24 febbraio 2023 h 17.00
Cinema Teatro La Compagnia Firenze – via Cavour, 50r

Altro film del regista: // Border Creature di confine //

Religioni e/o superstizioni
// The Miracle Club // C’è ancora domani (il matrimonio cattolico) // Kafka a Teheran (Islam) // Rapito (Il Papa Re) // Benedetta (Cattolicesimo) // Holy Spider (Islam) // Profeti (Islam) // Chiara (Cattolicesimo) // Gli orsi non esistono (Islam) // Alla vita (Ebraismo ortodosso) // Il male non esiste (Islam) // Un eroe (Islam) // The Youngest (Ebraismo ortodosso) // Covered up (Ebraismo ortodosso) // Corpus Christi (Cattolicesimo) // Un divano a Tunisi (Islam e psicanalisi) // The dead don’t die (nel commento: fede e dubbio) // Mug Un’altra vita (Cattolicesimo polacco) // Il settimo sigillo (il silenzio di Dio) // L’apparizione (Cattolicesimo) // Cosa dirà la gente (Islam) // Io c’è (religione e denaro) // The Young Pope (Cattolicesimo) //

Suspense (alta tensione: thriller e/o horror)
// BlackBerry (thriller tecnologico) // Club Zero (horror alimentare) // Come pecore in mezzo ai lupi // Sanctuary (thriller psicologico) // Beau ha paura [Beau is afraid] // Cane che abbaia non morde [Barking dogs never bite] // Preparativi per stare insieme … (thriller psicologico) // L’ultima notte di Amore (noir metropolitano) // Holy Spider // M3GAN (thriller distopico) // Bones and All (horror cannibale) // Nido di vipere // L’homme de la cave [Un’ombra sulla verità] // La fiera delle illusioni // America Latina // Raw (horror cannibale) // Titane // Doppia pelle [Le daim] // Il sospetto [Jagten] // Favolacce // Notorious! (thriller H) // Parasite // Il signor diavolo // The dead don’t die (gli zombie sono tornati) // Border: creature di confine // La casa di Jack // Gli uccelli [The birds] (horror H) // L’albero del vicino //

Il fanatismo religioso genera mostri.
Alla fine del film Holy Spider siamo angosciati dalla violenza di un sistema chiuso in se stesso; ci dà il colpo di grazia la scritta: “Ispirato a fatti realmente accaduti tra il 2000 e il 2001”.
I fatti si svolgono in Iran, in una città definita “città santa” (non mi va di indagare sull’origine della leggenda).
L’assassino seriale di prostitute utilizza una motocicletta per catturare le vittime.
Quando la vecchia che fornisce droga alle prostitute le ha avvertite: «non salite sulle motociclette», Saeed Hanaei aveva a disposizione una macchina, gliel’aveva prestata il suocero per una gita con la famiglia.
Fatta la gita, portata la famiglia a casa dei suoceri, ha ripreso la caccia.
Saeed si affida a una tecnica sperimentata molte volte: si porta nella zona malfamata, si avvicina a una prostituta, mostra i soldi, la fa salire in macchina (generalmente sulla moto), la porta a casa sua, approfittando della momentanea assenza della moglie e dei bambini. Con gesto improvviso annoda un cappio intorno al collo della vittima; stringe con forza.
Un mostro proletario: muratore capomastro, piccola casa in un quartiere popolare, motocicletta; moglie e tre figli, nessun lusso; valoroso ex combattente nella guerra tra Iran e Iraq; religioso; affettuoso con i figli.
Nonostante il gesto dell’assassino la colga di sorpresa, la povera donna reagisce, si divincola, cerca di difendersi. «Mio padre è forte», dice con orgoglio il figlio intervistato dalla giornalista che è riuscita a incastrare il mostro e a farlo arrestare. Poi il ragazzo, con un lampo di orgoglio negli occhi, spiega: «Dopo avere soffocato la donna, mio padre avvolgeva il corpo in un tappeto o in un panno».
Il ragazzo non ha visto nulla, lo svolgimento dei fatti gli è stato raccontato e lo racconta alla giornalista. La famiglia non ha abbandonato l’assassino dopo la scoperta dei delitti.
Saeed caricava il cadavere sulla moto o nella macchina, nascosto in un sacco. Lo abbandonava fuori città, in campagna. Il giorno dopo telefonava a un giornalista e dava indicazioni per consentire il ritrovamento del corpo e per rivendicare il delitto.
Qualche volta si mescolava alla folla dei curiosi, mentre il povero corpo veniva recuperato.
Il giornalista, sempre lo stesso, registrava la telefonata su un’audiocassetta.
«Perché non hai dato le registrazioni alla polizia?» chiede la giornalista venuta da Teheran al collega.
«È meglio non farsi vedere troppo solleciti, troppo insistenti. Meglio non dare fastidio» risponde il giornalista.
Non bisogna farsi vedere troppo desiderosi di risolvere la catena di delitti, dato che le vittime sono prostitute. La polizia non s’impegna.
Per farsi aiutare a mettere in trappola l’assassino fingendosi prostituta, la giornalista dice al collega: «Io vado comunque, se mi aiuti o se non mi aiuti» (sottinteso: «Se non mi aiuti sei un uomo di merda»). Per fortuna il collega, un bravo ragazzo molto impaurito (più dalle autorità che dal mostro), trova il coraggio necessario per aiutarla.

Seguendo la stessa tecnica e agendo nelle stesse zone della città, tra il 2000 e il 2001 Saeed aveva ucciso sedici prostitute.
Per quale motivo agiva?
Per ripulire la “città santa” dal peccato.
Con la fede, con le sue profonde credenze religiose, giustificò il suo comportamento nel corso del processo.

Sicuramente aveva motivi più profondi che mascherava, forse anche a se stesso. Ammazzava le prostitute, non i loro clienti, che, secondo la sua mentalità, vivevano anch’essi nel peccato.
Credo che dietro la forte spinta a rivivere una situazione pericolosa, nonostante il rischio continuo di essere scoperto, ci fosse il desiderio di possesso totale di un corpo femminile: una spinta sessuale amplificata da tabù religiosi che hanno un forte legame con la sessualità.
Questo aspetto è evidente in una scena del film. Saeed, sorpreso in casa dalla moglie dopo un delitto – la donna non si è accorta di nulla – dopo avere frettolosamente avvolto la vittima dentro a un tappeto arrotolato, avvia un rapporto sessuale con la moglie e si scatena guardando un piede della vittima non ben nascosto dal tappeto. Il massacro della povera prostituta, avvenuto poco prima, lo ha fortemente eccitato.
L’assassino seriale fu condannato a morte per avere strangolato sedici donne e a subire, prima dell’impiccagione, cento frustate per gli atti di libidine compiuti sul corpo delle vittime. Dunque la religione gli era servita per nascondere, per mascherare le vere spinte profonde.

Costringere le donne ad andare in giro coperte dalla testa ai piedi, a camuffare il corpo dentro abiti goffi, a nascondere i capelli e parte del viso, a farsi guidare, controllare, tutelare dagli uomini, ha come conseguenza la spinta a possederle come fossero oggetti.
Paradossalmente i due estremi si toccano: le donne nude, ammiccanti, trasformate in bambole sessuali nei bordelli dei paesi occidentali e le donne castigate nei paesi islamici, mortificate, prive di libertà e di autodeterminazione, suscitano gli stessi istinti di morte.
Non si gioca impunemente con Eros e Thanatos.

In Iran il tradimento sessuale è associato alle frustate e alla lapidazione, a un’azione violenta sul corpo inerme della “colpevole”. Ciò che Saeed fa da solo altri uomini fanno in gruppo o per mestiere (il boia), autorizzati dai sacerdoti.
Teoricamente il rigido controllo sessuale si esercita sugli uomini e sulle donne, però gli uomini possono fare ricorso all’ipocrisia (matrimoni combinati, vecchi che “comprano” bambine, poliginia); per le donne la legge è ferrea.

Il film è un thriller particolare: non c’è un colpevole da scoprire. Conosciamo l’assassino fin dall’inizio, lo vediamo muoversi nel suo ambiente, nella famiglia, sul lavoro e mentre compie gli omicidi.
La suspense è legata a un altro aspetto del racconto: riuscirà la giornalista proveniente da Teheran a salvarsi dalle grinfie del poliziotto? («Che fai, chiami la polizia? Io sono la polizia»).
Riuscirà a salvarsi dal “sacerdote” che sa tutto di lei? Sa anche che la giornalista lo disprezza perché è un piccolo uomo che nasconde i suoi istinti perversi dietro il fanatismo religioso.
Una domanda crea per me un’ulteriore sospensione: perché la ragazza non scappa da quella prigione? (Il regista Ali Abbasi, iraniano di nascita, naturalizzato danese, vive in Danimarca).
L’Iran del film è un paese nel quale la gente solidarizza con un mostro, perché è un “bravo” padre di famiglia (dà lezioni terribili ai figli, in particolare al primo maschio), è religioso e ha cercato di liberare la città santa dalla cosiddetta sporcizia: donne povere, donne tossicodipendenti, donne libere che vogliono disporre del proprio corpo.
Non sappiamo quanti hanno questo atteggiamento favorevole a un assassino, ma nel film sembra che siano la maggioranza. Probabilmente gli altri non possono manifestare i propri sentimenti.
Lo difendono i vicini di casa, la moglie, il primo figlio (gli altri figli sono bambini) che sembra volerlo emulare quando sarà grande. Lo proteggono, di nascosto, i capi politici e religiosi; persino, in prigione, lo protegge il giudice che deve rimproverarlo durante il processo e alla fine deve condannarlo, perché ci sono gli occhi del mondo, ci sono i giornalisti stranieri e non si può far capire in quale baratro l’Iran è precipitato.

Un film horror è come un sogno: rappresenta gli incubi presenti nell’inconscio. Se è fatto bene, l’orrore svanisce con i titoli di coda; mentre scorrono ci si risveglia dall’incubo rappresentato sullo schermo.
In questo film l’orrore non si trova nell’inconscio ma nell’esperienza quotidiana: lo ritroviamo leggendo i giornali, seguendo ciò che accade in un paese dominato dai sacerdoti, guardando, con sgomento, le immagini dei giovani impiccati nella pubblica piazza, le immagini delle donne stuprate e uccise perché non indossavano il velo.
In Iran l’orrore generato dalla fede fanatica è parte della vita di tutti i giorni.
La religione si è sovrapposta a una cultura patriarcale maschilista diffusa e l’ha rinforzata.
Il mostro che ammazza sedici donne e alla fine viene catturato per l’intervento di una giornalista coraggiosa è solo il più sprovveduto. Alla fine il tribunale lo condanna perché il regime non vuole dare nell’occhio e non ha bisogno di un boia: ne ha tanti a disposizione.
Gli altri mostri si annidano nelle famiglie cosiddette normali e tra i sacerdoti col tubino in testa, la lunga barba e lo sguardo ieratico.