8 dicembre 2023 h 18.00
Schermo televisivo
Film brutti (per me). Sono i film che non mi sono piaciuti
// Dall’alto di una fredda torre // The Fall Guy // Civil War // Enea // Chi segna vince // Un uomo felice // La guerra del Tiburtino III // Mi fanno male i capelli // Felicità // L’ordine del tempo // Educazione Fisica // Il primo giorno della mia vita // Vicini di casa // War La guerra desiderata // Dune // Domani è un altro giorno // Dead in a week // Una vita spericolata // Doppio amore [L’amant double] // Sono tornato //
La fluidità di genere in una commedia francese: “Un uomo felice”, regia di Tristan Séguéla.
Nello sguardo di Fabrice Luchini si legge: «Che sto facendo?»
Ho notato che molto spesso gli interpreti principali dei film brutti sono grandi attori.
Come si spiega?
I produttori sanno che il film è brutto (non sono scemi); per proteggere l’investimento coinvolgono attori famosi, che attirano il pubblico, sui quali non si potranno scagliare i fulmini della critica. Dopo che avranno usufruito dei finanziamenti e gli spettatori avranno pagato il biglietto d’ingresso in sala, non resta che mandare il film in rete e chi si è visto si è visto. L’interesse economico dei produttori è immediato (a Napoli si dice «Qua la pezza, qua il sapone»); non guardano avanti e non hanno la modestia del vecchio Angelo Rizzoli, che teneva i conti sulla scatoletta di un pacchetto di Turmac (le sigarette) e finanziò Otto e mezzo di Fellini dichiarando apertamente di non capirlo. I produttori attuali impongono gli argomenti, si fanno guidare dai sondaggi e si garantiscono con la presenza del grande attore, che funge da specchietto per le allodole.
Inserire un grande interprete in un film brutto non solleva le sorti del film; l’attore, mortificato da una sceneggiatura inconsistente, si attacca a un modello per portare a casa il risultato.
Fabrice Luchini, nell’interpretare un borghese di mezz’età avanzata, sindaco di una cittadina francese, ha preso a modello Louis de Funès.
L’isterico, aggressivo, antipatico Louis de Funès era unico e faceva molto ridere perché non teneva in alcun conto i buoni sentimenti, gli alti valori, il giudizio degli altri; in altre parole: era politicamente scorretto.
In “Un uomo felice” Fabrice Luchini ricorda Louis de Funès, anche se di tutte le qualità del grande attore francese (reazioni isteriche, aggressività, scorrettezza, antipatia, comicità) dopo un po’ rimane solo l’antipatia, non l’antipatia simpatica dell’originale ma quella insopportabile di un politico ipocrita.
Gli manca, soprattutto, per difetto di sceneggiatura, la comicità, e questo è grave per un film che vorrebbe essere comico ma, tranne in alcuni momenti isolati e riassunti nel trailer, non fa ridere.
Con questo trucco il regista mi ha fregato e ha fregato altri spettatori che hanno visto il trailer e hanno pensato: finalmente un film comico.
Niente da fare: abbiamo riso guardando il trailer. Basta. Non si ride più.
Il film vorrebbe esemplificare la fluidità di genere, che va tanto di moda; invece, all’opposto, fissa il genere maschile e, di conseguenza, il genere femminile in un modello ottocentesco sopravvissuto nel novecento fino al “sessantotto”, quando un vento nuovo lo ha spazzato via.
La moglie del sindaco ha tutte le caratteristiche di una donna: ha gli organi genitali, l’aspetto, gli ormoni, il DNA (caratteri sessuali) femminili. Ama il marito, con il quale ha cresciuto tre figli.
Però dice: «Mi sono sempre sentita un uomo».
In che senso? Le piace indossare i pantaloni e non le piace indossare reggiseni e gonna. Questo, secondo gli sceneggiatori, sarebbe un segno di mascolinità. Scherziamo? Siamo nella Francia attuale o nella recherche di Proust?
Un segno della trasformazione della signora Edith in Edi sarebbe il seguente: Edi sputa mentre scava un buco in giardino. Questo, sempre secondo quei geni degli sceneggiatori, una donna non lo farebbe mai. Scherziamo? Ma dove vivono?
Ci siamo detti, dopo i primi minuti: forse questa donna diventata uomo non è più attratta sessualmente dal marito. È logico supporlo.
Invece no: lei continua a desiderare rapporti sessuali con il sindaco e alla sua domanda: «Come si spiega?» risponde: «Sono gay».
Qui siamo oltre la fluidità di genere, siamo a una concezione astratta dell’essere umano. Siamo al dogma di fede.
Come se gli appartenenti alla specie homo sapiens fossero carte da gioco. Dal mazzo si può estrarre qualunque carta e, dunque, è possibile un numero enorme di combinazioni.
Allora ci domandiamo: come mai il sindaco è ancora attratto da Edi? A meno che anche lui sia omosessuale maschile o sia un trans femminile.
Se fosse un trans femminile non attrarrebbe sessualmente la moglie, che, grazie alle iniezioni di testosterone, è un trans maschile omosessuale.
Se il sindaco è maschio e omosessuale, le posizioni si sono invertite, più o meno: la coppia è solida. Si cambia l’ordine dei fattori, il risultato non cambia.
Roba da mettere in crisi uno psichiatra che si trovasse a seguire la moglie, il marito, o entrambi.
Mescoliamo le carte, ne estraiamo due dal mazzo: sul tavolo sono possibili molte combinazioni casuali.
Come se le cellule, il DNA, gli ormoni non esistessero. Ah già! Questi prendono gli ormoni allo stesso modo delle vitamine e dei sali minerali. Ti manca il magnesio, prendi l’integratore; ti manca il testosterone, prendi l’integratore, che, secondo loro, realizza il tuo desiderio di essere come “vuoi” essere, indipendentemente da come sei.
Hanno la stessa mentalità di quei cinesi aristocratici dell’antico impero che mettevano alle figlie scarpe piccole o fasciavano i piedi, convinti che una donna debba avere piedi piccoli somiglianti ai fiori di loto (una fissazione orribile) e non capivano come mai le mogli e le madri avessero i piedi deformi.
Per affermare un principio, la fluidità di genere, in questo film hanno bloccato i generi tradizionali e li hanno vincolati ai ruoli che, tradizionalmente, svolgono in una parte della società di una cittadina del nord della Francia (nella realtà ampiamente superati). Di fatto hanno stabilito che quei ruoli sociali, quei modi di comportarsi, non sono il risultato di educazione; secondo gli sceneggiatori del film sono naturali.
Dunque, secondo loro, se una donna sputa per terra quando scava un fosso in giardino e non ama fare la mogliettina che aspetta a casa mentre il marito fa il ruffiano con gli elettori, è un uomo.
La signora diventata uomo, dopo essere stata accettata dal marito e dai figli, continua a essere la compagna del sindaco, o il compagno (non è chiaro), e svolge lo stesso ruolo che aveva prima della trasformazione.
Il cambiamento di genere, in questo film, è diventato una malattia da cui si guarisce con gli ormoni (non potevano mancare i medici) e accettando qualche modifica del proprio aspetto. Il resto rimane come prima.
Qual è l’unico risultato della ribellione di Edith (Edi)? Poter radere con la lametta o con la macchinetta i peli prodotti dal testosterone introdotto per via intramuscolare.
Anche il rapporto con i figli non è cambiato. La figlia pronuncia una battuta perfida: «Ho sempre desiderato essere l’unica donna della famiglia» (sottinteso il complesso di Elettra: cara mamma, ho sofferto tanta gelosia da piccola, ora finalmente ti sei tolta dalle scatole).
La moglie del sindaco non è uomo; è una donna stufa di essere relegata nel ruolo in cui è stata costretta dalla nascita: la brava bambina, la brava figlia, la brava moglie, la brava madre.
Vuole pensare a se stessa, essere un tipaccio, e ha ragione, ma questo non vuol dire diventare uomo. Si può essere un tipaccio anche da donna, se si ha coraggio.
Se non fosse un brutto film, si potrebbe auspicare un seguito: lei si rende conto del tranello in cui è caduta, denuncia il medico che le ha prescritto gli ormoni, riporta la situazione endocrina del sangue a quella che era prima della “cura” e, ritornata Edith, se ne parte per un giro del mondo insieme a un compagno meno noioso del sindaco, o, se preferisce, insieme a una compagna. Se ne parte libera e saluta i figli, che devono imparare a cavarsela da soli.
La cura ormonale è un esempio dei guai causati dai medici spregiudicati. Gli ormoni non hanno effetti solo sulla peluria e ci dev’essere un motivo se le ghiandole endocrine della signora, per gran parte della vita, si sono limitate a produrre determinate sostanze e non altre. Intervenire sugli ormoni richiede molta attenzione e cautela.
La medicalizzazione della vita, spinta all’eccesso con varie forme di pubblicità palese e occulta, è uno dei problemi che affliggono attualmente il mondo occidentale. Pare che non si possa andare avanti senza avere sorbito la dose quotidiana di pillole per mantenere la bellezza e conquistare la longevità.
Vediamo in televisione, e anche in giro, questi campioni di bellezza trasformati in bambole di plastica, in maschere di carnevale: capelli color asfalto, guance color mattone, occhi sbarrati, sguardo perso.
Ciò che siamo, fisicamente, è stabilito dal DNA. La parte sessuale di ciò che siamo è determinata dai cromosomi x e y. Non tutte le combinazioni possibili in astratto si realizzano. Non siamo carte da gioco.
Ciò che siamo, psicologicamente, è stabilito in parte dal DNA, soprattutto dalla società in cui viviamo, dall’educazione che abbiamo ricevuto, dalle esperienze che abbiamo vissuto e da noi stessi. Dobbiamo tutti decidere il nostro ruolo, senza farci incatenare dagli stereotipi: il maschio condannato a fare il sindaco arrivista, la femmina condannata a fare la brava donna di casa.
Ma questo è un discorso entrato da tempo nella società; solo gli sceneggiatori di questo film (che geni!) non se ne sono accorti.
Gli stereotipi su cui si basano i ruoli tradizionali non hanno niente a che vedere con l’essere donna o uomo. Fino a che non potranno cambiare il suo DNA, Edith sarà fisicamente una donna; se preferisce comportarsi nel modo in cui, generalmente, nella sua città si comportano gli uomini, non vuol dire che è diventata un uomo. Sulla propria psiche e sul proprio ruolo nella società si può influire senza sottoporsi a interventi chirurgici o iniezioni di ormoni; quando i medici spregiudicati potranno cambiare il DNA a richiesta, chi li lascerà fare diventerà un’altra persona.