lo considerano particolare, se non proprio speciale.
Capiamo com’è Mike da una scena: si trova in un posto nuovo, non a casa sua, e sente un rumore bianco di fondo provenire da un congegno elettronico; lo smonta e ripara con una graffetta. Questo è il nerd: è sempre in grado di trovare soluzioni ai problemi tecnici perché conosce i congegni elettronici come le proprie tasche.
Douglas Fregin, il ragazzo socio di Mike, associa all’amore per la tecnologia la passione per i videogiochi, i fumetti, i film di fantascienza. Mentre Mike ha un aspetto da nerd, porta gli occhiali, veste casual e assomiglia a Bill Gates quando era giovane, il suo amico Douglas Fregin sembra un hippy.
Per mostrare il cambiamento che Mike subisce nel corso della sua avventura con il BlackBerry, il regista gli fa cambiare aspetto quando l’azienda diventa ricca: cambia abbigliamento, pettinatura, modo di presentarsi; è diventato un’altra persona.
A quel punto Mike non è più un nerd, ha perso la capacità di pensare in modo originale, non ripetitivo, si fossilizza sulle proprie convinzioni e, di fronte a Steve Jobs che presenta l’iPhone, non è capace di contrattaccare con una proposta nuova e sorprendente. La sorte della sua azienda e del BlackBerry è segnata.
Molto bella l’interazione tra gli attori e i video delle vere presentazioni, che ci fa capire in quali momenti ci troviamo.

Torniamo agli inizi.
Siamo ai primi anni novanta, i cellulari si diffondono ma consentono solo di scambiarsi telefonate, sms e poca altra roba.
Gli ingegneri della RIM, tra i quali soprattutto Mike, inventano un’evoluzione del cellulare.
Corposo sistema operativo originale che consente di superare i limiti di “traffico” sulle reti.
Soluzione hardware per consentire all’utente di scrivere: una tastiera fisica fornita di tutti i tasti necessari, che occupa la parte inferiore dello smartphone (metà schermo, metà tastiera). La tastiera sarà la gioia e il dolore degli utenti: la gioia soprattutto di quelli che hanno le dita piccole.
Nei primi modelli una rotellina, che fu sostituita da un minuscolo trackpad ottico (vedi foto in cima) consentiva di scorrere sullo schermo.
I dati scambiati nella rete erano compressi e cifrati con un sistema così sicuro che persino il presidente Obama poteva usare il suo BlackBerry personale senza pericolo di intrusioni.

Lo squalo della finanza Jim Balsillie si impose a capo dell’azienda: grande successo, grandi numeri di vendite.
Jim attrasse i maggiori esperti che lavoravano per la concorrenza promettendo lauti guadagni: da qui l’accusa che gli fu mossa in seguito di applicare pratiche predatorie.
All’interno introdusse un modo di condursi rigoroso che, in un’azienda di giovani ingegneri e studenti, era sconosciuto. Niente più giovedì dedicati al cinema di fantascienza, niente più pause e competizioni di videogiochi. Fissò obiettivi precisi, con scadenze rigorose, da raggiungere per evitare il licenziamento.

Alcuni non resistettero al cambiamento; Douglas Fregin vendette le sue quote azionarie e fece un grande affare che lo rese uno degli uomini più ricchi del Canada. Senza rendersene conto, ma reagendo al tradimento dell’amico che aveva accettato la dittatura di Jim, aveva scelto il momento migliore per vendere le azioni, quando avevano raggiunto il massimo valore.
Dopo poco ci fu un’inchiesta della Sec per alcune mosse scorrette di Jim Balsillie, ma la cifratura dei messaggi e dei documenti segreti resse alle indagini.
La debacle avvenne per un altro motivo: mentre l’iPhone si presentava con il touchscreen (la tastiera sullo schermo), Mike non ebbe la lucidità di capire che si doveva abbandonare il sistema che aveva fatto la fortuna iniziale del BlackBerry: la tastiera fisica. Insistette su una soluzione superata, salvo arrendersi troppo tardi, quando smartphone significava iPhone o Samsung (non solo) e l’avventura del BlackBerry era finita.

PS: i due BlackBerry fotografati sullo sfondo di vecchi e nuovi libri sono ancora perfettamente funzionanti, nonostante l’azienda non fornisca da diversi anni l’aggiornamento del sistema operativo (non so che fine abbia fatto) e non mi fiderei a navigare in rete con uno smartphone non aggiornato e, quindi, poco protetto.