24 ottobre 2023 h 17.30
Cinema Adriano Firenze – via Giandomenico Romagnosi, 46

Film brutti. Decisamente brutti
// Civil War // Enea // Chi segna vince // Un uomo felice // La guerra del Tiburtino III // Mi fanno male i capelli // Felicità // L’ordine del tempo // Educazione Fisica // Il primo giorno della mia vita // Vicini di casa // War La guerra desiderata // La figlia oscura (nei commenti brevi) // Dune // Domani è un altro giorno // Dead in a week // Una vita spericolata // Doppio amore [L’amant double] // Sono tornato //

Mi dispiace per Alba Rohrwacher e per Filippo Timi, due attori che apprezzo molto, ma il film è proprio brutto.
In un altro commento (Un uomo felice, con Fabrice Luchini) ho notato che nei film brutti generalmente lavorano bravi attori. Ho provato a ipotizzare una spiegazione di questa regola empirica.

Mi fanno male i capelli, regia di Roberta Torre, contiene vari spezzoni tratti da film di Monica Vitti e, alla fine, una sequenza di immagini dell’attrice.
Era così bella e così brava che il ricordo della sua bellezza e della sua bravura commuove e quei frammenti, anche se fuori contesto, quelle immagini illuminano un film grigio, lento e malinconico come un funerale.

Non c’è molto da raccontare, anche perché nessun racconto è portato a termine, nessun personaggio viene spiegato o minimamente presentato. Solo accenni, tanto che è faticoso ricordare che cosa fanno i personaggi nei pochi minuti in cui fanno qualcosa prima di scomparire.
La stessa cosa accadeva nel film più famoso di Roberta Torre: Tano da morire (1997).
Di quel film ricordo solo O rèp e Tano (Il rap di Tano), una bella canzone di Nino D’Angelo e un balletto molto divertente. Nessuna storia, nessun personaggio mi è rimasto impresso. Di tutto un film: solo una canzone e un balletto si salvano (nella memoria).
Quando penserò a Mi fanno male i capelli ricorderò le immagini di Monica Vitti.
Chi è il personaggio principale interpretato da Alba Rohrwacher? Una signora ammalata della sindrome di Korsakoff (allucinazioni, perdita di memoria). È un’ombra che si aggira spaesata, sperduta in una villa sul mare e fuori della villa. A un certo punto crede di essere Monica Vitti, l’attrice e i personaggi che interpreta in alcuni film famosi: epoca incomunicabilità e epoca commedia all’italiana.
Chi è Edoardo, il marito della signora? Un’ombra controversa. Potrebbe essere uno stronzo o un eroe.
Chi sono i commensali – forse amici o parenti della coppia – che ridono e guardano Monica con curiosità e stupore, sapendo che non li riconosce?
Sono ombre, accenni di personaggi, volti sorridenti e vagamente aggressivi.
Forse la regista ci ha voluto spingere a identificarci con la signora confusa che non si allaccia la veste dietro la schiena e rimane con le spalle nude. Nessuno l’aiuta.
Fa domande, come fosse un gioco di società, ai personaggi seduti intorno alla tavola apparecchiata; potrebbero essere suoi parenti. «Lei è un navigatore». «Sì, è vero, un navigatore solitario». Tutti a ridere. Forse l’ha detta grossa. Ride anche lei, senza sapere perché.
C’è una netta separazione tra la povera malata, al centro dell’attenzione, e il mondo dei sani, nel quale anche il marito si è rifugiato. Tutta la dolcezza di Edoardo – espressa quando sono soli – sparisce se intorno ci sono altri sani.
All’inizio si divertono («Vediamo che dice!» pensano), poi si rivolge a una bella ragazza bionda che sta sulle sue: «Non sarà facile fare l’amore con lui. Basta. Non è possibile!». Si crea un grande imbarazzo. La ragazza bionda rimane male. Anche Edoardo rimane male. Vuoi vedere che Monica ha indovinato? Bisogna compatire la sincerità: è una persona malata.
Non sappiamo in che rapporti siano i commensali con Edoardo e con Monica, non siamo in grado di apprezzare la differenza rispetto a quando non era ammalata e ci domandiamo come mai una delle ragazze, o anche il marito, non si alzi per aiutarla ad allacciare la veste sulle spalle, per metterla a suo agio o un po’ meno a disagio. Almeno fare il gesto, mostrare empatia, non guardarla come fosse un alieno.

Chi è la signora dal volto severo che non vuole stare a contatto con Monica e le ruba la collana? Così mi sembra, perché la signora ha detto fin dall’inizio che vuole la collana («Stai esagerando» dice Edoardo), vediamo che la mette al collo, poi la collana sparisce. Ma forse mi sono distratto: Monica potrebbe avere nascosto la collana e avere dimenticato dove l’ha messa. Edoardo è convinto che la collana di valore sia al posto suo ma, quando scompare, non si fa nessuna domanda.
Mi sono distratto, come mi succede quando mi annoio. È difficile non annoiarsi a un funerale, se non si ha alcun legame con il defunto, e questo film è lento come un funerale a cui si partecipa per dovere. Non mancano i petali di rose che cadono al rallentatore. Simboli, suppongo.
Forse la regista ha voluto trasmetterci la noia di una vita da cui scappano i ricordi. Se questa è l’intenzione, ci è riuscita, almeno con me. È riuscita ad annoiarmi.

Che cosa è successo a Edoardo per indebitarsi al punto di perdere la casa di Roma e, alla fine, la casa sulla spiaggia di Sabaudia? Anche questo disastro è un simbolo?
Chi è il conoscente di Edoardo che lo tratta confidenzialmente e sembra uno sciacallo? Si avventa sulla casa di Sabaudia: «Vendila a me, tanto se non me la vendi te la pignorano. Se la vendi a me estingui il debito» mi pare abbia detto così. Di che parlano? La regista non ritiene necessario farci capire la situazione, anche solo per darci un’idea della psicologia dei personaggi. Solo cenni.

Un vecchio amico di Edoardo, il figlio della portinaia – si è laureato in legge e fa il postino – gli notifica un atto giudiziario, poi sparisce, ritorna nel nulla da cui si è materializzato per portare l’ingiunzione. Serve solo a leggere il documento e scambiare due parole con Edoardo.
Un bambino viene “sequestrato” da Monica senza rendersene conto. Finisce bene perché il bambino è più sveglio della mamma che lo cerca sulla spiaggia e lo chiama inutilmente. Le ombre non drammatizzano se il figlio sparisce.
Episodi che non lasciano il segno. Dopo pochi minuti Monica, le persone che incontra, il marito, la regista e noi spettatori ce ne dimentichiamo. Solo un personaggio riesce a trasmettere un po’ di vita, riesce a essere vero senza dire una battuta, con lo sguardo dolente: la governante della casa.

Le immagini di Monica Vitti illuminano il film, però non quando la costringono a recitare con Alba Rohrwacher attraverso il trucco banale dello specchio. Un po’ di rispetto, perbacco!
Peggio ancora capita ad Alberto Sordi. È costretto, da morto, a recitare con Alba Rohrwacher e per raccordare le battute sono ricorsi a un imitatore o hanno preso la vocina nasale che Alberto faceva quando interpretava alcuni personaggi comici.
Non so quale sia l’eventualità peggiore: l’imitatore o la vocina presa da qualche parte. Non c’è più rispetto!
Nell’ultima sequenza, all’interno di un cinema, pare che la regista voglia spiegarci perché ha fatto il film. Ce lo poteva dire prima! È troppo tardi ormai: ha sprecato la nostra attenzione; ce ne è rimasta solo poca e la utilizziamo per goderci il bel volto, la bella figura di Monica Vitti.