6 febbraio 2023 h 17.00
Cinema Odeon Pisa – piazza San Paolo all’Orto

Film brutti. Decisamente brutti
// Enea // Chi segna vince // La guerra del Tiburtino III // Mi fanno male i capelli // Felicità // L’ordine del tempo // Educazione Fisica // Un uomo felice // Il primo giorno della mia vita // Vicini di casa // War La guerra desiderata // La figlia oscura (nei commenti brevi) // Dune // Domani è un altro giorno // Dead in a week // Una vita spericolata // Doppio amore [L’amant double] // Sono tornato //

Un film di una tristezza mortale. Una black comedy che non ha scelto tra l’umorismo nero e la riflessione intorno al tema del suicidio. Potrebbe essere una favola moderna, ma non ha la leggerezza del modello di riferimento (Frank Capra).
Non si capisce che succede dopo la morte; c’è tutto un mistero, comprensibile quando si è vivi, ma i personaggi sono morti: qualcosa di più avrebbero il diritto di sapere!
I morti dipendono da un personaggio misterioso che ha il volto ironico di Toni Servillo (non ci crede neanche lui), li raccoglie con modi bruschi, tono perentorio («Non voltarti indietro», «Sali in macchina»): potrebbe essere un rapimento.
Ogni tanto risponde a qualche domanda ma non svela mai le carte. I morti sanno poco di se stessi, della propria sorte. Sono impacciati.
Se dopo morti si trova un tipo autoritario che ti mette in macchina e ti porta dove dice lui, io preferisco non morire. Da vivo voglio scegliere da solo l’albergo, non lo faccio scegliere a un altro; non sopporto i tipi autoritari. Figuriamoci da morto!
Il personaggio misterioso guarda i suicidi come fossero bambini che hanno commesso una marachella e fa la sua proposta (la chiama patto): osservate ciò che succede nella prima settimana dopo la vostra morte; se cambiate idea potrete fare marcia indietro. Vi diamo una possibilità: guarderete il mondo che va avanti per una settimana senza di voi. I vivi non potranno vedervi (divertente! Quanti scherzi si potrebbero pensare!). Poi deciderete se annullare tutto (il suicidio e ciò che ne è seguito) o confermare la scelta; nel secondo caso la renderete definitiva. Il regista inquadra la macchina che gira con i cinque personaggi; si vede solo l’autista. «Come mai ti possono vedere?» chiede il ragazzino; «Sarebbe strano se andasse in giro una macchina senza autista», risponde il personaggio misterioso, e si fa una risatina.
Hanno pensato a tutto, come in un film. Ma siamo in un film! O forse in una trasmissione televisiva. Come dicevano alla fine? «Sei su Scherzi a parte».

Proviamo a ragionare sulla trama (accade quando il film è brutto; di un film che ci cattura siamo disposti ad accettare tutte le assurdità).
Se il suicida si pente del gesto compiuto, avendone valutato le conseguenze, il tempo torna indietro di una settimana. Sparisce una settimana, non solo nella vita del suicida e dei suoi contigui (parenti, vicini di casa, compagni di lavoro, amici), nella vita di tutti gli abitanti della terra.
Questa è una conseguenza logica che mi sembra di poter trarre dalla storia raccontata nel film, anche se non è resa esplicita.
Se i rami di una pianta, in quella settimana, sono cresciuti di dieci centimetri, la pianta, in conseguenza del ripensamento del suicida, si ritrova con i rami più corti. Miliardi di bambini, nati in quella settimana, spariscono; miliardi di morti resuscitano, anzi: non sono morti. Viene portato indietro il movimento di rotazione della Terra e dei pianeti; tutto ciò per il ripensamento di un solo suicida.
Sono le conseguenze dell’eliminazione di una settimana dal tempo trascorso.
Si potrebbe pensare che tornino indietro solo gli avvenimenti che riguardano quella persona. Le cose che accadono agli uomini si trovano in una rete di relazioni, ogni nodo è collegato ad altri, fino a coprire tutti gli abitanti della terra, le cose viventi e non viventi. Se uno ha scavato un buco nel terreno in quella settimana, il buco sparirà e il suolo, in quel punto, tornerà com’era prima.
La ragazza cinese che sta dormendo in treno, accucciata sul sedile di fronte al mio, se viene eliminata questa settimana non avrà viaggiato in treno da Pisa a Firenze e non avrà fatto buona parte del viaggio accucciata sul sedile di fronte al mio. Se all’arrivo in stazione riceverà una chiamata sullo smartphone da Pechino, insieme al viaggio si annullerà la telefonata; il signore che, a Pechino, ha detto a un amico (traduco dal cinese): «Ho chiamato mia figlia in Italia; domani parto per Firenze» non l’avrà detto, e il giorno dopo non sarà partito per Firenze, perché il giorno dopo non esiste più: un suicida ha accettato la proposta del personaggio misterioso: «D’accordo, mi hai convinto, voglio tornare indietro al momento in cui mi sono suicidato. Cancella pure questa settimana di merda!».
Può darsi che nella settimana successiva le cose si concatenino come si erano concatenate nella settimana perduta, ma non è detto. Probabilmente molti dei bambini che erano già nati emetteranno il primo vagito (il secondo), ma non tutti.

Moltiplicando gli effetti per il numero dei suicidi su tutta la Terra – solo nel film ce ne sono quattro, a ognuno viene proposto di tornare al momento del suicidio, alla fine accettano in tre – si creano sconvolgimenti a catena del tempo, che va avanti e indietro, sconvolgimenti difficilmente gestibili da una ASL.
Questa della ASL non è nel film, è una mia ipotesi. Dal momento che i due personaggi misteriosi che gestiscono le proposte ai suicidi, un uomo e una donna, hanno un aspetto e un comportamento impiegatizi (la donna dice a Toni Servillo: «non mangiare troppo che ti fa male!», e forse pensa: «non mangiare in orario di servizio!»), mi sono chiesto da quale ente supremo sia gestita l’attività.
Escluso il comune, troppo incasinato a risolvere il problema dello smaltimento dei rifiuti, ho pensato che ad amministrare il tutto siano le ASL locali, che si coordinano a livello mondiale.
Gli impiegati gestiscono un albergo chiuso (Toni Servillo, alla fine, toglie la polvere, chiude le camere, mette a posto le chiavi) dove ricoverano i suicidi nella settimana di prova e passano un po’ di tempo insieme a loro.
Un buon lavoro, ben pagato, suppongo. Bisogna prelevare i suicidi dopo che hanno compiuto “l’insano gesto”, portarli in macchina all’albergo, assegnare le camere.
«Buona notte», «Buona notte», «Ci vediamo domani».
Non c’è acqua nelle stanze: i suicidi sono morti, non hanno bisogno di lavarsi, di mangiare, di andare in bagno, spazzolarsi i denti.
Però vanno a dormire nei letti, e, nel giorno della gita al mare, mangiano con gusto gli spaghetti allo scoglio, cucinati dal personaggio misterioso; nel pomeriggio la ragazza sorbisce il gelato.
Dunque si suppone che, almeno in quel giorno, debbano lavarsi, andare in bagno, eccetera. Si suppone che la ragazza in carrozzina abbia bisogno di aiuto.
Chi l’aiuta a svolgere le faccende che un corpo richiede? Sono anime? – Anche gli angeli mangiano fagioli, Bud Spencer, Giuliano Gemma, 1973: allora ditelo che è un film comico!
Sono dubbi che vengono quando il film non ti cattura, gli sceneggiatori non sanno se stanno facendo una commedia nera (serve una dose adeguata di umorismo inglese), un drammone pieno di riflessioni profonde, una favola leggera e ottimista (modello La vita è meravigliosa).

Dal momento in cui si sono suicidati e sono entrati in albergo si avvia il conto dei giorni; sullo schermo appaiono le scritte: primo, secondo, eccetera.
Nei giorni successivi vanno a vedere, non visti, il recupero del corpo nel fiume, i parenti in lacrime, gli amici che commemorano e brindano alla persona defunta; assistono alla funzione religiosa, si siedono al tavolo, invisibili, tra la vedova inconsolabile e l’amico del morto desideroso di consolarla. Qui viene fuori la comicità involontaria, che ci fa ridacchiare contro le intenzioni del regista. Se fosse seduto nella poltrona accanto s’incazzerebbe con noi, ma dovrebbe incazzarsi con gli sceneggiatori. Anche con se stesso.

Napoleone – il personaggio interpretato da Valerio Mastandrea – oltre ad avere un nome poco comune, quando era in vita aveva un lavoro poco comune: il motivatore. Alla fine del film, dopo avere confermato il suicidio (a uno su quattro si doveva farlo confermare), svolge il lavoro di Toni Servillo, per il quale ha dimostrato, nella famosa settimana, una certa attitudine.
Vediamo una ragazza che sta per buttarsi nel fiume e lui, tranquillo, pronto a entrare in azione.
Forse è stato Toni Servillo a raccomandarlo alla ASL: «Vuole confermare il suicidio, si scoccia a tornare indietro. Fatti suoi. È bravo e ha esperienza come motivatore. Assumetelo!».
Napoleone è l’unico di cui non si conoscono i motivi che lo hanno spinto al suicidio. La moglie gli vuole bene, nel lavoro ha successo. Chissà che gli manca!
Forse ha la sensazione, non lontana dalla realtà, di partecipare a una truffa organizzata e si uccide perché sopraffatto dai sensi di colpa.
Nel video, su uno dei numerosi televisori messi a disposizione dalla ASL nell’albergo (si vedono scene della vita dei suicidi), vediamo Napoleone impegnato nel lavoro di motivatore (di che?) rivolgersi a un vasto pubblico che ha pagato per essere presente. Poi induce un giovane a cantare Alleluja di Leonard Cohen. Verso la fine rivediamo quel giovane cantare per strada. Probabilmente era stato pagato e la scena era una montatura per spillare soldi agli ingenui.
Nel primo incontro organizzato dall’azienda dopo il suicidio, condotto da un collega di Napoleone, la vedova, seduta tra il pubblico, si alza per dire che quell’attività è tutta un imbroglio.
È strano che non la blocchino e che lei continui a manifestare amicizia nei confronti del collega del marito morto che spera di sostituirlo nel suo cuore e nel suo letto. Dall’intervento della donna si capisce che disprezza quell’ambiente e ha capito per quale motivo il marito si è suicidato. Eppure continua a frequentare il collega impegnato a nascondere l’imbroglio. È una contraddizione.
Napoleone, nonostante abbia scoperto, spiando le conversazioni tra la moglie e l’amico, che la donna aspetta un bambino, è deciso a non fare un passo indietro e, per affrettare i tempi, si butta sotto al treno della metropolitana. Ma questo secondo suicidio non vale: è la regola della ASL ricordata dall’impiegato (mancavano solo i suicidi a ripetizione per complicare le cose).

Del personaggio interpretato da Toni Servillo non conosciamo il nome; la ragazza che, per buona parte del film, si muove su una sedia a rotelle, lo chiama “coso”. Tutti hanno il dubbio: sarà un angelo? Forse perché hanno visto il capolavoro di Frank Capra.

Tecnicamente i suicidi sono tre (oltre a “coso”, che svolge il suo lavoro in quanto nel curriculum ha un suicidio, quindi non è un angelo); il quarto è un ragazzo che ha cercato di ammazzarsi in un modo curioso: ha mangiato un numero enorme di paste, pur soffrendo di diabete, e non ha fatto l’iniezione di insulina.
Il padre è fermamente intenzionato a sfruttarlo su youtube facendogli mangiare paste in continuazione («tanto», dice, «prende l’insulina»). Il medico che cerca di salvare il ragazzo non denuncia l’uomo, come dovrebbe, dopo la sua candida ammissione.
Il ragazzo non è ancora morto; deve decidere se confermare la scelta o risvegliarsi sano, dopo avere buttato le paste (chi non sopporta la rivelazione dei dettagli della trama e di “come va a finire” si fermi qui). Alla fine butterà le paste, che saranno mangiate dal cane. Avrebbe fatto meglio a chiamare il telefono azzurro per farsi liberare da quella bestia di padre che gli è capitato.
Nella giornata della gita al mare “coso” gli fa mangiare un abbondante piatto di spaghetti allo scoglio senza l’iniezione di insulina, tanto è quasi morto. Poi gli fa provare l’ebbrezza di un piccolo volo.

Per gli altri personaggi passi che il corpo morto si stia decomponendo e l’anima vada in giro. Ma il ragazzo ricoverato in ospedale non è morto. Dunque ce ne sono due: uno nel lettino d’ospedale e uno che mangia gli spaghetti e fa il bagno in pieno inverno, nell’unica parentesi di tempo buono in una Roma in cui piove in continuazione, piove come Dio (o la ASL, o il regista) comanda, e tutti si inzuppano, in particolare Napoleone.
La pioggia è così abbondante che deve avere un significato. Secondo me significa: se decidete di suicidarvi, tenete pronto un ombrello. Potrebbe servire.

I tre che tornano alla vita (indietro di una settimana) alla fine fanno amicizia. Immagino le conversazioni quando si rivedono: «Ti ricordi quando eravamo morti? Che risate!», «Hai visto più coso, l’innominato?», «No, il suo posto l’ha preso Napoleone; è bravo; l’innominato si è trasferito in un’altra ASL», «Se lo vedi salutamelo e ringrazialo ancora a nome mio per il miracolo della carrozzina. Lo considero un santo: “San Coso”».

Già: la ragazza ex atleta, che si era suicidata perché ridotta su una carrozzina, scopre, alla fine, di poter camminare e di riuscire a fare esercizi difficilissimi di ginnastica artistica su un parapetto pericoloso.
È ovvio che consideri “coso” un santo, o almeno un angelo.
Confrontando questo personaggio con Clarence, “l’angelo di seconda classe”  che salva George (James Stewart) nel film di Frank Capra La vita è meravigliosa (1946), ci rendiamo conto di quanti passi indietro abbia fatto l’arte cinematografica in pochi decenni.
Pare si sia persa la capacità di raccontare una favola.
Quante favole ci hanno raccontato al cinema! Tante.
Credevamo alle cose più assurde in quell’ora e mezza, perché il regista le sapeva raccontare: con ironia, con poesia, suscitando emozioni.
Importante non è che la trama sia verosimile, ma che non contenga contraddizioni interne.
I bambini ci fanno mille obiezioni se cominciamo a contraddirci. Capiscono che noi stessi, che stiamo raccontando, non crediamo alla verità profonda del racconto.
Possibile che, al giorno d’oggi, molti registi riescano solo a imbastire una trama deprimente che non regge da nessun punto di vista?