26 luglio 2023 h 18.20
Cinema Il Portico Firenze – via Capo di Mondo, 66

Temi
Fantascienza e/o distopia
// Civil War // Dogtooth [Kynodontas] // Another End // Povere creature! [Poor things] // Amore postatomico // M3GAN // Everything Everywhere All At Once // Siccità // Nope // Penguin Highway // Lightyear: la vera storia di Buzz // E noi come stronzi rimanemmo a guardare // Dune // La terra dei figli // Tenet // Il dottor Stranamore // AD ASTRA // Brightburn // Jurassic World Il Regno distrutto // 2001: Odissea nello spazio // Tito e gli alieni // L’isola dei cani // La forma dell’acqua //

Fumetti
// Amore postatomico // Come Prima (Alfred, regia Tommy Weber) // La terra dei figli (Gipi, regia Claudio Cupellini) // 5 è il numero perfetto (Igort, regia Igort) // La profezia dell’armadillo (Zerocalcare, regia Emanuele Scaringi) // Don’t Worry (John Callahan, regia Gus Van Sant) //

Mi domando come riescano a vivere tranquillamente (se vivono tranquillamente) le persone che qualche anno fa hanno reso virale un video che rubava l’intimità di una ragazza: un suo coetaneo l’aveva ripresa mentre, spontaneamente, faceva l’amore con lui. La ragazza non aveva dato il consenso alla diffusione del video e in poco tempo si era trovata vittima della persecuzione di una massa di guardoni (revenge porn).
Non capisco come riescano a vivere tranquillamente (ma spero non vivano tranquillamente, gli auguro tutto il male possibile) sapendo che quella ragazza, dopo avere invano combattuto contro la vischiosità di un sistema giudiziario che le impedì di avere giustizia, si suicidò.
La tragedia avvenne a Napoli nel 2015.

Il film Amore postatomico ha due argomenti, due forme di espressione artistica, due tempi, due luoghi e un grave difetto.
Gli argomenti sono: 1) il revenge porn, con riferimento evidente (data e luogo) alla vicenda raccontata sopra, 2) lo sterminio delle api conseguente all’utilizzo di diserbanti industriali in agricoltura.

Le due forme di espressione sono il film e il fumetto, quest’ultimo proiettato sullo schermo in modo da mescolarsi e confondersi con il film.

I tempi sono: 1) il 2015 – anno della storia vera a cui il film si riferisce, 2) il futuro generico del romanzo grafico distopico.

I luoghi sono: 1) Napoli attuale, irriconoscibile, tranne per un panorama da una terrazza del Vomero 2) la Terra, o una parte di essa, in cui ha preso il sopravvento un potere rozzo e violento che impedisce la coltivazione dei terreni e perseguita i contadini e le api.

Il grave difetto: la sceneggiatura non riesce a gestire un racconto complicato, svolto su due linee di sviluppo che s’intersecano, con un’ape in bottiglia che attraversa tutto il film e non ricordo se alla fine viene liberata perché a quel punto mi ero annoiato e ripetutamente distratto.
A questo punto si potrebbe aprire un dibattito sul revenge porn – questa forma di violenza attuale – sui cambiamenti climatici, sullo sterminio delle api, sulla desertificazione.
Un film non dovrebbe solo ricondurci a temi importanti; dovrebbe emozionarci.
I dibattiti servono solo a confermare ciascuno nelle proprie convinzioni e si fanno in televisione tra un’interruzione pubblicitaria e l’altra.

Mentre mi arrabbiavo con il film, fuori del Cinema pioveva.
Per strada avevo patito un caldo asfissiante; all’uscita via Mannelli, che ho preso in direzione della stazione Campo di Marte, era bagnata, la temperatura era scesa.
Non venivo da queste parti dal 2018. Ho visto bei film in questa sala; non so per quale motivo l’ho esclusa negli ultimi anni, senza pensarci, anche quando abbiamo ripreso le vecchie abitudini dopo la pandemia. Forse dipende dal fatto che non si può più arrivare direttamente alla stazione Campo di Marte, provenendo dalla linea Pisa – Firenze, senza cambiare a Santa Maria Novella. I cambi, in generale, mi danno fastidio, anche se l’ultimo tratto dura non più di dieci minuti.

Erano anni che non visitavo la Chiesa del Sacro Cuore, in via Capo di Mondo, poco oltre il cinema.
Il campanile (basta vedere la foto) assomiglia a una rampa di lancio di veicoli spaziali. I fiorentini lo chiamano “lanciacristi”.
L’interno della chiesa porta al raccoglimento, nonostante sia molto ampia, fornita di lunghe panche su due file, e moderna (ristrutturata dal 1956 al 1962).
Non si ha l’impressione di entrare in una palestra, come accade generalmente nelle chiese costruite con criteri moderni. Anche il campanile, che esprime lo slancio verso l’alto, a me piace.
Tre navate, grandi vetrate sulle pareti della navata centrale: figure di santi. Abside: vetrate attraverso le quali la luce disegna figure astratte che variano nel corso del giorno e, suppongo, della notte, quando entra la pallida luce della luna.
La chiesa, dedicata al Sacro Cuore, ricorda San Ludovico da Casoria (seconda metà dell’ottocento).
Si chiamava Arcangelo Palmentieri, era un francescano e si trasferì qui nel 1869.
A quei tempi questa zona era la periferia agricola della città e probabilmente assomigliava al paesino in provincia di Napoli in cui Arcangelo era cresciuto. Firenze e Casoria facevano parte della stessa nazione da pochi anni.
Sicuramente aveva un forte accento napoletano e qui c’era un forte accento toscano.
Superò tutte le difficoltà e si fece volere bene. Bravo Arcangelo!