7 luglio 2022 h 15.00 – Schermo televisivo
21 novembre 2018 – Cinema Teatro Odeon Firenze

Fantascienza e/o distopia
// Lightyear: la vera storia di Buzz // The Animal Kingdom // Civil War // Dogtooth [Kynodontas] // Another End // Povere creature! [Poor things] // Amore postatomico // M3GAN // Everything Everywhere All At Once // Siccità // Nope // Penguin Highway // E noi come stronzi rimanemmo a guardare // Dune // La terra dei figli // Tenet // Il dottor Stranamore // AD ASTRA // Brightburn // Jurassic World Il Regno distrutto // 2001: Odissea nello spazio // Tito e gli alieni // L’isola dei cani // La forma dell’acqua //

Animazione
// Lightyear: la vera storia di Buzz // Il ragazzo e l’airone // Penguin Highway // Il Grinch // Mirai // L’isola dei cani //

Giappone: non solo manga o anime
// Il ragazzo e l’airone // Penguin Highway // True mothers // Drive my car // 5 è il numero perfetto (nel commento: Quaderni giapponesi di Igort) // Mirai // Un affare di famiglia // Mr Long (attore cinese, ambientazione giapponese) // L’isola dei cani (regista americano, ambientazione giapponese) //

I giovani
// Sick of Myself // Io Capitano // Animal House // Next Sohee // Close // Chiara // Penguin Highway // 1917 // Jojo Rabbit // Un giorno di pioggia a New York // La paranza dei bambini // Roma // Mirai // La terra dell’abbastanza // Lady Bird // Alla ricerca di Van Gogh //

Da alcuni anni i più bei film di fantascienza sono film di animazione.
Una volta i registi riuscivano a rendere credibili le storie di extraterrestri e astronauti. I primi erano in possesso di una tecnologia nettamente superiore alla nostra, ma non ne approfittavano. Avrebbero potuto prenderci in giro (come nell’ultimo film di Wes Anderson); se avessero voluto avrebbero conquistato la Terra in un lampo. Non sfruttavano la evidente superiorità dei loro dischi volanti: atterravano in un posto sperduto e ci studiavano; oppure cercavano di trasformarci, uno a uno, in servi obbedienti. Anche la loro capacità di impostare strategie di conquista era nettamente superiore alla nostra, ferma al solito principio applicato da sempre nell’arte della guerra: colpisci il nemico con tutti i mezzi disponibili fino a distruggerlo. Se decidevano di conquistarci, per motivi ignoti, gli extraterrestri avviavano una lenta invasione attraverso spore o altro materiale.
Gli astronauti volteggiavano leggeri in assenza di gravità, si perdevano nello spazio cosmico, ritrovavano la strada e rientravano a casa, a volte portandosi dietro potenziali invasori.
Abbiamo visto più volte, in televisione, i veri astronauti nella stazione spaziale. L’impressione è di una grande noia. Si ha la sensazione che il loro problema principale sia come affrontare le lunghe attese tra un esperimento e l’altro nei mesi di coabitazione forzata in uno spazio ristretto, avendo davanti un panorama che cambia poco.
Ormai abbiamo capito – tranne i più lenti, i simpatici e sfortunati terrapiattisti – che siamo su un’astronave che gira nello spazio senza meta apparente. Ci siamo abituati all’idea. Non c’è bisogno di andare nella stazione spaziale: ci siamo già.
Non si potrà più recuperare lo stupore prodotto dallo sbarco sulla Luna o da 2001: Odissea nello spazio.
Un film di fantascienza si deve basare sulla scienza; si può immaginare qualunque assurdità, ma di fondo ci deve essere il rigore del pensiero scientifico, la coerenza con quasi tutte le acquisizioni della scienza. È nel “quasi” il segreto di un buon film di fantascienza.
Questo principio, negli ultimi anni, è applicato più facilmente nell’animazione che con gli attori in carne e ossa.
Per esempio si ritrova in Lightyear, regia di Angus McLane, e in Penguin Highway (l’autostrada dei pinguini), regia di Hiroyasu Ishida, adattamento del romanzo omonimo di Tomihico Morimi (2010).

Data la scarsa scelta estiva di film nelle sale, ho scaricato dalla rete Penguin Highway, che ho visto la prima volta nel novembre 2018 al cinema Odeon di Firenze. Era il più bel cinema di Firenze, prima di diventare un misto tra libreria, bistrot e cinema in orario notturno e solo dalla galleria.
Ho un bel ricordo del film e mi è venuta la voglia di rivederlo.

Grafica giapponese. Nessuna ricerca della fluidità dei movimenti o della naturalezza dei gesti. Nella vita non ci muoviamo come Roberto Bolle sul palcoscenico: ci pieghiamo di lato, cambiamo direzione, freniamo o acceleriamo all’improvviso; i movimenti a volte sono buffi e goffi; ogni tanto perdiamo l’equilibrio. Per quale motivo i cartoni animati dovrebbero muoversi come le modelle nelle sfilate o i divi sul tappeto rosso?
Non siamo nella fantascienza consueta: niente astronavi, viaggi spaziali, alieni.
In realtà gli alieni ci sono e sono numerosi: i pinguini compaiono dove non dovrebbero essere, prima su un terreno non edificato, poi nelle strade della città dove il personaggio principale, Ayoama, un bambino di nove anni, va a scuola, impara a proteggersi dai bulli, frequenta una bella ragazza molto più grande di lui che chiama “sorellona” nella traduzione italiana un po’ goffa (nell’originale giapponese usa un termine comune per indicare una giovane ragazza non sposata).
La ragazza fa l’igienista dentale ed è all’origine di fenomeni strani; come in un vero thriller, questo elemento della catena di eventi si costruisce nella mente del protagonista, quindi nella nostra, collegando vari indizi che si sommano gradualmente. È la conclusione parziale a cui arriviamo nella seconda parte del film.

Ayoama sa che da adulto sposerà l’igienista dentale, come può saperlo un bambino innamorato di una ragazza grande che lo tratta con condiscendenza; con lei si esercita nel gioco degli scacchi per riuscire a battere una compagna di classe più forte; lei lo aiuta a liberarsi di un dente pendulo utilizzando un metodo rude.
Quando dalla bocca del bambino esce un rivolo di sangue, dopo l’estrazione del dente, l’igienista dentale gli porge la bottiglia d’acqua e gli dice: «Sciacquati la bocca». Nient’altro.
Noi l’avremmo riempito di attenzioni, di tenerezze, e certamente si sarebbe messo a piangere.

Sono bambini che non piangono perché educati in quel modo. Anche quando la commozione prevale, quando una persona cara sta per partire, decidono: «Non voglio piangere e non piangerò».
«Hai pianto!» è un modo per offendersi tra di loro. «Non è vero, non ho pianto!» protestano. Vale per i maschi e per le femmine.
Il pianto è consentito solo ai più piccini, per esempio alla sorellina di Ayoama, che scoppia in lacrime al pensiero «Un giorno la mamma morirà. Non voglio!». Piange per ciò che accadrà, per le sofferenze che dovrà patire nella vita. Il fratello più grande la consola, ma non c’è consolazione possibile per il dolore di essere nato (Canto notturno di un pastore errante nell’Asia).

Improvvisamente si verifica un evento strano e inaspettato: la comparsa dei pinguini. Fanno seguito altri eventi che coinvolgono l’amica di Ayoama.
Il ragazzo è abituato dal padre scienziato a seguire un metodo per affrontare i problemi, a indagare sui fenomeni cercando le correlazioni.
IL METODO PER L’EUREKA
Scrivere tutto su un foglio – Guardarlo più volte – Smettere di pensare – Tutto va al proprio posto – EUREKA!

L’evento nuovo lo spinge a svolgere una ricerca, a munirsi di penna e taccuino per annotare con precisione ogni aspetto del fenomeno, eseguire misure. La ricerca scientifica è esplorazione dell’ignoto con metodo e razionalità, rispettando una sequenza di passi obbligati: osservazione, ipotesi, esperimento basato su misure, eventuale teoria.
Nel film non c’è solo il metodo scientifico.
Ci sono i mondi impossibili di Escher (il fiume in circolo, privo di sorgente, è uno dei fenomeni che i bambini non riescono a spiegarsi), c’è la Meccanica Quantistica, il mondo di Alice nel paese delle meraviglie (Lewis Carroll, pseudonimo del matematico Charles Dodgson).

Vediamo un pezzetto di futuro. I bambini giocano a scacchi, fanno ricerche vere (non copia e incolla da wikipedia), scrivono e annotano i dati sui quadernoni, con i bellissimi caratteri della scrittura giapponese. Usano la tastiera ma, quando serve, sanno usare la penna. Confrontano le ipotesi, le domande, le possibili risposte. Gli adulti sono sfuggenti, quasi inesistenti, tranne una: la ragazza amica di Ayoama che, però, rientra nel mistero, nell’evento strano e inaspettato.
Il bambino ha la forma mentis dello scienziato. Avverte una pulsione e si domanda: quale fenomeno fisiologico determina la mia attrazione per le tette di questa ragazza grande? Per quale motivo il seno di mia madre non mi fa lo stesso effetto del seno di questa ragazza? A che punto arriverò, continuando a costruire la mia intelligenza, quando sarò adulto?
Si presenta così: «Frequento la quarta elementare, ma quanto a conoscenze non sono secondo neppure agli adulti». «Ogni giorno imparo nuove cose sul mondo, ogni giorno sarò sempre più colto e più in gamba di come ero il giorno precedente». «3.888 giorni restano per diventare adulto (per compiere venti anni)».

Con lo stesso metodo e la stessa accettazione della realtà affronta i problemi eterni, che, ogni tanto, fanno capolino: «Le vacanze estive stanno per finire». «È inevitabile. Anche le cose più belle hanno un termine».
Questa frase non sembra da bambino ma da vecchio rassegnato alla tristezza della vita. La pronuncia un bambino di nove anni che avrebbe il diritto di pretendere che le vacanze non finiscano mai e di disperarsi perché sono finite.
Torno all’episodio che mi ha colpito perché mentalmente sono più vicino alla bambina piccola che al fratello più grande: il pensiero che la fa soffrire spingerebbe anche me a piangere sconsolato, fare i capricci e accusare chi ha deciso che le cose vadano in questo modo (se qualcuno lo ha deciso).
Di notte, mentre fuori piove, la bambina si aggrappa ad Ayoama piangendo.
La sorellina: «La mamma morirà».
Ayoama: «Che intendi dire?» «Ti riferisci a qualcosa che accadrà tra molto tempo, vero?».
La sorellina: «Sì, ma accadrà, vero?».
Ayoama: «Sì, accadrà. In effetti, sì».
La sorellina: «Ma perché?».
Ayoama: «Tutti gli esseri viventi, prima o poi, muoiono: i cani, i pinguini, le persone».
La sorellina: «Però io non voglio!».
Ayoama: «Non serve a niente fare i capricci. Neanch’io lo vorrei».
La sorellina continua a piangere e si abbraccia alla madre, che, intanto, l’ha raggiunta.
Purtroppo ha ragione Ayoama: non serve a niente fare i capricci, però anche accettare che le cose vadano come vanno non serve a diminuire la sofferenza. Non facciamo i capricci, ma non riusciamo ad accettare che una massa di ghiaccio e pietrisco si stacchi all’improvviso e travolga persone che un attimo prima erano felici. Tra x anni saremo esposti nei musei, come il cacciatore che fu travolto tanto tempo fa su queste montagne (la mummia del Similaun).

«Sembra che Dio si sia messo a giocare» dice la ragazza venuta da un altro mondo in seguito a un’interruzione spazio temporale. Non è facile cogliere tutti i riferimenti alla Fisica moderna presenti nel film.
Nei primi dieci minuti di una conferenza di Einstein tutti capivano; nei dieci minuti successivi capivano solo Einstein e Dio. Passati venti minuti dall’inizio, capiva solo Einstein.
Anche Dio si arrendeva e s’iscriveva a un corso di Fisica per cercare di comprendere meglio la sua creazione.
Qualche ragazzo o ragazza, incuriosito/a dalla visione di questo film, potrà appassionarsi ad argomenti che oscillano tra scienza e arte. I disegni sono bellissimi; se non si riesce a seguire la trama è consigliabile lasciarsi andare allo scorrere delle immagini.
Le immagini sono la poesia di Penguin Highway (l’autostrada dei pinguini).