24 febbraio 2023 h 17.00
Cinema Teatro La Compagnia Firenze – via Cavour, 50r

Altro film del regista
// Border Creature di confine //

Religioni e/o superstizioni
// Rapito (Il Papa Re) // Benedetta (Cattolicesimo) // Holy Spider (Islam) // Profeti (Islam) // Chiara (Cattolicesimo) // Gli orsi non esistono (Islam) // Alla vita (Ebraismo ortodosso) // Il male non esiste (Islam) // Un eroe (Islam) // The Youngest (Ebraismo ortodosso) // Covered up (Ebraismo ortodosso) // Corpus Christi (Cattolicesimo) // Un divano a Tunisi (Islam e psicanalisi) // The dead don’t die (nel commento: fede e dubbio) // Mug Un’altra vita (Cattolicesimo polacco) // Il settimo sigillo (il silenzio di Dio) // L’apparizione (Cattolicesimo) // Cosa dirà la gente (Islam) // Io c’è (religione e denaro) // The Young Pope (Cattolicesimo) //

Suspense (alta tensione: thriller e/o horror)
// Come pecore in mezzo ai lupi // Sanctuary (thriller psicologico) // Beau ha paura [Beau is afraid] // Cane che abbaia non morde [Barking dogs never bite] // Preparativi per stare insieme … (thriller psicologico) // L’ultima notte di Amore (noir metropolitano) // Holy Spider // M3GAN // Bones and All // Nido di vipere // L’homme de la cave [Un’ombra sulla verità] // La fiera delle illusioni // America Latina // Raw /e/ Titane // Doppia pelle [Le daim] // Il sospetto [Jagten] // Favolacce // Notorious! // Parasite // Il signor diavolo // The dead don’t die // Border: creature di confine // La casa di Jack // Gli uccelli [The birds] // L’albero del vicino //

Il sonno della ragione genera mostri (Francisco Goya, 1797).
La fede genera mostri.
Alla fine del film Holy Spider – quando siamo angosciati, distrutti dal senso di impotenza di fronte alla violenza estrema di un sistema chiuso in se stesso – sullo schermo appare una scritta, a darci il colpo finale: “Ispirato a fatti realmente accaduti tra il 2000 e il 2001”.
I fatti si svolgono in Iran, in una città definita “città santa” (non mi va di indagare sulla origine della leggenda).
Quando la vecchia che fornisce droga alle prostitute le ha avvertite: «non salite sulle motociclette», Saeed Hanaei, purtroppo, aveva a disposizione una macchina, gliel’aveva prestata il suocero per una gita con la famiglia. Fatta la gita, portata la famiglia a casa dei suoceri, ha ripreso la caccia.
La sua tecnica era sempre la stessa: mostrava i soldi, faceva salire la prostituta in macchina (generalmente la faceva salire sulla moto), la portava a casa sua, approfittando della momentanea assenza della moglie e dei bambini. Con gesto improvviso annodava un cappio intorno al collo della vittima; stringeva.
Un mostro proletario: muratore capomastro, piccola casa in un quartiere popolare, motocicletta; moglie e tre figli, nessun lusso; valoroso ex combattente nella guerra tra Iran e Iraq; religioso; affettuoso con i figli.
La vittima reagiva, ma «mio padre è forte», dice con orgoglio il figlio intervistato dalla giornalista che è riuscita a incastrare il mostro e a farlo arrestare. Poi, spiega il ragazzo, sempre con un lampo di orgoglio negli occhi, «mio padre avvolgeva il corpo in un tappeto o in un panno».
Il ragazzo non ha visto nulla, gli è stato raccontato e lo racconta alla giornalista. La famiglia non ha abbandonato Saeed dopo la scoperta dei delitti.
Il mostro caricava il cadavere come un sacco sulla moto o nella macchina. Lo abbandonava fuori città, in campagna. Il giorno dopo telefonava a un giornalista e dava indicazioni per consentire il ritrovamento del cadavere e per rivendicare il delitto.
Qualche volta si mescolava alla folla dei curiosi, mentre il povero corpo veniva recuperato.
Il giornalista registrava le telefonate su un’audiocassetta.
«Perché non hai dato le registrazioni alla polizia?» chiede la giornalista venuta da Teheran al collega.
«È meglio non farsi vedere troppo solleciti, troppo insistenti. Meglio non dare fastidio» risponde il giornalista, che, spinto da lei, darà una mano a risolvere il caso: «Io vado comunque, se mi aiuti o se non mi aiuti» dice lei, (sottinteso: «Se non mi aiuti sei un uomo di merda»). Per fortuna lui, un bravo ragazzo molto impaurito (più dalle autorità che dal mostro) trova il coraggio necessario per aiutarla.

Seguendo la stessa tecnica e agendo nelle stesse zone della città, tra il 2000 e il 2001 Saeed uccise sedici prostitute.
Alla polizia non era venuto in mente di tendergli una trappola. Le autorità non avevano fretta di catturarlo.
Per quale motivo agiva?
Per ripulire la “città santa” dal peccato. Dunque: per fede.
Con la fede, con le sue profonde credenze religiose, giustificò il suo comportamento nel corso del processo.

Sicuramente aveva motivi più profondi che mascherava, forse anche a se stesso. Ammazzava le donne, non i loro clienti. Sarebbe stato più complicato ammazzare gli uomini? Forse.
Ma lui non provava a colpire gli uomini.
Credo che dietro la forte spinta a ripetere quella esperienza, nonostante il rischio continuo di essere scoperto, ci fosse il desiderio di rivivere la sensazione di possesso totale di un corpo femminile: una spinta sessuale amplificata da tabù religiosi che hanno un forte rapporto con la sessualità.
Questo aspetto è evidente, nel film, quando Saeed, sorpreso in casa dalla moglie – la povera donna non si è accorta di nulla – dopo avere frettolosamente arrotolato la vittima dentro a un tappeto, avvia un rapporto sessuale con la moglie e si scatena guardando un piede della vittima non ben nascosto dal tappeto. Il massacro della povera prostituta, avvenuto poco prima, lo ha fortemente eccitato.
Infatti – riferendoci ai fatti realmente accaduti – alla fine sarà condannato a morte per avere strangolato sedici donne, e a subire, prima dell’impiccagione, cento frustate per gli atti di libidine compiuti sul corpo delle vittime.

Costringere le donne ad andare in giro coperte dalla testa ai piedi, a camuffare il corpo dentro abiti goffi, a nascondere i capelli e parte del viso, a farsi guidare, controllare, tutelare dagli uomini, ha come conseguenza la spinta a possederle come fossero oggetti.
Paradossalmente i due estremi si incontrano: le donne nude, ammiccanti, trasformate in bambole sessuali nei bordelli dei paesi occidentali e le donne castigate nei paesi islamici, mortificate, prive di libertà e di autodeterminazione, suscitano gli stessi istinti di morte.
Non si gioca impunemente con Eros e Thanatos.

In Iran il tradimento sessuale è associato alle frustate e alla lapidazione, a un’azione violenta sul corpo inerme della “colpevole”; ciò che Saeed fa da solo altri uomini fanno in gruppo o per mestiere, autorizzati dai sacerdoti.
Il rigido controllo sessuale vale per gli uomini e per le donne.
Però gli uomini possono fare ricorso all’ipocrisia (matrimoni combinati, vecchi che “comprano” bambine, poliginia); per le donne la legge è ferrea.

Il film è un thriller particolare. Conosciamo l’assassino fin dall’inizio, lo vediamo muoversi nel suo ambiente, nella vita normale e mentre compie gli omicidi.
La suspense è legata a un altro aspetto della vicenda raccontata: riuscirà la giornalista proveniente da Teheran a salvarsi dalle grinfie del poliziotto? («Che fai, chiami la polizia? Io sono la polizia»).
Riuscirà a salvarsi dal “sacerdote” che sa tutto di lei, sa anche che lo disprezza e vorrebbe tirargli giù il tubino ridicolo con cui ricopre la testa e prenderlo a schiaffi? (Forse non la giornalista, io di sicuro).
Una domanda crea per me un’ulteriore sospensione: perché non scappa via dall’Iran? (Il regista Ali Abbasi, iraniano di nascita, naturalizzato danese, vive in Danimarca).
Un paese nel quale la gente solidarizza con un mostro, perché è un “bravo” padre di famiglia (dà lezioni terribili ai figli, in particolare al primo maschio), è religioso e ha cercato di liberare la città santa dalla cosiddetta sporcizia.
Per loro la “sporcizia” comprende donne povere, donne tossicodipendenti, donne libere che vogliono disporre del proprio corpo.
Lo difendono i vicini di casa, la moglie, il primo figlio (gli altri figli sono bambini) che sembra volerlo emulare quando sarà grande. Lo proteggono, di nascosto, i capi politici e religiosi, persino il giudice che deve rimproverarlo durante il processo e alla fine deve condannarlo, perché ci sono gli occhi del mondo, ci sono i giornalisti e non si può far capire in quale baratro l’Iran è precipitato.

Un film horror rappresenta gli incubi presenti nell’inconscio. Se è fatto bene, l’orrore svanisce con i titoli di coda: mentre scorrono ci si risveglia dall’incubo.
Il problema è che l’orrore rappresentato in questo film non si trova nell’inconscio ma nella coscienza, nell’esperienza quotidiana: lo ritroviamo dopo i titoli di coda, leggendo i giornali, seguendo ciò che accade in Iran, guardando, con sgomento, le immagini dei giovani impiccati nella pubblica piazza, le immagini delle donne stuprate e uccise perché non indossavano il velo come dettato dai “sacri principi religiosi”.
In Iran l’orrore generato dalla fede fa parte della vita di tutti i giorni.
La religione si è sovrapposta a una cultura patriarcale maschilista molto diffusa e l’ha rinforzata.
Far ripetere ai bambini e agli adolescenti i soliti versetti tratti da testi antichi di dubbia origine e interpretazione, abituare la gente ad appoggiare la fronte sul pavimento tramite un tappeto, coltivare la fede e la sottomissione, costringere le donne a nascondere il proprio corpo, genera mostri.
Quello che ammazza sedici donne e alla fine viene catturato per l’intervento di una giornalista coraggiosa è solo il più sprovveduto.
Gli altri si annidano nelle famiglie cosiddette normali e tra i sacerdoti col tubino ridicolo in testa e una faccia che, se fosse possibile, si prenderebbe volentieri a schiaffi.