2 settembre 2023 h 17.10
Cinema Adriano Firenze – via Giandomenico Romagnosi, 46
Film brutti (per me). Sono i film che non mi sono piaciuti
// Dall’alto di una fredda torre // The Fall Guy // Civil War // Enea // Chi segna vince // Un uomo felice // La guerra del Tiburtino III // Mi fanno male i capelli // Felicità // L’ordine del tempo // Educazione Fisica // Il primo giorno della mia vita // Vicini di casa // War La guerra desiderata // Dune // Domani è un altro giorno // Dead in a week // Una vita spericolata // Doppio amore [L’amant double] // Sono tornato //
Si può parlar male del film di un’importante regista, autrice di almeno due capolavori – Il portiere di notte (1974), Francesco (1989) – e Leone d’oro alla carriera a Venezia 80?
È possibile ricavare un film da un saggio di Fisica, scritto da uno scienziato divulgatore?
È possibile.
Gli autori dei buoni film di fantascienza costruiscono una trama che contiene o allude ai concetti scientifici o pseudoscientifici dai quali hanno preso spunto. Gli spettatori assorbono i concetti quasi senza accorgersene.
Esempio: Il pianeta delle scimmie (1968), dal romanzo di Pierre Boule, regia di Franklin J. Schaffner, interprete principale: Charlton Heston (non ho visto i vari seguiti e il remake di Tim Burton: non volevo guastarmi il ricordo).
È basato sulla contrazione del tempo (paradosso dei gemelli) in un sistema che si muove con moto rettilineo uniforme rispetto a un altro di riferimento e viaggia a una velocità relativa prossima alla velocità della luce: Albert Einstein; teoria della relatività ristretta.
È sempre il nostro caro Albert che da un secolo dirige l’orchestra dall’alto della sua intelligenza naturale e dei suoi capelli spettinati.
La trama: per gli astronauti che viaggiavano a quella elevata velocità è trascorso poco tempo mentre sulla Terra passavano millenni o milioni di anni. Cascati su un pianeta – che il capitano Taylor scoprirà essere la Terra – trovano gli uomini ridotti allo stato selvaggio e le scimmie evolute e divenute la specie dominante.
Anche chi non ha le basi per capire la teoria della relatività segue una trama ricca di “colpi di scena”, costruita per catturare lo spettatore; gli autori sono partiti dalla scienza (o dalla fantascienza: è lo stesso) e sono arrivati al cinema. Al cinema, non alle chiacchiere di un gruppo di amici (uno scienziato, una scienziata, una giornalista, un medico, un’avvocata, uno psicanalista, un marpione della finanza) in una villa sul mare.
Secondo esempio: Everything everywhere all at once (2022), regia dei Daniels.
Il film è basato su ipotesi e deduzioni che si possono trarre dalla Meccanica quantistica. I concetti difficili di Fisica entrano con leggerezza nella trama.
Altri esempi di scienza inserita nei film sono Lightyear: la vera storia di Buzz e Penguin Higway – due bei film di animazione (commenti su questo sito).
Non basta mettere un fisico meditabondo dentro una trama noiosa o inserire battute tipo «il tempo non esiste», «il tempo si dilata», «lo spazio si curva». Non basta immaginare che un asteroide minacci di colpire il pianeta Terra a grande velocità, come avvenne sessanta milioni di anni fa, col rischio di provocare l’estinzione dell’homo sapiens (l’altra volta toccò ai dinosauri).
Questo malaugurato evento potrebbe capitare, ma il pericolo non è dovuto alla contrazione del tempo dell’asteroide rispetto al tempo sulla Terra, ma all’impatto meccanico e allo sconvolgimento che determina.
Se anche viaggiasse più lentamente, il disastro sarebbe assicurato.
Che si può dire dei personaggi del film? Passa la voglia di parlarne e dispiace l’impiego di bravi attori per interpretarli.
Il fisico corre in macchina per andare a fare i calcoli (ma dove va?). Cambia idea perché tra gli amici che festeggiano il compleanno della padrona di casa c’è la sua vecchia amante che ha sposato un marpione della finanza.
Da quel momento il fisico dimentica i calcoli e l’impegno urgente verso il quale correva: tira più … di un asteroide diretto verso la Terra.
L’esperto di finanza (praticamente un ladro) dice le uniche due battute sensate del film: 1) «Se i mercati non crollano vuol dire che i potenti sanno che la fine del mondo è poco probabile»; 2) «Sono uno stronzo» … ben detto!
La padrona di casa sente il bisogno di rivelare, nel giorno del suo compleanno, un forte e antico legame omosessuale: «per lei morirei, non per mio marito».
A Roma si direbbe: chi se ne frega non ce lo metti?
Il marito, un leggero (fino all’inconsistenza) Alessandro Gassmann (ha giustamente riportato il cognome all’origine) salta come una farfalla dall’uno all’altro strizzando gli occhi e incasellando banalità.
In una situazione drammatica per il pianeta non accendono il televisore per vedere il telegiornale, non vanno su internet, perché hanno una fonte di notizie di prima mano: il fisico; la giornalista del Guardian (una delle ospiti) insiste con la redazione per dare le non notizie apprese dal fisico, il quale sente il bisogno di informarsi per telefono dai parenti della cameriera peruviana; chiede: «dove ha sentito queste cose?». In Perù le hanno sentite alla radio. Ne sa più la radio peruviana di lui. C’è da chiedersi per quale motivo fosse così indaffarato all’inizio.
La fine del mondo diventa un gioco di società, un ballo di gruppo accompagnato da una canzone di Leonard Cohen con lancio dei cuscini finale, torta per festeggiare il compleanno, giro di marijuana sottratta alla figlia adolescente (i genitori non si chiedono: da chi l’ha comprata? In quale giro di possibili ricatti si sta inserendo?).
Il personaggio più serio è la cameriera peruviana: comincia piangendo (è la più informata di tutti), contrasta l’aumento del disordine di cui i signori non si curano, serve l’insalatina estiva, il dolce, il caffè; è sempre a disposizione per pulire dove i signori sporcano; poi si rasserena e decide di partire per il Perù (gli sfruttatori benpensanti non le hanno consentito per tanti anni di vedere il figlio).
Mi sono chiesto in che modo il film di Liliana Cavani sia collegato al saggio che lo ha ispirato; ho comprato il libro in formato ebook (non avevo tempo di andare in libreria). Lo sto leggendo; mi sembra che tra il saggio e il film ci sia un unico collegamento: hanno lo stesso titolo.
La domanda più interessante che ho trovato all’inizio del libro è la seguente: perché ricordiamo il passato e non il futuro?
Su questa domanda si potrebbe costruire la trama di un film. In un futuro distopico nella mente umana si è verificata un’inversione: gli uomini ricordano il futuro e scoprono ogni momento un po’ del passato. Si dovrebbe lavorare su quest’idea.