5 marzo 2023 h 17.10
Cinema Spazio Alfieri Firenze – via dell’Ulivo, 6

Religioni e/o superstizioni
// The Miracle Club // C’è ancora domani (il matrimonio cattolico) // Kafka a Teheran (Islam) // Rapito (Il Papa Re) // Benedetta (Cattolicesimo) // Holy Spider (Islam) // Profeti (Islam) // Chiara (Cattolicesimo) // Gli orsi non esistono (Islam) // Alla vita (Ebraismo ortodosso) // Il male non esiste (Islam) // Un eroe (Islam) // The Youngest (Ebraismo ortodosso) // Covered up (Ebraismo ortodosso) // Corpus Christi (Cattolicesimo) // Un divano a Tunisi (Islam e psicanalisi) // The dead don’t die (nel commento: fede e dubbio) // Mug Un’altra vita (Cattolicesimo polacco) // Il settimo sigillo (il silenzio di Dio) // L’apparizione (Cattolicesimo) // Cosa dirà la gente (Islam) // Io c’è (religione e denaro) // The Young Pope (Cattolicesimo) //

Non tutto torna in questo film che vuole essere provocatorio (è il chiodo fisso del regista Paul Verhoeven).
Per essere provocatorio devi stare attento a non mostrare assurdità.
Un similfallo di legno è ruvido, inadatto al contatto con una zona del corpo femminile delicata e sensibile. È intagliato con un coltello in una statuetta da una ragazza, Bartolomea, che vorrebbe “entrare con la mano” nell’apparato genitale di un’altra ragazza, Benedetta, ma non riesce.
Perché non ha provato con un dito? A meno che volesse fare un esame endoscopico manuale della vagina di Benedetta.
Non ho esperienza riguardo ai giocattoli sessuali, però, a intuito, credo siano fatti di materiale elastico. Una statuetta di legno che penetra nella vagina, più che eccitazione provoca fastidio e potrebbe causare lacerazioni. È un’opinione. Se una donna mi smentisce accetto l’obiezione: la mia esperienza è limitata.

Le ferite alle mani, al costato, ai piedi, poi alla fronte, poi di nuovo alle mani, che Benedetta vorrebbe far passare per stimmate – il regista lascia il dubbio fino alla fine – sono profonde. Lo afferma il medico (una donna) che le esamina e osserva: «Per quanto pulisca, riprendono a sanguinare». Lo dice anche il prevosto che le guarda attraverso una specie di lente di ingrandimento. Sono profonde, eppure guariscono presto, troppo presto. Nell’ultima sequenza vediamo il corpo nudo di Benedetta privo di tracce; non ci sono segni sulle mani, che perdevano sangue il giorno prima, dopo che le due ragazze hanno dormito all’aperto, sulla paglia. Forse si è tagliata da sola con un vetro. Come ha fatto a guarire così presto? È un film, d’accordo! Ma ci vuole un po’ di coerenza. Dobbiamo credere a ciò che vediamo sullo schermo: il regista ci deve dare l’illusione della realtà, anche quando ci fa vedere cose assurde.
Sarebbe bastato allungare i tempi, mettere la scritta: “Sono passati due mesi”, mostrare le mani di Benedetta protette con una benda anche nell’ultima sequenza … . Il regista avrebbe potuto trovare altre soluzioni, volendo.

La ex madre superiore, suor Felicita, dopo essere stata sostituita ha praticato un buco nel muro della stanza per spiare Benedetta dall’esterno. Si tratta di un muro spesso di pietra.
Com’è riuscita a portare a termine il lavoro? Sarebbe occorso un trapano e non avrebbe potuto evitare di fare rumore, di farsi scoprire. Bucare un muro richiede forza, non è lavoro da badessa di convento toscano del XVII secolo: escluderei che disponesse di un Black & Decker.

Con quali argomenti Benedetta è riuscita a convincere suor Felicita, che la odia e l’ha denunciata dopo la morte della figlia, a presentarsi in veste di “immagine della morte” per impaurire i paesani e spingerli a ribellarsi al nunzio pontificio? Le cose stavano andando come la ex badessa del convento voleva – tranne il particolare di essersi ammalata di peste. Suor Felicita si è adoperata perché Benedetta fosse condannata al rogo. Per quale motivo l’ha aiutata a venirne fuori?

Benedetta e Bartolomea scoprono la reciproca attrazione fisica nella cella, quando Benedetta aiuta Bartolomea a lavarsi. Poi si spostano nella latrina, dove Bartolomea svuota l’intestino rumorosamente e con soddisfazione. Anche in quel luogo, subito dopo l’operazione, è evidente la forte attrazione sessuale tra le due ragazze.
Si trovano in una latrina comune, priva di scarico, probabilmente puzzolente. Bartolomea si è pulita in modo approssimativo utilizzando foglie secche, non ha lavato le mani.
Secondo me quel posto invita solo a fuggire. Credo che sesso e merda non vadano d’accordo, ma è solo l’opinione di uno abituato a condizioni igieniche sconosciute nella campagna toscana del XVII secolo. Probabilmente Bartolomea era abituata a dormire con le capre. Ma Benedetta?
Dettagli.

Il regista Paul Verhoeven, amante delle provocazioni basate soprattutto sul sesso, in questo film arriva a rappresentare un rapporto tra Cristo in croce e la protagonista.
Si tratta di un sogno di Benedetta. Cristo è appeso alla croce e coperto di piaghe. Dice alla ragazza: «Spogliati, sei la mia sposa». Lei si denuda, si avvicina alla croce.
Cristo le dice: «Togli tutto ciò che ci separa»; Benedetta scioglie il panno che avvolge il bacino di Cristo.
Effettivamente è l’unica cosa che li separava.
Non appare un organo maschile in erezione. Il Cristo sognato dalla ragazza omosessuale, per quanto fornito di barba regolamentare, visto dalla zona pubica è una donna o un eunuco.
Nelle rappresentazioni dell’assunzione in cielo della Madonna, inscenate nel convento a beneficio dei familiari delle monache in visita, il personaggio maschile nell’alto dei cieli (il Cristo – Dio) ha la barba lunga, ma è interpretato da una donna. Questo può spiegare la singolare confusione che si è prodotta nella testa della ragazza, miracolata alla nascita e fornita dal padre di una ricca dote per entrare in convento. Forse non ha mai visto un uomo nudo. Benedetta interpretava, con molta immedesimazione, la Madonna.
Dunque: nel sogno Gesù Cristo in croce chiede a Benedetta: «Posa le tue mani sulle mie»; la ragazza si protende verso la croce, appoggia le mani sulle mani inchiodate di Cristo e avverte un brivido di piacere o di dolore (nell’estasi il piacere e il dolore si confondono). Poi si sveglia. Ha le stimmate. Si è ferita da sola? È un’imbrogliona? Non si sa, fino alla fine.

Qui occorre aprire una parentesi.
Sono orgoglioso, pur non essendo cattolico osservante (sono agnostico), di appartenere a una cultura arrivata ad accettare la provocazione estrema nei confronti dei simboli della fede più diffusa.
Se in un film un regista si fosse permesso di rappresentare un atto sessuale compiuto da Maometto, sarebbe immediatamente partita una fatva (nel senso ristretto di condanna a morte) e io non avrei potuto commentare il film: alcune bestie feroci si sarebbero sacrificate, stupidamente, per punire gli spettatori blasfemi. Per molto meno i fanatici musulmani hanno colpito i giornalisti e i fumettari di Charlie Hebdo.
Je suis Charlie Hebdo. Je suis Georges Wolinsky, il fumettista ucciso il 7 gennaio 2015, insieme a undici persone, nella redazione del suo giornale, da un gruppo di coglioni fanatici.
Ora fanno bene i superstiti del giornale a continuare con le provocazioni; dobbiamo affermare che la libertà di satira è un valore; è consentito un solo modo di reagire alla satira: non comprare il giornale.

Il progresso della nostra civiltà è recente: L’ultima tentazione di Cristo, di Martin Scorsese, fu sottoposto a minacce in America, sebbene non paragonabili alle fatva.
Nei tempi in cui si svolge la vicenda raccontata nel film (XVII secolo) il nunzio pontificio poteva usare mezzi di tortura orribili per estorcere una confessione, senza porsi scrupoli religiosi, che non gli appartenevano essendo ateo, o morali.

Benedetta ha una grande capacità di influenzare se stessa e gli altri.
Chi non crede alla sua santità? Quelli che non credono ai santi, ai miracoli, al Cristo e a tutto il resto, non hanno la fede e sono lì solo per convenienza: la madre superiore, il nunzio pontificio che corre da Firenze a Pescia, in tempo di peste, per smascherarla.
Il prevosto locale (grado superiore a quello del semplice prete) è invogliato a crederle perché sa che la presenza di una santa nella parrocchia può aprirgli la strada per il vescovado.

Potremmo vedere il film come la storia di una ragazza che, nella Toscana del 1600, sfrutta per crescere ciò che passa il convento.
Che cosa le passa il convento?
– Una vita comoda e protetta in un mondo pericoloso (il potere poggia sulle armi e può improvvisamente passare di mano).
– L’educazione scolastica (Benedetta sa leggere, scrivere e far di conto).
– Una serie infinita di racconti fantastici di santi, miracoli, madonne, racconti impressionanti di serpenti tentatori, di gesucristi guerrieri, belli, forti, che la difendono con la spada dai diavoli.
La ragazza è spinta dalla sua fantasia a immedesimarsi nei racconti, a credere alle sacre rappresentazioni, nelle quali svolge un ruolo importante. Viene a contatto con una ragazza del popolo, Bartolomea, che ha una esperienza rozza del proprio corpo: ha dovuto subire la violenza dei maschi di casa.
È naturale che Bartolomea sia attratta da Benedetta e Benedetta, oppressa dai tabù conventuali, sia attratta da Bartolomea. Entrambe non hanno esperienza di un rapporto dolce con l’altro sesso.
Bartolomea ha vissuto la bestialità dei maschi («per mio padre se fossi stata una capra sarebbe stato lo stesso»). Benedetta conosce solo figure astratte di maschi: il padre, le statue del Cristo, i cavalieri beffardi e violenti. Dal contatto con Bartolomea conosce la sofferenza e la gioia del corpo.
La sofferenza. Quando la madre superiore le chiede per quale motivo ha costretto Bartolomea a immergere la mano nell’acqua bollente lei dice: «Io non so che cosa sia la sofferenza».
La gioia del corpo. Guarda con curiosità i propri seni in uno specchio improvvisato e riesce a liberarsi del principio che hanno cercato di inculcarle nel cervello fin da quando è entrata in convento: il corpo è il tuo peggiore nemico. Scopre che il corpo non è nemico ma può essere fonte di piacere; riesce a mettere insieme la nuova scoperta con le esperienze precedenti: Dio non vuole sofferenza, vuole gioia.
Grazie all’amore Benedetta cresce e si convince di essere la prescelta. Dunque può imbrogliare i popolani ingenui e i potenti che si credono furbi. Le sue azioni sono volute da Dio: le stimmate false sono vere, la sua presenza allontana la peste, il suo corpo non sarà lambito dalle fiamme.

Benedetta Carlini visse in quel convento fino ai settant’anni; ci fu un processo e lei sfuggì al rogo: caso raro.

Particolarmente belle e ben costruite sono le scene di massa: la peste a Firenze, con i morti per strada; le processioni; la rivolta della popolazione inferocita, convinta che la santa, condannata al rogo, avrebbe allontanato la peste da Pescia.
Il film è tratto da un saggio su fatti accaduti in Toscana nel XVII secolo: Atti impuri – Vita di una monaca lesbica nell’Italia del Rinascimento di Judith C. Brown.
Sarebbe saggio leggerlo per capire quanto Paul Verhoeven abbia deformato il racconto della studiosa nel trasformarlo in un film. Interessa? Fino a un certo punto. Sarebbe saggio, ma se ne può fare a meno. Il film è una cosa, il libro un’altra.

In ogni commento mi domando se il film cattura lo spettatore (mi sembra fondamentale).
A mio giudizio non lo cattura, un po’ per la presenza di alcune assurdità (se ci accorgiamo delle assurdità vuol dire che non ci ha catturati), un po’ perché le provocazioni volute stancano.
Chapeau alla grande Charlotte Rampling, che riesce a disegnare il personaggio della badessa con poche parole, quasi unicamente con gli sguardi.
Il regista utilizza molto il primo piano. Il campo lungo è riservato al paesaggio della campagna toscana che chiude magnificamente il film.