12 dicembre 2022 h 18.00
Cinema Arsenale Pisa – vicolo Scaramucci, 2

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LAUDES CREATURARUM
[Cantico di frate Sole – 1224]

da: Gianfranco Contini – Poeti del Duecento Ed. Ricciardi, poi in Letteratura italiana delle origini – BUR (trascrizione accurata del testo)

Altissimu, onnipotente, bon Signore,
Tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.
Ad Te solo, Altissimo, se konfano,
et nullu homo ène dignu Te mentovare.

Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le Tue creature,
spetialmente messor lo frate Sole,
lo qual è iorno, et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de Te, Altissimo, porta significatione.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora Luna e le stelle:
in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.

Laudato si’, mi’ Signore, per frate Vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale a le Tue creature dài sustentamento.

Laudato si’, mi’ Signore, per sor’Aqua,
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.

Laudato si’, mi’ Signore, per frate Focu,
per lo quale ennallumini, la nocte:
ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti fiori et herba.

Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo Tuo amore
et sostengo infirmitate et tribulatione.
Beati quelli ke ‘l sosterrano in pace,
ka da Te, Altissimo, sirano incoronati.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra Morte corporale,
da la quale nullu homo vivente pò skappare:
guai a·cquelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati,
ka la morte secunda no ‘l farrà male.

Laudate e benedicete mi’ Signore et rengratiate
e serviateli cum grande humilitate.

La lingua è il volgare umbro del secolo XIII, con influssi toscani e latini.
Francesco (1181 – 1226), quasi cieco, sofferente, detta la sua preghiera, in volgare perché la intendano le sorelle raccolte intorno a Chiara e il popolo, che non parla più latino.
Una preghiera: la più bella poesia scritta nella nostra lingua.

È uno dei due momenti coinvolgenti del film. Il resto si fa ammirare ma non coinvolge.
I personaggi parlano in dialetto umbro stretto, con didascalie che aiutano la comprensione.
È una splendida idea, poco applicata quando la lingua non è l’italiano attuale. Si preferisce tradurre in un italiano medio convenzionale. In questo film gli attori parlano una lingua vera, non uguale ma simile alla lingua dei personaggi. I produttori, i distributori, gli esercenti delle sale, forse anche i registi, temono di perdere spettatori se viene richiesto un po’ più di impegno, rispetto al solito, per la comprensione del parlato. Non hanno fiducia nella gente che alza le chiappe dalla poltrona, esce di casa e va al cinema, nella buona e nella cattiva stagione, nella buona e nella cattiva sorte (riguardo alla qualità del film). Credono che siamo tutti alienati dalla televisione, tutti alla ricerca del minor sforzo possibile.
Basti pensare a come sia difficile vedere al cinema un film in lingua originale.

Nel caso specifico la lingua dei personaggi non è il volgare che si parlava in Umbria nel Medioevo, è il dialetto umbro. Il confronto con i versi della poesia fa capire quanto il volgare umbro medioevale, ancora intriso di latino, fosse diverso dal dialetto attuale, pur tenendo conto della differenza tra un testo scritto e la lingua parlata.
Sappiamo che la poesia religiosa era cantata; probabilmente anche la preghiera di Francesco, dettata forse a frate Leone dopo una notte di sofferenze, era accompagnata da una melodia che, purtroppo, non ci è pervenuta.
Non è la lingua di Chiara e Francesco, però l’accento, l’intonazione, il suono sono simili ai suoni, agli accenti, alle intonazioni, alle parole che si sentivano da quelle parti nel XIII secolo.

Il film racconta alcuni anni importanti della vita di Chiara, a partire dal 1211 – 12, esattamente dalla notte in cui, a diciott’anni, scappò di casa insieme all’amica Pacifica e raggiunse la comunità fondata da Francesco, che aveva già fatto il viaggio a Roma, aveva ottenuto da Papa Innocenzo III l’approvazione orale della regola dei frati minori e si accingeva (nel 1219) a viaggiare in Egitto, Marocco e Palestina, dov’era in corso la quinta Crociata, e a incontrare il Sultano.

Chiara fu la prima donna a unirsi al gruppo, insieme all’amica Pacifica.
Si spogliarono degli abiti, indossarono il saio di panno ruvido, sopportarono il prurito sulle carni delicate, abituate ad altri tessuti. Si fecero accorciare i lunghi capelli (segno di penitenza); fecero il voto di povertà, il voto di castità. Si disposero a vivere come Cristo aveva prescritto agli apostoli. Nessun sacco, nessun bene personale, nessuna preoccupazione per il futuro, come gli uccelli.
Considerando che gli uccelli preparano il nido e molti animali accumulano cibo per l’inverno, sembra che Cristo – realista riguardo agli uomini («Nessun uomo è buono») – avesse una visione fiabesca della natura.
Se è vero che Francesco predicava agli uccelli e ammansì un lupo (ma forse è una metafora) la sua idea del comportamento animale doveva essere più vicina a Walt Disney che a Konrad Lorentz o a Charles Darwin. D’altra parte il metodo scientifico era di là da venire e la conoscenza della natura limitata dalla teologia.
Il film è centrato sulla figura di Chiara.
Nulla ci viene mostrato dei momenti che precedono la sua decisione di abbandonare la famiglia, dei motivi che la indussero a dare una svolta così radicale alla propria vita.
Io ho un’idea a riguardo.

Secondo me tanti giovani dei due sessi sceglievano la via religiosa non istituzionale perché a quei tempi c’erano poche possibilità per un giovane o una giovane che non volessero sottostare alla tirannia del patriarcato.
La Chiesa era uno dei poteri forti e farsi prete o entrare in convento non liberava dalla tirannia, anzi l’accentuava.
Nei conventi erano riprodotti gli stessi rapporti tra gli uomini e tra le donne esistenti nella società, le stesse prevaricazioni (la badessa, l’abate, il priore, la dote, la separazione tra le monache provenienti dai ceti abbienti e le altre, ridotte al rango di serve).
Molti giovani desideravano liberarsi dei padri e delle autorità: poi, come spesso è accaduto (basti pensare alla fine che hanno fatto i libertari sessantottini negli anni settanta), finirono col mettersi in ginocchio davanti a un altro tiranno, che utilizzava Cristo per esercitare un potere assoluto.
Nel film, fino a poco prima della scena finale, pare che Chiara si renda conto di questo pericolo: passare dalla tirannia del padre alla tirannia del papa) e sembra che voglia ribellarsi, mentre Francesco, ormai stanco e malato, rinunci ai propositi iniziali, con i quali aveva attirato tanti giovani: bisogna rientrare nell’alveo della Chiesa, la regola, anche della comunità femminile, dev’essere accettata dal papa. In conseguenza, i francescani sono finiti come gli altri ordini religiosi: supporto al potere temporale dei papi. Chiara cercò di resistere, ma alla fine, si vede nel film, rinunciò alla ribellione e le Clarisse, dopo la sua morte, divennero sinonimo di clausura, perché il papa, in accordo con la società dell’epoca, non accettava l’indipendenza delle donne.
Uno scherzo da prete giocò quel furbone di Gregorio IX alle ragazze che si erano allontanate dalla famiglia per il desiderio di essere libere: siete convinte che per un cristiano la preghiera sia fondamentale? Sì? Bene: passate la vita a pregare chiuse in un convento e non rompete le scatole.
Le ragazze si imprigionarono da sole e la loro ansia di libertà si esaurì nelle cellette anguste di un edificio isolato dal mondo.

Torniamo all’inizio del film.
Dopo avere resistito al padre, venuto a cavallo per riportarla a casa, Chiara fu raggiunta dalla sorella minore Agnese che, morto il padre, lo zio pretendeva di dare in moglie a un vecchio.
Si capisce che questi giovani erano pronti a fare voto di castità.
A quei tempi non si dava alcuna importanza ai diritti sessuali dei giovani, soprattutto delle donne.
Addirittura Dante, qualche decennio dopo questi eventi, sembra sia stato sposato o promesso sposo dalla famiglia quando aveva undici anni (alcuni studiosi propendono per un errore di trascrizione della data sul contratto di nozze con Gemma Donati).
Meglio il voto di castità che essere obbligate a sposare un vecchio o promessi a una donna scelta dalla famiglia in base a convenienze economiche o politiche.
Il voto di povertà? I beni appartenevano tutti al padre, per cui tanto valeva non averne.
La vita faticosa, priva di agi, nella comunità? Sicuramente più varia e, in definitiva, più divertente della vita in famiglia o nei noiosi conventi degli ordini monastici esistenti, dove si ritrovavano l’ingiustizia e l’autoritarismo presenti nella società.

Il film propone una narrazione miracolistica della vita di Chiara, che scorre parallelamente alla rappresentazione del suo impegno “politico”.
La regista mostra ciò che nella sua comunità (le sorelle, i frati, il popolo) si credeva: che fosse una santa, che facesse miracoli.
Ma siamo al cinema e ciò che accade sullo schermo è la realtà (non la verità, che col cinema non ha molto a che fare).
Chiara estrae un sassolino dal naso di un bambino e immediatamente la madre del bambino grida al miracolo.
Chiara si dispiace perché vuole essere come gli tutti, perché vede i bambini malati restare in soggezione, quasi impauriti, davanti a lei.
Guarisce una sorella anziana che sembrava in punto di morte, fa trovare pieno di olio – bene prezioso anche oggi – un orcio che un frate cercatore avrebbe portato in giro per la questua; moltiplica le fette di pane.
Ottimo! Avercene sante così!

È ciò che crede il popolo e la regista lo racconta. Ma noi?
Proviamo a crederci.

Chiara blocca con un miracolo lo zio violento che sta per uccidere la sorella minore. Disponendo di questa forza (il miracolo), il popolo non si domanda, al contrario di me, perché non gli abbia dato una lezione più duratura; che so: mandarlo in ospedale con prognosi riservata.
Lo zio se lo sarebbe meritato e avrebbe imparato che la giustizia divina può agire anche in questo mondo. Una quindicina di giorni in coma sarebbe stato un utile promemoria, per lui e per gli altri padri, fratelli, cugini, zii decisi a imporre la propria volontà sulle donne di casa. E ora staremmo tutti meglio.

Io credo nel diritto di usare la violenza contro i prepotenti e mi domando, in queste ore, come mai nessuno pensi di mandare armi ai giovani rivoltosi iraniani, alle donne picchiate, stuprate, uccise, per aiutarle a difendersi e ammazzare qualcuno degli assassini.
Possiamo limitarci a fare dichiarazioni di sdegno?

Vediamo i giovani impiccati in strada e ci nascondiamo dietro al pacifismo di maniera dei chiacchieroni televisivi?
Non dico mandare soldati, invadere l’Iran, ma prendere una posizione netta, appoggiare, anche inviando armi, la resistenza dei giovani che vogliono liberarsi dei fanatici religiosi che hanno preso il potere nel loro paese.
I partigiani non abbassarono le armi davanti ai nazifascisti e ci ridettero la dignità perduta nel ventennio precedente.
Qualcuno usa il solito discorso anticapitalista per opporsi all’invio di armi a chi si difende: le aziende che producono armi si arricchiscono.
È vero; ma anche le aziende che producono cibo o medicine si arricchiscono.
Se le armi servono a difendere la libertà, a difendere il livello di civiltà raggiunto, chi produce armi ha la stessa dignità di chi produce cibo o medicinali.
Le armi utilizzate per difendere il pane (i beni essenziali, i valori) hanno la stessa dignità del pane.

Torniamo a Chiara.
A me il film è sembrato ambiguo: una rappresentazione che vuole essere nello stesso tempo popolare e colta. Personalmente ho apprezzato il rigore filologico e mi ha coinvolto in due momenti: la poesia di Francesco, la protezione della sorella minore, anche se mi è mancata la prognosi riservata per lo zio.
Non solo per lo zio.
Perché non si è ribellata all’ex cardinale crapulone Ugolino divenuto papa Gregorio IX? Perché non lo ha mandato in ospedale con una diagnosi di intossicazione alimentare?
Chiara aveva rifiutato l’autorità del padre, l’autorità dei maschi. Alla fine, purtroppo, accettò l’autorità di Gregorio IX.
Suppongo fosse pericoloso ribellarsi al papa e, anziché preparargli un ricco pasto, prenderlo a calci nel sedere. Ma allora i miracoli a che servono?