13 marzo 2023 h 17.00
Cinema Teatro La Compagnia Firenze – via Cavour, 50r

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Umberto Eco è stato un maestro per la mia generazione.
Anche per chi, come me, non l’ha conosciuto personalmente, ma solo attraverso i libri e le interviste, Umberto Eco era il professore di cui ci fidavamo per istinto, il professore che ci piaceva ascoltare.
Ci ha insegnato soprattutto uno sguardo.

Indipendentemente dal rapporto con i libri (ognuno ha il suo) abbiamo imparato che tutto è cultura: dal Fratello Maggiore di Orwell (1984: Big Brother) al Grande Fratello televisivo, dalla linguistica al fenomeno Mike Buongiorno, dalla semiotica ai fumetti.
Diceva: «Non fatevi ricattare da quelli che vi dicono che bisogna leggere solo libri importanti».
Che liberazione!

Nella scuola, che ci ha catturati a sei anni (raramente si entrava prima, non c’erano gli asili nido) e rilasciati quando eravamo adulti, volevano farci credere che una persona seria si occupa di cose serie. Confondevano la serietà con la pesantezza.
Per Umberto Eco le cose leggere possono essere molto serie; insieme a Italo Calvino, l’altro grande maestro, ci ha insegnato che la leggerezza merita di essere tenuta in grande considerazione.

Proseguendo il cammino, ci siamo liberati dall’idea di una pretesa superiorità degli studi umanistici rispetto agli studi scientifici e tecnici.
La mia generazione è cresciuta all’interno della più grande rivoluzione del novecento: non la Rivoluzione di ottobre (a quei tempi non c’eravamo), non la rivoluzione dei costumi sessantottina (frutto del benessere diffuso, raggiunto dopo secoli di miseria), ma la rivoluzione informatica: il passaggio dagli strumenti analogici per la conservazione e la riproduzione delle informazioni agli strumenti digitali.
Questa rivoluzione ha cambiato quasi ogni aspetto della vita e ha avuto un’enorme diffusione, ha ridotto e tende ad annullare la distanza tra il centro e la periferia, tra le metropoli e i piccoli borghi sperduti.
I motori della rivoluzione non sono stati i filosofi, i politici, i capipopolo. Sono stati gli ingegneri hippy americani citati da Alessandro Baricco in The Game. Ai motori primi si sono aggiunti molti altri contributi. Ma i primi e più decisi, quelli che avevano le idee chiare fin dall’inizio, sono stati loro: gli ingegneri hippy americani. Non a caso la Silicon Valley è un simbolo, anche se ora i chip li fanno soprattutto a Taiwan e in parte in Corea del Sud, gli iPhone in Cina, in Brasile, in India.
Quando i computer cominciarono ad apparire nelle nostre vite e sulle nostre scrivanie (scatoloni ingombranti, schermi pesanti) e molti coetanei del professore si chiudevano nella pigrizia e guardavano con alterigia le nuove macchine – «Per scrivere uso solo la penna stilografica» dicevano con orgoglio immotivato; qualcuno avrebbe potuto chiedere: «Perché non usi la penna d’oca?» – Umberto Eco capì il contributo che l’informatica avrebbe dato allo studio, alla comprensione del mondo, alla letteratura, all’arte.
Negli anni ottanta realizzò una biblioteca della cultura divisa per secoli, da utilizzare sui computer di allora tramite i DVD (internet si sarebbe diffusa nel decennio successivo).
La sua biblioteca, insieme alla contemporanea Enciclopedia Encarta della Microsoft, è l’antesignana di Wikipedia, con un pregio in meno e uno in più.
Il pregio in meno è dovuto a un fatto tecnico: non c’era la rete, non si navigava nel World Wide Web e, quindi, mancava il flusso circolare delle informazioni; la cultura viaggiava dal professore al popolo degli utilizzatori: direzione obbligata.
Il pregio in più era l’affidabilità, cioè l’autorevolezza della fonte e la mancanza di fake news: le informazioni erano a prova di hacker (mariuolo), di hater (odiatore), di troll (perditempo).

Se in Wikipedia si riuscisse a combinare la circolazione orizzontale delle informazioni con un maggiore controllo e si insegnasse agli studenti a realizzarla, non a copincollarla per fare le “ricerche”, sarebbe uno strumento potentissimo.

Esercizi per gli studenti.
Esercizio 1: trova dieci informazioni non verificate o false, pubblicate da Wikipedia su un argomento.
Esercizio 2: costruisci la biografia di un celebre cantante rock inventato e verifica quanto tempo impiega la rete per accorgersi del falso.
Esercizio 3: uguale al 2, con riferimento – a un pittore rinascimentale degli anni settanta – al famoso scrittore Giovanni Boccaccio, premio Strega, autore del Decamerone e dei testi degli Squallor – ai filmini amatoriali girati da Napoleone nell’Isola d’Elba. Per evitare di aumentare la confusione e l’ignoranza diffusa, questi contributi dovrebbero essere tolti dalla circolazione dopo un tempo dato o segnalati con una scritta: “Ci hai creduto? Ammazza quanto sei ignorante!”.
Esercizio 4 o dello sputtanamento: cerca i libri e gli articoli contenenti informazioni o giudizi copincollati da Wikipedia. Si sottolinea “copincollati” perché non si ha l’intenzione di demonizzare Wikipedia. Si vuole solo sputtanare quelli che non hanno la capacità di rielaborazione e si riducono a rubacchiare testi qua e là.

Umberto Eco è stato anche il primo a capire l’utilità dei manuali all’americana.
Un libro molto utile agli studenti che, all’epoca, organizzavano una tesi s’intitola: Come si fa una tesi di laurea. Sottotitolo: Le materie umanistiche – ma va benissimo anche per le materie scientifiche.
Contiene tutte le informazioni necessarie per dare la forma adeguata a un saggio: ampio spazio per la ricerca bibliografica (la reperibilità delle fonti, come usare la biblioteca, come realizzare uno schedario e riportare una citazione), per i criteri grafici (margini, spazi, sottolineature, maiuscole). Naturalmente è riferito agli anni settanta: schede di cartoncino e scrittura con la macchina per scrivere Olivetti. All’interno divertenti consigli; per esempio: Come evitare di farsi sfruttare dal relatore.
Nel manuale si riconoscono le qualità del nostro, presenti in opere ben più corpose e importanti. Credo ci siano stati aggiornamenti successivi agli strumenti che, dopo quegli anni, si resero disponibili per gli studenti, è naturalmente superato, ma sono affezionato a questo libro. Mi fu molto utile.
Aggiungo una considerazione: dimostra la mancanza di superbia dell’autore; si potrebbe mai immaginare uno degli intellettualoni che predicano dalle cattedre o dagli schermi televisivi scrivere un manuale per gli studenti?

Umberto Eco distingueva tre tipi di memoria dell’umanità: la memoria vegetale (utilizza il legno); la memoria organica, che abita nelle nostre teste; la memoria minerale (utilizza il silicio).
Dava importanza, abbiamo visto, alla memoria minerale, alla memoria organica (nella sua biblioteca molti libri di mnemonica), ma, soprattutto, alla memoria vegetale.
I libri sono l’unico strumento che ha dimostrato, finora, di saper resistere al tempo: la memoria organica e la memoria minerale sono poco resistenti.
Floppy disk, hard disk, CD, DVD, penne USB, stato solido (SSD); sono gli strumenti utilizzati finora per conservare le informazioni che leggiamo sugli schermi dei computer e, spesso, il passaggio dall’uno all’altro ha reso illeggibile il precedente.
Nei computer si immagazzinano parole, immagini fisse e in movimento, suoni, collegamenti. Per poterne usufruire è necessario un software (programma, applicazione).
I programmi cambiano, le applicazioni diventano obsolete, gli strumenti si deteriorano, possono subire shock elettrici. In un secondo le informazioni presenti sull’hard disk possono diventare illeggibili o letteralmente sparire (è la stessa cosa).
C’è la nuvola, potrebbe dire qualcuno, alzando la mano a indicare il cielo. Purtroppo la nuvola non si trova in cielo: è costituita da hard disk di grande memoria, superprotetti, che lavorano in serie.
Per funzionare hanno bisogno di programmi soggetti a rapida (rispetto ai libri) obsolescenza. Hai voglia a fare i backup! Serve il backup aggiornato, sul quale siamo tutti un po’ fissati, ma il modo migliore per conservare un testo importante rimane la stampa. Il foglio di carta potrebbe bruciarsi, potrebbe smarrirsi, ma finché ci sarà siamo sicuri che potremo leggerlo.
Sugli hard disk sono sempre in agguato: lo shock elettrico, la mancanza di energia, il mariuolo (hacker), l’errore umano, che ha conseguenze su un numero enorme di informazioni: potenzialmente su tutte. Un virus, non biologico, informatico potrebbe distruggere tutta l’informazione attualmente in forma digitale. Ci resterebbero i libri.
Nel mondo digitale errori piccoli (i cosiddetti bug) possono avere grandi conseguenze. È come se i fanatici che hanno distrutto i Buddha di Bamiyan nel 2001 avessero a disposizione uno strumento che consentisse loro di distruggere con un gesto tutte le statue, o un numero enorme di statue, presenti sulla terra. Impressionante!
Dunque i libri saranno necessari ancora per molto tempo, anche perché non è stato inventato il supporto che li sostituisca pienamente; i piccoli lettori di ebook, come il kindle, hanno quasi la stessa immediatezza e semplicità di utilizzo, oltre a molti altri pregi, ma rendono astratta la lettura: non vedi le pagine lette – si volatilizzano dopo che le hai lette, riappaiono dal nulla se torni indietro – non vedi le pagine da leggere, esistono solo quando le raggiungi. Esiste solo, davanti agli occhi, quindi nella mente del lettore, la pagina che sta leggendo. Questa è la sensazione soggettiva (è soggettiva anche nel senso che non è detto che altri la condividano). Non puoi sfogliare l’ebook, non puoi accarezzarlo con lo sguardo, non puoi sporcare le pagine con il caffè o con le briciole della colazione. Se versi il caffè sul lettore i “libri e” (ebook) spariscono.
Secondo me: se devi studiare, i libri digitali vanno bene. Se devi leggere per il piacere di leggere, è necessario il libro di carta.
Non ti viene la voglia di guardare la prima edizione di un ebook, anche perché sono recenti e le varie edizioni si distinguono poco.
Che succede con i libri? Puoi desiderare di mettere gli occhi su una delle sette copie esistenti di un atlante del 1700, una copia conservata in una biblioteca pubblica o nella biblioteca privata di un collezionista che ha girato l’Europa per scovarla.
Il libro è un oggetto attraente.

Umberto Eco collezionava libri antichi, oltre a possedere una sterminata biblioteca moderna di più di 30.000 volumi.
Sono stati catalogati 1200 (secondo il film; in un bel video l’antiquario fiorentino Paolo Pampaloni dice di averne elencati 1350) libri antichi e rari, che acquistò soprattutto dopo il successo mondiale di Il nome della rosa che aumentò di molto le sue disponibilità economiche.
La sua collezione contiene libri di semiotica, di alchimia, scienze occulte, cabala, mnemonica.

La Biblioteca di Umberto Eco è l’argomento del bellissimo film documentario che ho visto al cinema La Compagnia in una serata che annuncia l’arrivo della primavera.
Si vedono: la vedova, i figli, i nipoti, gli amici, la folla impressionante di gente che volle salutarlo da vicino quando morì; il curatore della Biblioteca mostra alcuni libri; il professore si aggira in quelle stanze, sfoglia, spiega, racconta (gli piaceva molto raccontare), suona, male, il flauto («Preferisco suonare male pezzi difficili che suonare bene pezzi facili»).
Sono riproposti spezzoni di interviste nelle quali spiazzava l’interlocutore (si divertiva); risentiamo la frase: «Non fatevi ricattare da quelli che vi dicono che bisogna leggere solo libri importanti».
Questa frase mi piace molto; dentro ci sono due categorie di personaggi.
I chierici che, per conservare il potere, cercano di rendere complicata l’entrata nella parrocchia: la considerano il loro piccolo possedimento, il loro orticello, e stanno attenti, in guardia all’ingresso.
I ricattati, che accettano un’idea aristocratica della cultura pur di essere ammessi “alla mensa del signore”, inteso non come Dio ma come padrone dell’orto.
Da questa gente ci metteva in guardia il prof; lui non aveva un grande merito a essere diverso dai chierici: gli veniva spontaneo, naturale; era fatto così.
Umberto Eco poteva parlare di argomenti difficilissimi usando parole comuni, il minimo necessario di termini specialistici. E si occupava di tutto ciò che rientrava nella sfera della sua curiosità. Una sfera enorme, secondo alcuni fisici teorici che hanno studiato la questione: illimitata.
Ora la Biblioteca di Umberto Eco appartiene allo stato: la parte antica, definita da lui «semiologica, curiosa, lunatica, magica et pneumatica» alla Biblioteca Nazionale Braidense di Milano; la parte moderna e l’Archivio sono in comodato d’uso all’Alma Mater Studiorum (Università di Bologna).

Umberto Eco aveva uno stile di scrittura piacevole; anche quando affrontava argomenti scientifici il suo racconto rivelava distacco e umorismo.
Un solo libro, dei suoi che ho letto, mi è risultato particolarmente ostico: Il pendolo di Foucault.
Più volte ho ingaggiato un corpo a corpo con questo libro.
Finiva la vacanza e non potevo dedicargli altro tempo. Interrompevo la lettura.
Alla ripresa non ricordavo bene la parte letta ed ero costretto a ricominciare daccapo.
Una volta mi sono procurato un Dizionario del pendolo di Foucault, di Luigi Bauco e Francesco Millocca; pensavo mi aiutasse nella impari lotta. Un libro per leggere un libro. Che esagerazione!
Finora ha vinto sempre lui; non so come andrà a finire, se dovrò fare a meno di sapere come si conclude (saltare alla fine è inutile).
Nel film ci sono alcuni testi tratti da saggi di Umberto Eco, interpretati da attori; fra questi testi uno mi è sembrato riguardasse il mio rapporto con Il pendolo di Foucault.
Riporto il racconto come me lo ricordo: non ho fatto in tempo a segnarmi il titolo del libro da cui è tratto.
Comincia raccontando di un giovane che fa la maschera in un teatro. Il giovane dorme in un collegio. Siccome deve rientrare prima di mezzanotte, non ha mai visto come finiscono le opere teatrali. Non sa che fine fa Amleto, immagina che Otello faccia pace con Desdemona, che il malato immaginario guarisca.
Il suo amico bigliettaio non vede mai l’inizio delle opere teatrali, perché deve fare il biglietto ai ritardatari.
Il bigliettaio non sa perché Amleto vuole uccidere lo zio, che sembra tanto una brava persona.
Quando andranno in pensione i due potrebbero raccontarsi le parti che mancano a ciascuno: la maschera racconterebbe al bigliettaio l’inizio delle storie, il bigliettaio racconterebbe alla maschera come finiscono.
Non sarebbe una buona soluzione, perché l’imperfezione della conoscenza è un bene. È un bene non conoscere l’inizio o la fine delle storie. Entriamo nella vita senza sapere com’è iniziata; ne usciamo senza sapere come andrà a finire.