16 luglio 2023 h 17.00
Cinema Odeon Pisa – piazza San Paolo all’Orto

Temi

Suspense (alta tensione: thriller e/o horror)
// Doppia Pelle [Le Daim] // BlackBerry (thriller tecnologico) // Club Zero (horror alimentare) // Come pecore in mezzo ai lupi // Sanctuary (thriller psicologico) // Beau ha paura [Beau is afraid] // Cane che abbaia non morde [Barking dogs never bite] // Preparativi per stare insieme … (thriller psicologico) // L’ultima notte di Amore (noir metropolitano) // Holy Spider // M3GAN (thriller distopico) // Bones and All (horror cannibale) // Nido di vipere // L’homme de la cave [Un’ombra sulla verità] // La fiera delle illusioni // America Latina // Raw (horror cannibale) // Titane // Il sospetto [Jagten] // Favolacce // Notorious! (thriller H.) // Parasite // Il signor diavolo // The dead don’t die (gli zombie sono tornati) // Border: creature di confine // La casa di Jack // Gli uccelli [The birds] (horror H.) // L’albero del vicino //

Famiglia (fratelli e sorelle)
// Come pecore in mezzo ai lupi // Miracle: Letters to the President // Come prima // Il potere del cane // Marx può aspettare // Raw // Le sorelle Macaluso // I fratelli Sisters // Mirai //

Famiglia (genitori e figli)
// Ritrovarsi a Tokyo // Il tempo che ci vuole // Dostoevskij // Quando tutto tornerà a essere come non è mai stato // Enea // Club Zero // Come pecore in mezzo ai lupi // Ritorno a Seul // Beau ha paura [Beau is afraid] // Miracle: Letters to the President // The Whale // Le vele scarlatte // The Fabelmans // Marcel! // True mothers // Una vita in fuga // One second // Cry Macho // È stata la mano di Dio // Madres paralelas // Raw // Titane // Tre piani // La terra dei figli // Favolacce // Tutto il mio folle amore // Un affare di famiglia // La stanza delle meraviglie // Lady Bird /e/ Puoi baciare lo sposo // Tre manifesti a Ebbing, Missouri //

“Come pecore in mezzo ai lupi”, regia di Lyda Patitucci. Reperibile anche su RaiPlay.“… ogni famiglia infelice è infelice a suo modo” (Lev Tolstoj – Anna Karenina; traduzione di Leone Ginzburg).
La famiglia rappresentata nel film ha un modo tutto suo di essere infelice.
Il padre è un fanatico religioso, forse appartiene a una di quelle sette che proclamano ogni giorno la fine del mondo e ogni giorno la spostano più avanti. Battezza adulti nella vasca come fosse Giovanni Battista in persona, senza il vestito di peli di cammello e, soprattutto, senza un messia in carne e ossa accompagnato da un messaggio vocale di Dio: “E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento»” (Mc 1, 7-11).
In mancanza di segni convincenti, il soggetto deve spingere sulla suggestione e, come tutti quelli che s’illudono di essere angeli, è un piccolo diavolo, un diavoletto morboso e meschino, capace di scaricare sulla figlia la responsabilità degli errori commessi dal fratello defunto e di cacciarla durante il funerale. Un diavoletto maligno che, per giunta, crede di essere santo.
Vera e Bruno, i due figli del battista, naturalmente sono infelici.
Veniamo a sapere che il padre obbligava la figlia a imparare la Bibbia a memoria. Non meraviglia che, divenuta maggiorenne, Vera sia andata via di casa.
Non sappiamo se la madre dei due ragazzi è viva, se si è allontanata dalla famiglia perché non sopporta il marito.
Il ragazzo, Bruno, ha sposato una donna fuori di testa, inaffidabile tanto da destare il sospetto di avere provocato un’esplosione nell’abitazione lasciando aperti i fornelli del gas. Desta meraviglia che nessuno l’abbia fermata dopo l’incidente, interrogata, sottoposta a controlli, in considerazione del fatto che assume droghe e ha in affidamento una bambina.
L’infelicità, come un incendio, si espande, dilaga: dal rancoroso battista ai figli, dai figli alla nipotina.
Per quale motivo Bruno non toglie la bambina alla custodia della moglie fuori di testa? Non può chiedere l’affidamento perché anche la sua testa non gira come dovrebbe: ha già scontato un anno di carcere e all’inizio del film lo vediamo impegnato in un assalto a una banca insieme a un collega emotivo. Mai tentare di assaltare una banca con le pistole spianate insieme a uno incapace di controllare i nervi. I due riescono a racimolare poco.
Bruno non può contribuire al mantenimento della figlia; la madre lascia la bambina sotto la pioggia se Bruno tarda quando gli tocca prenderla in consegna. Noi ci domandiamo dove sono i servizi sociali, quando intervengono.
Fino a questo momento c’è una concentrazione di infelicità che basterebbe per fare un film dolente sul destino atroce dell’umanità. Per aggiungere un po’ di movimento e approdare al genere thriller interviene l’altro personaggio principale: Vera.
Abbandonata, giustamente, la casa del battista, è entrata nella polizia.
Finalmente, pensiamo, un fatto positivo e costruttivo! Vera ha trovato un impegno che può restituirle un po’ di quei “quattro soldi di felicità” che Renato Rascel prometteva a tutti noi nel testo fondamentale “Domenica è sempre domenica, si sveglia la città con le campane …”.
Vera dice: «Sono felice solo quando lavoro».
È quel “solo” che preoccupa, oltre allo sguardo triste e alla cicatrice sul volto di cui, fino alla fine, non ci viene data spiegazione. Non do alcun peso allo spoiler, non m’importa conoscere in anticipo la trama dei film, dunque avverto: chi ha questa sensibilità interrompa la lettura.

Vera è impiegata in un’attività di polizia difficile e pericolosa: lavora sotto copertura, infiltrata in una banda di delinquenti serbi. Nel film si dà un’immagine dura di questo lavoro, non solo perché lo è effettivamente, ma perché sembra non supportato dal sostegno dell’istituzione.
Poco prima della conclusione del film, quando Vera decide di abbandonare l’impresa per motivi personali, la comandante, che la incontra nel cimitero per darle le informazioni e “i comandi”, praticamente l’abbandona: «Va via di qua, nasconditi, sparisci per un po’ di tempo». Come se la salvezza di Vera, una volta uscita dall’operazione di polizia, non fosse presa in carico da un sistema di protezione. La stessa impressione si ha alla fine: ci saremmo aspettati una macchina della polizia debitamente camuffata che la portasse sana e salva, insieme alla nipote, in un posto sicuro, blindato, a prova di delinquenti. Invece nel film sembra doversela cavare da sola.
La banda in cui Vera si è infiltrata è molto pericolosa; «Non hanno scrupoli, hanno compiuto genocidi» dice un delinquente campano per far capire a un piccolo delinquente suo amico che con gente così feroce non è il caso di scherzare. La parola genocidio è entrata nel linguaggio comune, utilizzata come sinonimo di strage. I delinquenti serbi sono rappresentati come mostri freddi e spietati.
Il capo sembra Dracula: un vampiro sospettoso, osservatore, diffidente. Dracula ha un lato comico involontario: ci tiene a recitare lunghe preghiere nelle riunioni della banda e prima di ogni colpo.
Questo è il secondo personaggio che sfrutta la religione per concedersi di esercitare il sadismo senza limiti. Uno è il padre dei due ragazzi, travestito da santo, l’altro è questo Dracula, autorizzato direttamente da Dio. Ha perso una figlia sotto i bombardamenti, probabilmente nella guerra nella ex Jugoslavia, e si ritiene in credito con Dio, come se un dolore immenso autorizzasse a buttare giù da una terrazza un ragazzino per portare a termine un furto.
Siccome questi soggetti esistono, Dio avrebbe l’occasione di dimostrare che esiste anche lui: gli basterebbe lanciare un fulmine prendendo bene la mira.
Alcune domande non trovano risposta nella trama.
Come ha fatto Vera a conquistare la fiducia della banda? Quali prove ha dovuto dare della sua affidabilità delinquenziale, oltre a guidare la macchina e fare da interprete per i serbi?
Per quale motivo non li ha fatti cogliere in flagrante la prima volta che sono entrati nell’appartamento per esibirsi nel lancio del ragazzino dal terrazzo?
Se l’avesse fatto, il film sarebbe durato poco; forse per questo doveva aspettare e rischiare di essere scoperta.
L’assistente del capo banda è il tipico servo del mostro. È feroce però accetta di essere fermato dalla ragazza con un colpo sulla fronte mentre tenta di violentarla.
Sembra strano che la tensione si sciolga all’improvviso dopo che la ragazza si è difesa.
Il piccolo delinquente, che vorrebbe partecipare a un colpo importante per “sistemarsi”, è Bruno, il fratello di Vera; non cerca un lavoro normale per mantenere la figlia e toglierla alla madre incapace. Con la raccomandazione dell’amico campano emotivo cerca di trovare un impiego ben retribuito nella banda di serbi che sta preparando l’assalto a un portavalori.
Fratello e sorella non si vedono da anni perché, come detto all’inizio, appartengono a una famiglia infelice. Dove si ritrovano? In una riunione della banda. Possibile che la sorella poliziotta non sappia che Bruno “ha cattive frequentazioni” ed è stato in galera per un anno?
Per gli sceneggiatori è possibile, anche perché sull’incontro tra i due, pericoloso per entrambi, si basa la trama del film: un thriller con momenti di suspense e molti dubbi degli spettatori.
Come mai la banda, dopo avere sospettato la poliziotta e preteso che Bruno le spari («Spara se non sei una spia!»), poi torna a fidarsi della ragazza e accetta di coinvolgerla nell’assalto al portavalori?
Come mai la polizia, informata da Vera, non ferma i delinquenti prima che portino a termine il colpo e, invece, li va a prendere nel posto dove si stanno spartendo il bottino? Perché non è intervenuta prima, non li ha colti sul fatto, non ha evitato l’assalto al portavalori con tutte le conseguenze, tra le quali l’uccisione di due agenti?
Nella realizzazione del colpo la banda dimostra organizzazione e efficienza; eppure ha bisogno di due piccoli delinquenti pasticcioni che inceppano la macchina e sono responsabili di momenti quasi comici.
Fa pena il cane affidato a una donna che lo lascia a lamentarsi fuori del terrazzo; fa pena la bambina, affidata ai genitori incapaci. Alla fine è adottata da Vera, la zia, sperando che non sia troppo infelice per riuscire a fare da mamma. L’infelicità, purtroppo, si trasmette come una malattia virale.
Il film è ambizioso, ma ha alcuni buchi inaccettabili nella trama.
L’estate sta raggiungendo picchi di afa e di caldo; ho scoperto un monumento – luogo di culto – che non conoscevo: la Basilica di San Piero a Grado. Un posto bello, interessante e fresco.