15 marzo 2023 h 17.45
Cinema Adriano Firenze – via Giandomenico Romagnosi, 46

Suspense (alta tensione: thriller e/o horror)
// BlackBerry (thriller tecnologico) // Club Zero (horror alimentare) // Come pecore in mezzo ai lupi // Sanctuary (thriller psicologico) // Beau ha paura [Beau is afraid] // Cane che abbaia non morde [Barking dogs never bite] // Preparativi per stare insieme … (thriller psicologico) // L’ultima notte di Amore (noir metropolitano) // Holy Spider // M3GAN (thriller distopico) // Bones and All (horror cannibale) // Nido di vipere // L’homme de la cave [Un’ombra sulla verità] // La fiera delle illusioni // America Latina // Raw (horror cannibale) // Titane // Doppia pelle [Le daim] // Il sospetto [Jagten] // Favolacce // Notorious! (thriller H) // Parasite // Il signor diavolo // The dead don’t die (gli zombie sono tornati) // Border: creature di confine // La casa di Jack // Gli uccelli [The birds] (horror H) // L’albero del vicino //

L’illusione di fare solo una piccola cosa sbagliata.
«Che vuoi che sia! È solo una piccola scorrettezza, serve solo un po’ di disonestà. Non può avere grandi conseguenze».
Eppure la piccola disonestà, ritagliata dentro una vita onesta, ha l’effetto di smuovere i sassi in cima alla montagna: i sassi cominciano a scendere; in pochi secondi si forma la frana, inarrestabile; la valanga travolge tutto ciò che incontra: niente rimane com’era prima. Bisogna rialzarsi, contare i danni. Non rimane altro da fare.

Solitamente mi piace raccontare la trama: è il mio modo di commentare. Non credo di fare alcun danno a chi non ha visto il film (peraltro, se non gli va, non è obbligato a leggere).
A me non importa sapere in anticipo “come va a finire”. Nel semibuio della sala, mentre sullo schermo si svolge il racconto, dimentico ciò che conosco e prendo tutto per buono; m’immedesimo nelle cose più assurde. È il criterio che uso per capire se il film è fatto bene.
Se mi accorgo delle assurdità (il cinema è sempre assurdo) non dopo, ma durante la visione, se la trama ha contraddizioni interne che mi distraggono, va messo nell’elenco dei film brutti, anche se ci sono belle immagini o ci lavorano buoni attori.

Non è il caso di L’ultima notte di Amore. Il regista Andrea Di Stefano ha realizzato un vero thriller.
Per questo non mi sembra il caso di raccontare la trama: una serie di svolte inaspettate colgono impreparati gli spettatori.
Le immagini, i suoni ambientali, la colonna sonora, i dialoghi, tutto è congegnato in modo da metterci in uno stato di sospensione. Ogni scena è studiata nei minimi dettagli e mette ansia; l’impressione rimane nella memoria quando si esce dal cinema Adriano, si segue il percorso del tram, si raggiunge piazza Dalmazia e, passando davanti al cinema Flora, si prosegue fino alla stazione Firenze Rifredi. Camminando col ritmo giusto (non c’è fretta) si ricostruisce la trama. Questo accade a chi esce dal cinema Adriano e va verso Rifredi, ma anche a chi va da un’altra parte e a chi esce da un altro cinema e se ne va per i fatti suoi. Se ha qualcosa di urgente da sbrigare, probabilmente si distrae, ma poi, sono sicuro, ripensa alla storia del povero Franco Amore che Pierfrancesco Favino e il regista hanno reso vero.

L’incipit mi ha conquistato: andrei di nuovo al cinema anche solo per vederlo. “Dall’incipit dipende come sarà il film”: la vecchia regola non inganna (non sempre, nella maggioranza dei casi non inganna).
La lunga panoramica dall’alto sulla città di notte, il percorso lento sopra le case, i grattacieli, le strade coperte di macchine, incalzati da una musica che all’inizio è ossessiva, è un respiro affannoso, ansimante, quasi un lamento, poi si addolcisce e sfuma quando arriviamo, passando per le grandi finestre, dentro all’appartamento dove abita Franco Amore, il poliziotto che sta per andare in pensione – gli manca un giorno – e la moglie, i parenti, gli amici, gli hanno preparato una festa a sorpresa.
In quel momento, quando Franco in tuta sale su, esce dall’ascensore e gli aprono festosamente la porta, il guaio è già successo, lui deve fingere davanti ai colleghi; si commuove.

Il regista ci porta indietro, a dieci giorni prima. La faccia di Franco è completamente diversa (grande Favino); ha l’espressione di un uomo sereno che sta per andare in pensione dopo “35 anni di onorato servizio nella polizia”.

Franco è in macchina e, nell’attesa di essere chiamato per qualche intervento, scrive, appoggiandosi allo sterzo, il discorso che pronuncerà davanti ai colleghi per salutarli; ricorderà che in tanti anni di servizio, con tanti pericoli, non ha mai sparato per colpire qualcuno. Franco ama raffigurarsi in questo modo: prudente, deciso, con la testa a posto, attento alle regole, capace di non farsi sfuggire di mano le situazioni. Non ha fatto carriera: è tenente della polizia ma non è diventato, che so: commissario, questore (non me ne intendo) perché non è ruffiano, non è carrierista, è profondamente onesto. In quel momento, mentre scrive il suo discorso in macchina, appoggiandosi al volante, è sereno. I poliziotti che ogni giorno rischiano la pelle nella giungla gli vogliono bene. La poliziotta racconta l’inseguimento di un filippino nei vicoli scuri da dove non si sa se si potrà uscire.

Chi fa quel lavoro non è esentato dai problemi personali che abbiamo tutti. Per esempio Dino (un bravissimo Francesco Di Leva), cresce da solo un bambino curioso, che guarda tutto, un bambino sveglio. Dino fa sacrifici, col suo magro stipendio, per non fargli mancare nulla. Questo è il problema: il magro stipendio; tante cose succedono per colpa del magro stipendio.

Franco interviene a salvare un gioielliere cinese; ne conquista la riconoscenza. Qui cominciano i guai.
E qui mi fermo.

Aggiungo solo che dovrà passare la notte, una lunga notte, per trovare una soluzione sbilenca e provvisoria, l’ultima notte prima di andare in pensione. Le cose non tornano mai indietro dopo la valanga, non ritorna la serenità, l’amore che riempiva la vita; è una legge fisica: i sassi vanno sempre e solo giù, dalla cima della montagna.

Pierfrancesco Favino non ha interpretato, è diventato un poliziotto meridionale che, per una volta nella vita, si fa convincere a lasciare la strada della correttezza, ma dimostra, alla fine, di “avere le palle” per abbandonare un delinquente al suo destino e usare la pistola quando è necessario.

I delinquenti credono che la prudenza degli uomini forti sia debolezza e fanno male i calcoli.
Non una parola di più.
Questo thriller, perfetto nel suo genere, è da vedere.