9 ottobre 2023 h 17.30
Cinema Spazio Alfieri Firenze – via dell’Ulivo, 6
Temi
I giovani
// Sick of Myself // Io Capitano // Next Sohee // Close // Chiara // Penguin Highway // Jojo Rabbit // Un giorno di pioggia a New York // La paranza dei bambini // Roma // Mirai // La terra dell’abbastanza // Lady Bird // Alla ricerca di Van Gogh //
Psicanalisi (“The doctor is in”)
// Frammenti di un percorso amoroso // Sick of Myself // Beau ha paura [Beau is afraid] // Preparativi per stare insieme … // Tre piani // Un divano a Tunisi // Doppio amore [L’amant double] //
“Sick of Myself”, regia di Kristoffer Borgli.
Signe è una bella ragazza scandinava. Ha un lavoro, una casa, un compagno: Thomas. Apparentemente non le manca nulla. Eppure Signe soffre: non riesce a essere, come vorrebbe, al centro dell’attenzione. Il suo problema è accentuato da una relazione sbilanciata con Thomas, anche lui in continua ricerca di ammirazione. Thomas è superficiale, vuoto come una campana, ma riesce a richiamare su di sé l’interesse degli altri. I due sono in perenne conflitto, che finisce con lui al centro dell’attenzione, lei perdente, in un angolo, ignorata.
In ogni scaramuccia Thomas si gode la vittoria che conferma l’amore per se stesso e finge di non notare l’umiliazione della sua compagna.
Signe soffre ma non reagisce, si chiude in se stessa, non rompe un rapporto che, alimentato dalla nevrosi complementare dei due, dura da anni, nonostante sia continuamente al limite della rottura.
Non conosciamo l’infanzia della ragazza, ma c’è un indizio: odia suo padre; quando teme di morire sogna che gli sia impedito di partecipare al suo funerale («Vengo anch’io», «No, tu no!»).
La madre sembra fuori dal mondo, non si rende conto dei problemi di Signe. Le suggerisce di rivolgersi a un gruppo di medicina olistica. Bella espressione, senza dubbio; nella realtà si risolve nelle farneticazioni di un guru.
Thomas fa l’artista, nel senso che riunisce pezzi di design (soprattutto sedie e poltrone), crea nuove combinazioni e le mette in mostra. Siamo a Oslo; pare che queste esibizioni siano considerate una forma d’arte.
Thomas non ha abbastanza denaro per comprare le suppellettili che assembla per realizzare i suoi capolavori. Nessun problema: le ruba. È un estroverso, non pone ostacoli tra il pensiero e l’azione. Signe si fa trascinare.
Qui il film potrebbe partire con un bel Bonnie and Clyde trasposto nell’epoca nevrotica attuale e ci farebbe divertire.
Invece no; i furti improvvisati sono solo un dettaglio.
Mentre i due sono a cena in un ristorante, insieme ad altre persone attente a ciò che Thomas dice, la ragazza, ignorata da tutti, mangia di proposito alcune noci pur sapendo di essere allergica alla frutta secca. Forse non è allergica e finge il malore successivo, ma finalmente riesce ad attirare l’attenzione su di sé.
Quando il cameriere aveva chiesto «Qualcuno soffre di allergie?» e, nel silenzio degli altri, Signe aveva detto «Sono allergica alla frutta secca», era riuscita, per un attimo, a far convergere sulla sua persona l’interesse generale.
Fino a quel momento era trasparente, nessuno l’ascoltava. Poi si è sentita male o ha finto di sentirsi male e finalmente gli altri si sono accorti di lei. La malattia mette al centro del mondo. Tutti scopriamo, fin dall’infanzia, questo aspetto della vita.
Signe vive in una città fredda da diversi punti di vista; lavora in un bar. Vediamo passare davanti alla vetrina del bar un grosso cane; sentiamo urli e un abbaiare furioso. Una donna sanguinante entra barcollando nel bar e cade a terra svenuta. È stata morsa dal cane. Nell’aiutarla Signe si sporca di sangue.
Nel tragitto verso casa, con la camicia e il volto macchiati di rosso, nota che tutti la guardano, finalmente.
È ciò che desidera: non essere ignorata in un mondo nel quale apparire è esistere, indipendentemente dal motivo per il quale gli altri ti notano, su internet, sulle riviste patinate, in televisione.
Signe cerca di farsi mordere da un grosso cane lupo. Il suo tentativo è interrotto dall’intervento del padrone del cane.
Fino a questo momento si erano manifestati disturbi relazionali con i quali è comune fare i conti nell’adolescenza. I disturbi diventano sintomi di malattia se si cerca una soluzione alla sofferenza procurandosi altra sofferenza.
Qui il regista fa un passo per portare avanti la sua tesi e la tensione: un passo che a me sembra avventato. Vuole farci credere che una ragazza infelice provochi un cane per farsi mordere e trovarsi al centro dell’attenzione.
A me sembra inverosimile, però bisogna aggiungere che i pregi e i difetti di un film (o di un romanzo) non dipendono da ciò che il regista (o lo scrittore) inventa ma da come ce lo racconta. Kristoffer Borgli è bravo a raccontare.
Signe inizia un percorso di autolesionismo. Scopre su internet un farmaco russo tolto dalla circolazione perché produce gravi danni alla pelle. Tramite un amico che frequenta la parte oscura del web si fa portare a casa una grande quantità di quel farmaco in pillole e comincia a ingerirle.
Sul volto si formano lesioni.
Ingoia altre pillole: le lesioni si aggravano e si estendono. Questi segni a me ricordano, per analogia, i tatuaggi che ricoprono il collo, il petto, le gambe e le braccia, la pancia di tanti giovani. Mi ricordano i piercing infilati nella lingua, nel naso, nei capezzoli, nell’ombelico.
Il film coglie un aspetto autodistruttivo presente in larga parte della gioventù attuale, la cui manifestazione più evidente, almeno simbolica, sono i tatuaggi e i piercing. I tatuaggi non consentono ripensamenti, i piercing sono probabili veicoli di infezioni.
Signe fa una cosa analoga, anche se molto più pericolosa (il gesto è quello): introduce nel corpo un farmaco che causa eruzioni cutanee sempre più gravi ed estese.
Con questo non voglio dire che tatuarsi equivale ad avvelenarsi e non credo che il tatuaggio produca gli stessi danni di un farmaco russo vietato. Forse produce danni minimi, ma non credo faccia bene alla pelle, fermo restando il diritto di ciascuno di fare quello che gli pare della propria pelle e del proprio ombelico.
Signe non rivela ai medici, ai quali si rivolge su suggerimento della madre, la causa della malattia. I danni che man mano si producono non le bastano: continua a ingerire pillole.
Il volto si deforma sempre di più. Partecipa inutilmente al gruppo guidato dal guru.
La psicanalisi segue un percorso complicato e non promette guarigioni. Lo psicanalista parla poco, non indirizza il paziente su un determinato comportamento.
Se il “guaritore” parla molto è un guru; mi viene in mente (non c’entra niente) una divertentissima canzone di Riccardo Pazzaglia: “Me ne vado a fare il guru” (si trova su YouTube).
Signe riesce a ottenere un articolo su una rivista molto diffusa: il suo volto deturpato appare sulla copertina. È felice quando sfoglia la rivista con l’intervista e le foto (la “malattia misteriosa” che costringe una ragazza a coprirsi di garze). È felice quando la gente comincia a riconoscerla per strada, infelice quando la notizia di un assassinio sposta l’articolo, nella versione online della rivista, dopo la pubblicità.
Contatta un’agenzia che, con la scusa dell’inclusione, propone come modelle ragazze che non rispondono ai canoni classici della bellezza o sono affette da handicap fisici. Una modella è cieca, un’altra ha una mano atrofizzata. Il corpo di Signe subisce trasformazioni sempre più pesanti: perde i capelli, grumi di sangue e di pelle ricoprono il volto e il collo, vomita sangue. Finalmente è riuscita a godere del quarto d’ora di celebrità che Andy Warol aveva pronosticato per tutti, sperando che non sia l’ultimo quarto d’ora della vita.
La storia è paradossale. Il regista la sa raccontare, sa renderla credibile e riesce a catturare l’attenzione degli spettatori (almeno con uno è riuscito).
È un po’ come se Gregor Samsa si fosse trasformato volontariamente in un grosso insetto per farsi notare, per uscire dalla vita grigia e anonima del commesso viaggiatore; è come se “l’uomo dei lupi” avesse raccontato a Freud il suo incubo (i lupi lo guardavano dai rami di un albero) non per liberarsi dall’angoscia ma per finire nella letteratura psicoanalitica.