4 novembre 2021 h 18.00
Cinema Odeon Pisa – piazza San Paolo all’Orto

Altri film del regista: // La Stranezza // Conversazione su Tiresia // Una storia senza nome [In breve] //

Napoli e dintorni
// Caracas // Mixed by Erry // Il buco in testa // Come prima // Nostalgia // È stata la mano di Dio // Il bambino nascosto // Ariaferma // Qui rido io // Il mare non bagna Napoli (libro) // Il sindaco del rione Sanità // Martin Eden // 5 è il numero perfetto // La paranza dei bambini // Il vizio della speranza // Achille Tarallo // Cinema Moderno (articolo) // Una festa esagerata // Napoli velata //

Non si capisce per quale motivo il vecchio professore di pianoforte sia andato a vivere in un posto dove non c’è un vicino di casa – dico uno, uno solo – non affiliato alla camorra. I vicini o sono camorristi in servizio permanente, o sono spie, o vittime condiscendenti e pronte a dare una mano (alla camorra, non alla giustizia).
Il fratello del professore ha ragione. Lo rimprovera perché si disinteressa del padre (una visita ogni tanto); vive in un posto tristissimo, con l’unico svago delle poesie recitate a memoria mentre, in un pigiama d’altri tempi, è impegnato nell’operazione mattutina della rasatura (ha un altro svago, pericoloso, di cui parleremo).
Insegna al Conservatorio di Musica San Pietro a Majella – inquadrato troppo poco: non ho visto la facciata dell’ex convento dei celestini, il complesso religioso seicentesco divenuto conservatorio nel 1800. Non ho visto il bellissimo chiostro, i corridoi tappezzati di quadri, statue e mobili antichi. Non ho visto la strada antistante al Conservatorio, via San Pietro a Majella, una traversa di via Costantinopoli. Chi vuole vedere alcune di queste immagini può cliccare sul video Cammenata 2015, in fondo a questo commento.

Ma com’è possibile girare una scena in una sala di quell’antico edificio e farsi scappare l’occasione di riprendere la strada davanti all’ingresso?!
Continuo andirivieni di turisti e di studenti di musica che si riuniscono in allegri gruppetti; qualcuno dei giovani porta sulle spalle la custodia, da cui s’indovina lo strumento musicale. Un po’ più avanti c’è un negozietto, una piccola salumeria, linda e ordinata, dove vanno a comprare il panino. Davanti al bancone un tavolo con i salviettini di carta; per una questione burocratica non se ne possono aggiungere altri: se sei salumeria non puoi diventare trattoria; lo spazio a disposizione è piccolo, ma un altro tavolo farebbe comodo. La signora farcisce i panini col prosciutto, con lo stracchino o con la mozzarella (e pomodori); se si è fortunati, in questo periodo dell’anno si trovano i friarielli (cime di rapa). Gli studenti acquistano e vanno a mangiare in un’aula (credo); i viandanti, come me, e i clienti con la faccia da impiegato in pausa preferirebbero sedersi.
Mi riferisco al 2015; non so se la signora che preparava i friarielli insieme al marito c’è ancora. Dopo i momenti più bui della pandemia, certamente la strada è tornata a essere piena di vita e di allegria.
Bloccato a casa da problemi familiari, nel 2015, 2016 mi prendevo un giorno libero alla settimana e, per rilassarmi, andavo in quelle zone che mi ricordavano l’adolescenza, la scoperta di Napoli e, insieme, della possibilità di vivere liberi, senza condizionamenti. [Nota aggiunta: Carolina, mia sorella, mi dice che i friarielli non sono le cime di rapa. Dice che se chiede le cime di rapa, il fruttivendolo non le dà i friarielli, che ne sono una parte. Suggerisce la parola friggitelli. Secondo me non è giusta, perché il friggitello è un cultivar del peperoncino, non c’entra niente con le deliziose, ricciute infiorescenze della cima di rapa, a cui mi riferisco. Ci sarà una parola specifica, in italiano, per indicarli, oltre alla generica infiorescenze?].

Com’è possibile lasciarsi scappare immagini così belle, che fanno capire l’ambiente in cui il maestro di musica si muove, lavora, vive! Non c’è solo la camorra in quelle zone della città!

Da quelle immagini si capirebbe per quale motivo un borghese benestante possa decidere di vivere lì vicino (credo in via Tribunali, ma non sono sicuro, non si vede bene). [Nota aggiunta: qualcuno mi dice che si tratta di via Forcella, non lontana da via Tribunali].
Si sceglie di vivere lì perché c’è l’arte, dovunque, nella gente, negli edifici, per strada; non c’è solo la camorra, che, peraltro – camorra, mafia o delinquenza organizzata – è presente anche in altri posti, anche fuori Napoli, al centro, al nord, nelle banche svizzere, in Scozia. Sì, proprio in Scozia (Eunews, 19/11/2020: Brexit, la vittoria della McMafia. Come l’uscita del Regno Unito dall’UE favorirà la criminalità organizzata in Scozia).

Il film suscita una domanda, ma non aiuta, chi non conosce quei posti, a trovare una risposta. Sarebbe bastato poco. Sarebbe bastato inquadrare il Conservatorio San Pietro a Majella e la strada antistante. Lo spettatore avrebbe capito.

Il professore non perde l’occasione per esercitare il suo sadismo nei confronti degli allievi («state perdendo tempo», come se fosse un delitto perdere tempo). In particolare si esercita nei confronti della ragazza che prende lezioni di pianoforte a casa sua («mi stai rompendo le palle!»; non dice proprio così, ma il senso è questo).
La ragazza lo paga in nero (niente ricevuta); il bambino capisce al volo e gli dice, ridacchiando: «e pigliàtə a mazzettə!», «hai preso la mancia!».
Non sorride mai, questo vecchio maestro di musica, come se avesse passato un brutto guaio; si fa condizionare dagli altri.
Vive in un bunker, il suo appartamento, da cui esce con l’atteggiamento teso e sospettoso di chi teme un agguato; quando è in casa spia i vicini da dietro le tende di una finestra.
A occhio e croce, a giudicare da quello che si vede, ha una vita di merda; Silvio Orlando, in questo film, ha gli atteggiamenti, gli sguardi, le physique du rôle di uno che vive una vita di merda.
Quando un ex allievo, un tipo malmostoso, viscido come una lumaca, gli entra in casa quasi con la forza e lo tratta senza rispetto, lui cede, non si difende, non lo caccia fuori.
Forse qualcosa nel suo passato lo rende così remissivo.

Se c’è stato qualcosa, perché non scappa via da un posto nel quale chiunque può trattarlo come pezza da piedi?
Vuole punirsi, soffrire, espiare le colpe, scontare le pene che si è inflitto da solo (mi sembra, se ricordo bene, che un personaggio gli dica: «tu sei un protestante che vive in un ambiente cattolico», o qualcosa del genere). È solo un’ipotesi, perché il film non ci aiuta a comprendere la personalità del vecchio maestro di musica, forse rimanda al libro.
Onestamente, non ho voglia di leggere il libro, il film non mi spinge a farlo, credo che mi annoierei, come mi sono annoiato davanti allo schermo.

Il personaggio è deprimente, non ha un guizzo di ribellione o di allegria.

Il viscido bussa di nuovo alla porta del maestro quando ha bisogno di aiuto perché gli altri delinquenti lo hanno conciato male.
Il maestro non chiama l’ambulanza ma apre la porta e, cosa ancora più strana, lo fa entrare, come se la sua casa fosse un reparto di pronto soccorso, lo aiuta a curare le ferite con pezze bagnate.
Il viscido guarisce in pochi giorni, nessun segno dell’aggressione subita rimane sul suo viso, continua a lavorare per i delinquenti, fino a commettere un delitto mascherato da suicidio.

La vocazione del maestro a essere vittima continua a stupire; ha una bella casa, bei mobili, il pianoforte, tanti libri. Non si sa chi passa l’aspirapolvere, spazza i pavimenti, pulisce il bagno, fa la lavatrice, spande i panni.

Che ne vuoi sapere? Si può obiettare. È un film, non è la vita.
Mi è venuto questo interrogativo pensando che un altro personaggio, una bella donna di servizio napoletana, che entrasse in casa e si trovasse di fronte a una situazione pericolosa, avrebbe creato una svolta interessante, altre interazioni possibili, altri sviluppi: la sorpresa della donna quando scopre il bambino nascosto nel ripostiglio («Maronna mia, e chistə chi è?»), il conflitto tra il suo istinto materno e la paura: «Prəssó! (contrazione di prufəssó, vocativo di professore)» – «Ma vujə cə vulitə fa accidere a tutt’e tre!» (ma voi non considerate che ci possono uccidere tutti e tre?).
Infine, ci sarebbe stata la bella scena finale liberatoria, non la fuga deprimente in due, ma la fuga in tre verso la libertà. Al confine la guardia di frontiera avrebbe chiesto al guidatore, riferendosi alla bella donna napoletana seduta accanto: «C’est votre femme?» (è sua moglie?), e il professore avrebbe risposto, sorridendo «Oui, c’est ma femme». Finalmente avremmo visto il viso di Silvio Orlando allargarsi in un bel sorriso!

Con questo personaggio, la donna di servizio, si sarebbe creata la sospensione che mantiene desto l’interesse e non ci fa appisolare, o perlomeno distrarre. La permanenza del bambino nella casa, nascosto per diversi giorni, sarebbe stata più verosimile. Lavarlo, cambiargli i vestiti, dargli da mangiare, farlo stare quieto sarebbe stato più facile, il bambino avrebbe accettato più facilmente l’accudimento da parte di una donna. Può piacere o non piacere, ma stiamo parlando di un bambino cresciuto in un ambiente (una famiglia camorrista) in cui il padre fa i suoi affari sporchi, la madre accudisce i figli.

Si sarebbe evitato, sarebbe rimasto rinchiuso nella sfera privata, lo svago pericoloso, di cui parlerò in seguito.

Uno svago del maestro (non pericoloso ma deprimente) è la partita a poker con dei borghesi tristissimi: un collega del conservatorio, un giornalista cinico, un commissario che si fa scoprire davanti all’ufficio, davanti agli occhi di tutti, mentre abbraccia un capo camorrista (troppo facile!); il quarto giocatore non me lo ricordo … ah! il quarto è il maestro. Avevo dimenticato che c’era anche lui.
Se quest’uomo invisibile ha deciso di allontanarsi dal proprio ambiente (alta borghesia partenopea), di vivere in una zona popolare, nascondendosi in una casa piena di mobili antichi, per quale motivo continua a frequentare i personaggi deprimenti del suo ambiente d’origine?
Dopo una serata trascorsa giocando a carte con quei soggetti, è strano non gli venga voglia di abbandonare questa valle di lacrime: la morte non può essere più noiosa delle serate trascorse in quel modo.

È strana la Napoli rappresentata nel film.
Sembra che scendendo le scale del palazzo, entrando in un appartamento abbandonato, nello stesso edificio in cui il maestro abita, da quell’appartamento si possa penetrare in una serie di gallerie da cui, alla fine, si sbuca per strada.
Così mi è sembrato (quando mi annoio mi distraggo).
Non credo che il regista voglia riferirsi all’antica rete di gallerie a cui si accede pagando il biglietto per una visita guidata (Napoli Sotterranea, ingresso da piazza San Gaetano).
Non mi sembra che il maestro abbia pagato il biglietto, non si vede la guida ed è ovvio che in quelle grotte non si entra partendo da una casa privata.
Ci sono altre grotte sotto alla città di Napoli, non so se tutte esplorate e controllate, ma non credo si possa accedere ad esse facilmente, scendendo le scale, da un appartamento disabitato in cui può entrare chiunque.

La Napoli rappresentata in questo film è bruttissima: brutta la gente, brutti i luoghi; persino le scale nei vicoli che intersecano i decumani sembrano infernali.

Possibile che un comune cittadino possa nascondersi nel parco archeologico di Pozzuoli dopo la chiusura e, di notte, raggiungere un anfratto dove sono conservate armi pericolose, di cui è venuto a conoscenza tramite un bambino? La camorra ha bisogno di andare così lontano per nascondere le armi? Possibile che un bambino sappia dove si trovano le armi di un camorrista? sia in grado di indicare il luogo preciso, con tutti i dettagli, come se ci fosse andato spesso, anche da solo? Un bambino!?
Mah!

Alcuni registi e sceneggiatori o sono scemi o ci prendono per scemi.

Nei suoi giri il vecchio maestro di musica insegue camorristi, spia prostitute nello svolgimento della loro attività, ruba armi che non utilizza (una sola volta punta una pistola, non si sa se carica, alle spalle di uno, ma non spara). Mi sono distratto e ho perso il collegamento dell’episodio con tutto il resto. Che cosa mi ha distratto? Il pensiero che non basta trovare una pistola per saperla usare e ci dev’essere un motivo per mettersi alla ricerca di armi nascoste. Che cosa vuole fare delle armi, che cosa può fare, non avendo la necessaria competenza sull’argomento? È in grado di caricare una pistola e di usarla senza spararsi su un piede?

Facciamo un passo indietro: l’incidente che sconvolge la vita del vecchio maestro di pianoforte. Gli entra in casa un bambino che i camorristi, compreso il padre, cercano per fargli pagare uno sgarro.
A parte l’assurdità della situazione (un bambino nascosto in casa, lasciato per giorni interi da solo), che si protrae per troppo tempo per essere almeno un po’ verosimile, c’è un punto che mi ha dato particolarmente fastidio.
Riguarda il terzo svago del maestro (il primo sono le poesie recitate mentre si sbarba, il secondo le partite a carte con i cadaveri eccellenti); mi riferisco allo svago pericoloso.

Il maestro ha l’abitudine di ricevere nella propria abitazione un giovane con il quale sembra avere un rapporto più di prostituzione che di affetto. Non si sa. È il comportamento del giovane, e anche l’espressione stampata sulla sua faccia nel corso della visita, a suggerire la prima ipotesi.
Situazione pericolosissima per un vecchio maestro, che lo espone alla certezza del ricatto.
È strano che la camorra non utilizzi il giovane per cercare nell’abitazione tracce della presenza del bambino.
Controlla tutto, vede tutto, non sa che il vecchio è ricattabile?

A parte questo: sembra corretto al delicato, sensibile professore di musica, amante delle poesie, farsi spiare da un bambino mentre si intrattiene con un giovane?
Ci siamo quasi arrivati! Dopo avere mangiato l’abbondante pasta al sugo, certamente sarebbe accaduto qualcosa che dovrebbe essere protetto alla vista degli altri, soprattutto alla vista di un bambino.
Se il giovane non si fosse innervosito per l’evidente distrazione e preoccupazione del vecchio e non avesse improvvisamente deciso di interrompere il pasto, dargli un bacio profondo, probabilmente al gusto di sugo, e andare via, tra il maestro e il suo ospite sarebbe accaduto qualcosa sotto gli occhi del bambino.
Una persona dotata di un po’ di pudore, e di rispetto per l’infanzia, avrebbe annullato l’appuntamento galante, data la situazione, o avrebbe detto al giovane: scusa, non mi sento bene, torna un’altra volta – Quando? – Aspetta, ora lo chiedo al regista.
A scanso di equivoci: direi la stessa cosa se avesse ricevuto un’amante con l’apostrofo.

Mi sono chiesto: chi è questo regista?
Non voglio andare su Wikipedia (magari ha preso due Oscar), la mia domanda è molto più limitata: in quali film mi sono imbattuto in precedenza con questo regista?
Controllo sul sito (Registi in ordine alfabetico).
Tra i film che ho commentato ne ho trovati due con la regia di Roberto Andò: Conversazione su Tiresia e Una storia senza nome.
Nel primo era coadiuvato dal regista Stefano Vicario (forse uno faceva la regia teatrale, l’altro la regia cinematografica); non c’era molto da fare, bastava riprendere. Camilleri faceva tutto lui.
Il secondo è basato su un fatto di cronaca, è svolto in modo noioso e scontato, tanto che, nei commenti brevi (link in alto), ho parlato della storia a cui si riferisce con solo un accenno al film per dire che non mi è piaciuto.

Silvio Orlando non dovrebbe farsi coinvolgere dai registi che accentuano un lato deprimente della sua personalità di attore – magari nella vita è divertentissimo e vivo come gli uccellini che si sentono fuori della finestra aperta per cambiare l’aria. Non vedo l’ora di vederlo in un musical, come alla fine di Aprile (Nanni Moretti, 1998), nei panni del pasticciere trotzkista nella Roma degli anni cinquanta.
Silvio, suvvia! (in napoletano: jamməbèllə!). Un po’ di allegria!