
9 maggio 2021 h 17.30
Cinema Odeon Pisa – piazza San Paolo all’Orto
Religioni e/o superstizioni
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“Corpus Christi”, regia di Jan Komasa.
Un dramma cattolico in un ambiente benpensante, conservatore, ipocrita.
L’immagine è stata realizzata sovrapponendo un fotogramma a una foto scattata nel Cammino di Santiago, percorso non per devozione.
Nel film il giovane Daniel ha ucciso un ragazzo durante una colluttazione. Siamo in Polonia.
Nel riformatorio ritrova la violenza del branco.
Lo sguardo del grande interprete, Bartosz Bielenia, è rassegnato: esprime un momento di pace solo quando il personaggio serve messa. Ha incontrato un bravo prete, padre Tomasz, che gli insegna i momenti del rito, i testi, i canti. Daniel è così preso che vorrebbe entrare in seminario, ma, gli spiega padre Tomasz, nessun seminario accetterebbe un assassino. Nell’incipit vediamo il giovane alternativamente inserito nella violenza del gruppo e concentrato, in cella, mentre prega con devozione.
Nel riformatorio arriva il fratello del ragazzo che ha ucciso. È un bruto grande e grosso e deciso a vendicarsi su Daniel.
Per salvarlo padre Tomasz riesce a fargli avere la libertà vigilata: uscirà dal carcere e andrà a lavorare in una segheria dove il sindaco del paese sfrutta i giovani in semilibertà che gli sono affidati.
Daniel esce dal carcere per raggiungere il posto dove sconterà il resto della pena, sfruttato fino all’osso.
Si concede una notte di libertà: sesso e alcol. Tra i fumi dell’alcol trova nella valigia di un compagno di bagordi un vestito da prete: pantaloni scuri, camicia col colletto bianco. Lo ruba. Il giorno successivo raggiunge il paese dove è situata la segheria; entra in chiesa, si siede su una panca. Una ragazza, la figlia della perpetua, gli chiede che cosa cerca in quel luogo. Daniel, per sfida, dice di essere un prete e mostra la camicia col colletto bianco tra i suoi bagagli.
Dopo il Concilio i preti non hanno una divisa estetica e culturale precisa. Prima indossavano l’abito talare, portavano la chierica, parlavano il latinorum; ora basta una camicia col colletto bianco e conoscere i testi da recitare nei momenti della messa. Daniel li ha imparati a memoria.
Il parroco aveva chiesto da tempo alla curia un prete che lo aiutasse nello svolgimento dei suoi compiti. È stanco, malato, semialcolizzato; la confessione non lo ha liberato dai rimorsi che lo affliggono per un «grave peccato commesso». Nessun controllo dei documenti: l’ambiente è confuso, il vecchio prete è in crisi; solo la perpetua cerca di tenere un po’ d’ordine. Daniel dice di chiamarsi padre Tomasz, di avere studiato nel seminario di Varsavia; «Nella diocesi o nel distretto?», «Nel distretto». Comincia il suo lavoro.
Dopo qualche giorno il parroco deve farsi ricoverare. Chiede a Daniel (padre Tomasz) di sostituirlo per un po’. «Faremo tra noi,» gli dice, «la curia non saprà nulla». Il vecchio insiste. Daniel accetta.
Deve dire messa il giorno dopo alle otto. Per tutta la notte ripassa le preghiere del rito e il giorno dopo, alle otto, affronta l’esame dei fedeli. Non si ferma alle formule da recitare meccanicamente, ai canti accompagnati da musiche registrate comandate dalla perpetua con il telecomando; trova in se stesso, nella propria esperienza, le parole vere da dire.
Gradualmente Daniel si immedesima nel ruolo, si comporta esattamente come si comporterebbe un discepolo di Cristo.
Si rivolge all’anima delle persone, non alle loro abitudini; le spiazza, non le tranquillizza, senza dimenticare la sua esperienza di ragazzo sbandato e ribelle.
A una signora che, in confessione, gli rivela di non sapere come controllare il figlio dodicenne, consiglia: «Non vuole che suo figlio fumi? Gli compri le sigarette più forti e gliele dia da fumare, o gli dia le sue; vedrà che non fumerà più». «Ma io non fumo» dice la signora. «Sento l’odore» risponde padre Thomas (Daniel).
All’inizio gli abitanti del paese sono guardinghi, poi apprezzano il suo modo di parlare, il suo andare diritto ai dubbi, i suoi tentativi di rendere concreta la fede.
Che cosa ottiene? Non il contatto con il soprannaturale, nonostante lo cerchi per tutto il film, non la comunicazione verticale. Riesce a realizzare la comunicazione orizzontale, a far accadere il miracolo umano del riconoscersi fratelli, a rompere la corazza che ci protegge e ci separa dagli altri uomini.
Lo chiamano al capezzale di una vecchia donna morente. Vede la paura nei suoi occhi, le tiene la mano, le dice: «Non morirai». La vecchia si addormenta serena e muore. È riuscito a sostenerla, ma la sua promessa non si è verificata (a meno di intendere che la morte non è la morte, ma questo è un sofisma utilizzato spesso da chi vuole salvare la fede a tutti i costi: non hai ottenuto la grazia che chiedevi perché Dio conosce il tuo bene meglio di te).
Daniel non piace alla perpetua, divorata dal dolore per la morte del figlio in un incidente d’auto che ha distrutto sette famiglie, sei ragazzi e il presunto responsabile.
Il paese è immerso nella disperazione e nell’odio. Tutti sono convinti che la responsabilità dell’incidente sia da addossare interamente al guidatore dell’altra auto coinvolta, che tutti vogliono inchiodare al passato di alcolizzato.
Il paese non lo ha perdonato e gli ha negato il funerale cattolico; l’urna contenente le sue ceneri è stata data alla vedova, isolata, chiusa in casa, bersagliata con lettere anonime piene di insulti, con scritte sul muro di casa.
Lei sa che il marito aveva smesso di bere, ma sa anche che quella sera lo aveva cacciato di casa ed era disperato.
La sorella di uno dei ragazzi morti (la figlia della perpetua) sa che i ragazzi in macchina erano ubriachi. Poco prima dell’incidente aveva ricevuto un video inviato da loro.
Nessuno conosce la verità di ciò che è accaduto, tutti preferiscono proiettare il male su un unico responsabile e cullarsi nell’odio.
Come si presenterebbe Cristo nel mondo di oggi?
Secondo Jan Komasa, credo, si presenterebbe come un ragazzo che ha ucciso per difendersi, conosce la violenza del branco, la vita pericolosa dei giovani che passano il tempo tra droghe e alcol, separati dal mondo degli adulti; conosce la violenza del riformatorio, la violenza e l’ipocrisia del potere, rappresentato dal sindaco proprietario della segheria, sfruttatore dei detenuti in semilibertà, sfruttatore del sentimento religioso, detentore di un dominio che nessuno mette in discussione.
Daniel non giudica, non si mette al di sopra degli altri. Nel corso della predica dice: «Io sono un assassino». Poi, dopo una pausa, attutisce il significato della frase, la fa diventare una forma retorica (sono assassino nel senso che ho colpe nei confronti degli altri) perché non può rinunciare alla finzione.
Il Cristo non giudica, vuole seppellire in terra consacrata, con un funerale cristiano, l’uomo a cui hanno attribuito tutta la responsabilità dell’incidente, l’uomo che hanno espulso dal cimitero e dalla funzione religiosa.
Il falso prete potrebbe accontentarsi di avere acquisito una condizione comoda (ha trovato una casa, un pasto, è accudito), ma non può fare a meno di impegnarsi fino in fondo per ridare la pace del perdono ai vivi e ai morti.
L’impegno è pericoloso, il mondo ha deciso; il sindaco, il poliziotto, gli abitanti del villaggio, i parenti dei ragazzi morti nell’incidente, persino gli adolescenti, che vivono in un mondo a parte, pieno di fumo, hanno abbracciato una tesi che li stabilizza. Il male è fuori di noi, è concentrato in un ex alcolizzato, in un elemento estraneo: dev’essere cacciato via, anche dopo morto, anche dal cimitero; la vedova che si ostina a difenderlo dev’essere isolata, costretta a restare chiusa in casa a rimuginare rimorsi e rabbia.
Padre Tomasz non può sottrarsi; attraverso un percorso graduale sta diventando un vero discepolo di Cristo, o, che è lo stesso, sta diventando Cristo.
S’impegna fino in fondo a convincere alcuni parenti dei ragazzi vittime dell’incidente a perdonare, a consentire la cerimonia funebre. Si scopre troppo, è avversato e minacciato dal sindaco che ha fondato la sua fortuna sullo sfruttamento, sull’odio per il diverso e sul quieto vivere (solo apparentemente quieto).
Il sindaco lo invita a benedire la segheria; durante la cerimonia Daniel vede tra i ragazzi in semilibertà uno dei suoi vecchi compagni di carcere che lo riconosce.
Qui è necessario un avviso per i sensibili al cosiddetto spoiler. Io non vedo il problema: secondo me un conto è la trama raccontata dal film, un altro conto è la trama raccontata a parole. Comunque, chi non gradisce lo spoiler interrompa la lettura e vada a cercare il film.
Il compagno si presenta al confessionale per ricattarlo. Daniel lo invita in canonica e insieme si ubriacano con le bottiglie di vodka conservate dal parroco.
Sembra che i due abbiano ritrovato la vecchia amicizia, la solidarietà, dopo che il compagno ha rivelato a Daniel la sua disperazione; invece il compagno racconta tutto al vero padre Tomasz.
Padre Tomasz arriva in paese e impone a Daniel di tornare nel riformatorio.
Chi è Daniel?
Nel momento in cui saluta i parrocchiani riuniti nella chiesa per l’ultima funzione, si toglie la camicia con il colletto bianco, mostra il torace nudo, i tatuaggi rozzi da carcerato, allarga le braccia come se fosse in croce, in quel preciso momento egli è Gesù Cristo che si avvia verso il sepolcro.
A conferma di questa intenzione del regista, il ragazzo, dopo essere rientrato in carcere, rimprovera il compagno che l’ha denunciato: «Mi hai venduto!».
Se c’è Cristo, c’è anche, inevitabilmente, Giuda: riconosce la sua grandezza, lo ama, ma non può fare a meno di tradirlo, perché Cristo lo costringe a confrontarsi con la propria mediocrità: «Tu sai parlare alla gente, sai che cosa dire; io non ho niente».
Forse il Giuda dei Vangeli tradì Cristo per questo: gli invidiava la capacità di parlare alla gente, il talento di farsi ascoltare.
«Cosa credevi, che non ti avrei venduto perché abbiamo fatto insieme una bevuta e abbiamo trascorso una serata da vecchi amici?» gli dice nel film quando lo incontra di nuovo in carcere e lo mette sull’avviso: «Domani si fa branco», cioè: domani faranno allontanare il guardiano con una scusa e ti costringeranno a lottare con il fratello dell’uomo che hai ucciso.
Così il ragazzo va incontro alla sua Via Crucis, con la quale il film finisce.
Sarà costretto a battersi e, alla fine di un combattimento forsennato, ucciderà di nuovo per disperazione. È di nuovo un assassino braccato dalle guardie.
Ci sarà una Resurrezione? Non lo crede il regista, non lo credo io.
Spero di essere riuscito a far venire la voglia di vedere questo film, che contiene molti altri spunti importanti, oltre a quelli che hanno colpito me. È reperibile da svariate piattaforme.