11 aprile 2023 h 18.45
Cinema Principe Firenze – Viale Giacomo Matteotti

Altro film del regista: // Tutto il mio folle amore //

I vecchi
// Finalement // The Miracle Club // Perfect Days // Adagio (vecchi delinquenti) // Coup de chance e The Old Oak (vecchi registi) // Bassifondi // Scordato // La quattordicesima domenica del tempo ordinario // Il Sol dell’Avvenire // Il ritorno di Casanova // Non così vicino [A man called Otto] // Orlando // Il piacere è tutto mio // Astolfo // Rimini // Nostalgia // Settembre // Belfast // Callas Forever // Cry Macho // Boys // The father [Nulla è come sembra] // Nomadland // LONTANO LONTANO // Le nostre anime di notte (commento al libro) // Herzog incontra Gorbaciov // The Irishman // Dolor y Gloria // Stan & Ollie [Stanlio & Ollio] // Can you ever forgive me? [Copia originale] // Il Corriere [The Mule] // Moschettieri del re // Lucky // Loro // L’ultimo viaggio // Ricomincio da noi // Ella & John //

Letteratura
// Il ritorno di Casanova (da Schnitzler) // Anton Cechov // La stranezza (Pirandello) // Tromperie (Philip Roth) // Illusioni perdute (Balzac) // Tre piani (Eshkol Nevo) // Pinocchio (articolo) // Il mare non bagna Napoli (Anna Maria Ortese) // Le nostre anime di notte (Kent Haruf) // Martin Eden (Jack London) // Copia originale [Can you ever forgive me?] (dalla autobiografia di Lee Israel) //

Il genere “I vecchi”, dei diversi modi di essere vecchi, ha un sottogenere: “Film autobiografici di registi anziani sulla vecchiaia”.

Con il sottogenere non c’entra Steven Spielberg; in The Fabelmans (2023) racconta come, da bambino, scoprì che riprendendo lo scontro di due trenini giocattolo con una cinepresa Super 8 poteva riprodurre un’emozione. Non era necessario far scontrare di nuovo i trenini: bastava proiettare il filmato.
Non c’entra Paolo Sorrentino; in È stata la mano di Dio (2021) ricorda la sua adolescenza a Napoli e l’incontro fondamentale con il regista Antonio Capuano.
Non c’entra Pedro Almodóvar; Dolor y Gloria (2019) è dedicato quasi interamente alla madre, dalla giovinezza alla vecchiaia. Della propria vecchiaia il regista racconta la malattia e il rimpianto per l’amore perduto.
Non c’entra Kenneth Branagh; in Belfast (2022) ci fa letteralmente immergere in un quartiere popolare della capitale nordirlandese alla fine degli anni sessanta (periodo turbolento), guidati dagli occhi di un bambino che diventerà il grande attore e regista.
Non c’entra, naturalmente, Federico Fellini; nel 1973, a cinquantatré anni, raccontò, con Amarcord, la sua prima adolescenza riminese, trasfigurata dalla fantasia.

Il sottogenere rappresenta il vecchio maestro alle prese con un film nuovo e con i problemi dell’età, mentre si irrita per la concorrenza dei giovani registi o per l’esitazione dei produttori a rischiare i soldi con un artista che, forse, non ha più il tocco magico.
Un po’ l’atmosfera si trova nel film La terrazza (1980) di Ettore Scola, ma qui il tema è più complicato e un po’ più generale: la vecchiaia dei cinematografari, degli autori in crisi di ispirazione, dei politici di sinistra, degli intellettuali romani. Il filo conduttore è una bella terrazza dove si chiacchiera e si cena (molto apprezzata: pasta e fagioli).

Attualmente due registi sembrano impegnati a rappresentare se stessi da vecchi. Due registi che, alternando film che fanno discutere (uno ogni due, tre anni) con qualche intervista e con lunghi periodi di silenzio e di meditazione, hanno raggiunto la settantina: Gabriele Salvatores (classe 1950), Nanni Moretti (classe 1953).

Di Salvatores ho visto Il ritorno di Casanova.
Di Moretti il trailer di Il sol dell’avvenire (il film uscirà tra poco nelle sale). C’è la canzone di Franco Battiato, la canzone di Luigi Tenco, il ballo per strada, il tono inconfondibile della voce di Michele Apicella, che sembra resuscitato; forse ci sono nuove frasi che resteranno nella memoria, come: «Continuiamo così. Facciamoci del male!», «Le parole sono importanti. Chi parla male vive male», «Mi si nota di più se … … …?», «Dalema, dì qualcosa di sinistra!».
Evviva le buone cose di ottimo gusto! A differenza delle persone, non invecchiano.
Continuiamo a ricordarle, facciamoci del bene!
Sembra che Nanni Moretti abbia raccolto la truppa, come facevano i vecchi pirati, i tre moschettieri vent’anni dopo e Ulisse in partenza definitiva da Itaca. La truppa originale si è ridotta, per forza di cose, ma ci sono rinforzi.
Ora non resta che aspettare il film.

Torniamo a Salvatores (in origine il cognome era Salvatore, poi arrivarono gli spagnoli e ai suoi antenati sembrò più conveniente aggiungere una esse; l’ha raccontato lui).
Un regista importante, che si chiama Leo Bernardi, interpretato da Toni Servillo, cerca di completare un film su Casanova e, contemporaneamente, è alle prese con i problemi della vecchiaia. Forse al giorno d’oggi non si definirebbe vecchio uno che ha da poco superato i sessant’anni, ma c’è la parola: usiamola! Il vecchio regista ha una relazione con una ragazza molto giovane, incontrata per caso in campagna mentre girava (nel senso che lavorava al film).
Si rimane impressionati da quanto poco lavorino i registi importanti, quelli che sono considerati maestri.
Il produttore insiste, dà in escandescenze, ma non riesce a vedere il film nei tempi previsti e rischia di non poterlo mandare al Festival di Venezia.
Il produttore (nella realtà difficilmente è uno solo) è rappresentato come uno che non conta nulla: teme, naturalmente, di perdere i soldi, chiede di vedere il film, il suo investimento. Il regista si limita a guardarlo con aria strafottente, come un adolescente ribelle guarda, a scuola, il preside che lo minaccia: «Se continui così sarai bocciato!». Il “maestro” non ha voglia di lavorare.
Sembra che il girato sia completo (non si vede il set cinematografico), il film dev’essere montato con l’aiuto di un tecnico; ci sono delle scadenze da rispettare ma il regista si nega, lascia il tecnico lavorare da solo.
Il “grande maestro” non tiene conto di un dato della realtà: se il film va male, se non è presentato al Festival di Venezia, il produttore perde i soldi, ma finisce male anche il mondo che vive intorno all’industria cinematografica. Un flop coinvolge molte persone.
C’è una visione (romantica?) di un lavoro artistico che è arte, ma anche fatica, impegno di tutti i lavoratori coinvolti, regista compreso.
Non sono nessuno, Salvatores vive in quel mondo, ma a me questa rappresentazione non convince, mi sembra legata ad altri tempi, a periodi in cui il cinema faceva arricchire anche piccoli produttori, non solo le multinazionali, e i registi contavano molto.

Il maestro ha girato il film su Casanova, ma lascia una fase importantissima, il montaggio, nelle mani di un tecnico che completa il lavoro a pezzi e bocconi, sostituendosi al regista.

Il ritorno di Casanova (film nel film) è la trasposizione cinematografica di un romanzo breve di Arthur Schnitzler (1918).
Il grande avventuriero e seduttore, invecchiato, come succede a tutti, è costretto a ricattare il giovane sottotenente Lorenzi per sedurre Marcolina, una ragazza che non ricambia la sua attrazione fisica.
In altri tempi gli sarebbe bastato uno sguardo per sottrarla all’amante; nessuna donna resisteva al suo fascino.
Ora ha 53 anni (si invecchiava presto nel XVIII secolo): ha le rughe sotto alla maschera di creme e pomate che ricopre il viso, i capelli bianchi sotto alla parrucca, la pelle avvizzita sul collo e cadente sulle guance. “Un solco profondo corre dagli occhi alle tempie”, macchie gialle sulle unghie, “le dita sono come artigli”, “vene blu, gonfie ricoprono le mani”, ha perso un dente. Su quest’ultima dichiarazione Casanova “spalanca la bocca in un ghigno” davanti ad Amalia, la vecchia amante che ancora lo desidera, ma che lui non desidera più (tra virgolette frasi tratte dal racconto di Schnitzler).
Casanova desidera Marcolina, crede che gli ridarà la giovinezza.

La ragazza è giovane, bella, ma anche “filosofa”: ama leggere, è riflessiva, studia con passione la matematica e non si fa sedurre facilmente dagli uomini.
Forse, pensa Casanova, Marcolina è attratta dall’intelligenza, più che dal fisico; dunque dovrà farle conoscere il pamphlet contro Voltaire che sta scrivendo. Certamente il fascino intellettuale sostituirà il fascino dell’aspetto fisico, venuto meno con l’età.
Questo è nel libro, poco nel film che sorvola sulla psicologia complessa di Casanova, mette in evidenza solo l’aspetto ridicolo del personaggio: il volto e l’atteggiamento altezzosi.

Il racconto di Schnitzler (quante consonanti!) è il dramma di un uomo che non si rassegna alla vecchiaia e vive con sofferenza il contrasto tra l’esuberanza del desiderio (non si è placato con l’età) e la difficoltà di soddisfarlo, avendo perduto la sua arma più potente: la giovinezza.
Casanova è attratto irresistibilmente da tutte le donne giovani e belle.
Solo in apparenza l’oggetto dell’attrazione fisica è la donna reale, che disprezza perché invecchia, proprio come lui è invecchiato.
La sua donna ideale è perfetta e incorruttibile. Quando teme di non riuscire a conquistare Marcolina la immagina vecchia, puzzolente, distesa nella bara, mangiata dai vermi. Diventerai anche tu così, pensa, esaltandosi nell’immaginazione. È la strategia che usa, conoscendosi, per cercare di placare la sua ossessione. Ma non c’è verso: la giovane gli appare ogni giorno nella sua fresca bellezza; il profumo che emana dal suo corpo lo inebria.
C’è qualcosa di Lolita (Vladimir Nabokov) in questo racconto di Schnitzler (si dovrebbero invertire i termini). Con una differenza: Humbert Humbert è innamorato (in modo malsano) della Lolita reale: impazzisce per lei non solo quando è una ninfetta, ma anche quando la ritrova adulta e incinta; invece per Casanova tutto si esaurisce nel contatto fisico con la ragazza in fiore, l’unica che gli interessa. Se avesse ritrovato Lolita, Casanova l’avrebbe respinta.

“Casanova, la mano posata sul bordo della carrozza, accanto al braccio di Marcolina la cui manica vaporosa gli sfiorava le dita, rispose freddamente”. Tutto il suo essere è in quella manica vaporosa che gli sfiora le dita.
Possiamo scommettere che dopo avere soddisfatto il desiderio non cercherebbe di legarla a sé, si allontanerebbe da lei per serbarne un ricordo incontaminato – differentemente da Humbert Humbert, che soffre proprio per l’impossibilità di tenere Lolita legata a sé.
Casanova ricorda le centinaia di donne conquistate, ma non le immagina invecchiate. Nella sua memoria si riassumono in un personaggio ideale, perfetto, eternamente giovane: la donna. Tratta con indifferenza al limite del disprezzo le donne reali che vorrebbero mantenere un rapporto duraturo nel tempo: Amalia, sua ex amante, ritrovata grazie all’amicizia con il marito Olivo, la padrona dell’albergo dove alloggia, a Mantova, dopo essere fuggito da Venezia e avere girovagato a lungo.

Il piano di tentare la carta del fascino intellettuale per conquistare Marcolina crolla miseramente quando Casanova scopre la relazione segreta della ragazza con il prestante sottotenente Lorenzi.
Dunque è attratta dagli uomini! Ma non è attratta da lui.
La determinazione di Casanova non conosce resa: è pronto ad approfittare di ogni occasione per vincere la partita.
L’occasione gli viene offerta dal sottotenente Lorenzi, che perde una grossa somma di denaro giocando a carte con il marchese, un uomo ricco e vendicativo sposato con una marchesa napoletana amante di Lorenzi, lo “sciupafemmine”.
Per vendicarsi il marchese spinge il sottotenente ad accumulare un grosso debito di gioco: duemila ducati. Il militare deve pagare il suo debito, ne va dell’onore, ma non ha denaro sufficiente (il solito contrasto con il padre).
Questa è l’occasione che Casanova coglie al volo.
Ricatta Lorenzi: ti do i duemila ducati ma tu mi devi far passare una notte nel letto di Marcolina, nuda e bendata. Lei non deve sapere dello scambio, almeno all’inizio dell’incontro.
Per non perdere l’onore, non potendo pagare il debito, Lorenzi perde l’onore: accetta il ricatto.
Il sottotenente è pronto a fare una figura di merda con la donna e con i posteri, dal momento che il vecchio ex seduttore ama raccontare le sue memorie, belle e brutte, gloriose e squallide (i Mémoires).
Per quale motivo Casanova ricatta in modo così grossolano un giovane sprovveduto?
Vuole mettersi alla prova: vuole verificare se nel rapporto sessuale con una ragazza giovane e bella ritroverà se stesso. Questo intende quando dice che Marcolina lo farà tornare giovane. Per un attimo sogna di convincerla grazie all’arte amatoria, dopo essere penetrato nel suo letto con un sotterfugio.

Casanova entra nella stanza di Marcolina e la trova nuda, bendata, seduta sul letto, come aveva pattuito con il capitano. Il particolare della benda, incredibile, è stato aggiunto nella versione cinematografica del racconto. Nel libro non c’è.
Evidentemente a quei tempi il buio nelle stanze da letto era veramente buio e non c’era necessità di una benda davanti agli occhi della donna perché l’uomo che s’introduceva nel suo letto fosse irriconoscibile, almeno fino ai primi contatti o fino alle prime luci dell’alba.
Casanova, dunque, utilizza la chiave fornitagli da Lorenzi per penetrare con l’inganno nel letto di Marcolina.
Qui c’è un’altra differenza tra il libro e il film.
Nel libro pare che Casanova abbia un rapporto con Marcolina e poi si perda in un lungo sogno, molto movimentato, da cui si risveglia all’alba.
Nel film la sfiora appena; poi si abbassa e ricorre all’unico modo che gli è rimasto per darle piacere.

Il mattino seguente, al risveglio, Casanova subisce la più pesante sconfitta: Marcolina lo guarda con disgusto.
Il vecchio seduttore, che ora si può tranquillamente definire stupratore, esce dalla stanza sconfitto e nudo.
Lo aspetta il sottotenente con la spada sguainata. Credendo di salvare l’onore, Lorenzi sfida a duello Casanova: «Uno di noi due non uscirà vivo da questa storia».
Per non avere un vantaggio (l’onore lo richiede) Lorenzi si spoglia anche lui e i due combattono nudi: il corpo appesantito del vecchio contro il corpo vigoroso del giovane.
Ma Casanova, per quanto invecchiato e un po’ imbolsito, è sempre Casanova, almeno con il fioretto, e riesce a prevalere nel duello: uccide Lorenzi.
Poi lascia Mantova, dove si era rifugiato dopo essere fuggito dai Piombi, e torna a Venezia, accolto da un vecchio protettore appartenente al Consiglio dei Dieci.
Viene perdonato delle antiche malefatte in quanto è disposto a introdursi nei circoli dei liberi pensatori e degli eretici che congiurano contro lo stato e denunciarne i membri più attivi. In altri termini, Casanova accetta il ruolo di agente provocatore e di spia del governo. In cambio è potuto tornare libero a Venezia.
Questo è il racconto di Schniztler, ispirato dalla lettura dei Mémoires e, precisa l’autore in una nota conclusiva, “inventato di sana pianta” all’interno di una cornice ricavata dalle memorie di Casanova.

Da questo racconto il regista ha tratto un film che il montatore completa da solo e vediamo a pezzetti (il film nel film).
Il regista non lavora perché è preso da una storia con una ragazza di campagna molto giovane: è divenuta sua amante, nonostante la differenza di età, è incinta, nonostante lui abbia superato i sessant’anni, è decisa a tenersi il figlio anche contro la volontà del padre (qualche dubbio gli viene, ma lei dichiara: è tuo).
Il regista deve risolvere questo problema affettivo e, insieme, districarsi con le diavolerie moderne che controllano la casa: fanno alzare autonomamente il coperchio del water, accendere e spegnere le luci, accendere e spegnere il televisore, avviare un lavapavimenti automatico che sembra aggressivo e dotato di volontà propria.
I congegni elettronici, guidati da un algoritmo, si ribellano al padrone di casa e lo costringono a scappare in albergo (dove sicuramente trova altri congegni dello stesso tipo).
Questo è il lato comico del film, che fa più o meno ridere (sentivo in sala qualche scoppio di risa).

Poi c’è il rapporto con i giornalisti: il maestro li odia e li caccia minacciandoli con la spada, come Casanova cacciava le mosche camminando nei campi nella calura estiva. Possibile che non lo mandino a quel paese?
Si potrebbe rispondere: è un sogno che esprime il desiderio del regista di affrontare i giornalisti minacciandoli con il fioretto senza che qualcuno chiami il 118. Ma allora devi rendere evidente che si tratta di un sogno!

Infine c’è l’invidia nei confronti del giovane regista, osannato dai critici dopo un solo film, esattamente come accadeva alla generazione del maestro. Ma lui, evidentemente, lo ha dimenticato.
Quando scrivo “lui” mi riferisco a Leo Bernardi, il personaggio interpretato da Toni Servillo, o a Gabriele Salvatores? Non so. Non è chiaro fino a che punto il primo sia l’alter ego del secondo.
È vero che Salvatores arrivò al cinema dopo anni di esperienze come regista teatrale, ma Nanni Moretti fu molto apprezzato dalla critica dopo il primo lungometraggio di successo (Io sono un autarchico) e letteralmente osannato dopo il secondo (Ecce Bombo).
Anche nella generazione precedente si trovano esplosioni simili. Marco Bellocchio diventò regista importante a 26 anni, dopo l’uscita di I pugni in tasca (1965). All’inizio, come succede, il film era stato accolto con riserve, poi le critiche lasciarono il posto agli elogi e si aprì la strada del grande maestro.

La ricostruzione accurata dell’ambiente e dei personaggi del racconto di Schnitzler è un pregio del film, ma è compressa dalla scelta di inserirla in un confronto con la storia parallela del regista e della sua giovane compagna campagnola.
Avrei preferito che la psicologia del personaggio Casanova fosse approfondita, il racconto svolto in modo più ampio e Salvatores avesse lasciato a noi spettatori il compito di confrontare la storia narrata con le nostre vite. In altri termini, avrei preferito vedere un solo film, non due in uno.
Alcune scene, per esempio la nascita del vitello, mi sono sembrate gratuite, non collegate al resto. Forse il collegamento è con la prossima nascita in casa Bernardi o con la concreta vita dei campi, in contrasto con gli incubi che affollano la vita del regista, il quale, è certo, preferisce la sua, che gli consente di stare seduto su una panchina al lido di Venezia con un buon bicchiere di vino a guardare il mare.