2 marzo 2023 h 16.45
Cinema Spazio Alfieri Firenze – via dell’Ulivo, 6

Famiglia (genitori e figli)
// La sala professori (la scuola è un’estensione della famiglia) // Enea // Club Zero // Come pecore in mezzo ai lupi // Ritorno a Seul // Beau ha paura [Beau is afraid] // Miracle: Letters to the President // The Whale // Le vele scarlatte // The Fabelmans // Marcel! // True mothers // Una vita in fuga // One second // Cry Macho // È stata la mano di Dio // Madres paralelas // Raw /e/ Titane // Tre piani // La terra dei figli // Favolacce // Tutto il mio folle amore // Un affare di famiglia // La stanza delle meraviglie // Lady Bird /e/ Puoi baciare lo sposo // Tre manifesti a Ebbing, Missouri //

Teatro
// Romeo è Giulietta // Sanctuary (impianto teatrale) // Educazione Fisica (da “La palestra” di Giorgio Scianna) // The Whale (dall’omonima pièce teatrale) // Anton Cechov (Il gabbiano) // Grazie ragazzi (S. Beckett: Aspettando Godot) // La Stranezza (Luigi Pirandello: Sei personaggi in cerca d’autore) // Drive my car (Anton Cechov: Zio Vanja) // Il sindaco del rione Sanità (Il teatro di Eduardo) // Conversazione su Tiresia (Andrea Camilleri) // Favola (dalla commedia di Filippo Timi) // The Party (impianto teatrale) //

Charlie si è ridotto a vivere in un inferno: ingurgita panini e pizze con furia autodistruttiva.
Mangia di tutto, in continuazione. Mastica in fretta, ingoia grandi bocconi, lancia occhiate intorno come i gatti randagi quando trovano qualcosa di buono da mangiare e hanno paura di perderlo. Rischia di morire soffocato, tossisce, supera un conato di vomito, riprende a mangiare. Fino a quando lo stomaco gli comunica che c’è un po’ di spazio, deve riempirlo.
Lo stomaco si è dilatato in maniera abnorme, non controlla più i segnali che invia al cervello.
Steso nella poltrona, immerso in questa confusione della comunicazione tra la periferia e il centro c’è lui: the whale, la balena.
Se potesse mangerebbe anche il tavolo su cui la pizza è appoggiata, senza un piatto, una forchetta, un coltello. Non la divide a fette triangolari perché non c’è tempo, è urgente consumarla tutta: la piega in due e ne strappa via grandi morsi, fino a quando può attaccare l’altra pizza rimasta nel cartone. Mentre mangia la prima pensa all’altra e ingoia grandi bocconi per finirla presto.
Se ce ne fossero altre proverebbe a mangiarle tutte, a riempire un vuoto che ormai è indipendente dallo stomaco, si trova solo nella sua mente. Mangerebbe la poltrona in cui il suo corpaccione è sprofondato, il pavimento, le pareti della stanza, il soffitto. Mangerebbe se stesso. Qui c’è un collegamento con Bones and All, il film di Luca Guadagnino sui cannibali (commento su questo sito). Il cannibale è un bulimico che ha cambiato dieta.

The Whale è un film sulle conseguenze del senso di colpa. Nel caso di Charlie le conseguenze sono molti chili di grasso che imprigionano il corpo, lo rendono simile a una balena spiaggiata, immobilizzata, in attesa della morte.
Quando sta male, quando gli sembra di stare per morire, Charlie ha bisogno di farsi leggere un tema che la figlia Ellie scrisse dopo avere letto Moby Dick di Herman Melville.
Ascoltare quelle parole gli basta per sentirsi meglio, gli danno la sensazione di non avere sprecato completamente la vita.
Il senso di colpa non rallenta la corsa, non gli dà un attimo di tregua; lo porterà dentro una bara di dimensioni notevoli; sarà portata sulle spalle da uomini forzuti, fino a una fossa doppia, tripla, quadrupla, scavata nel cimitero.
Questo è il suo destino. Forse non ci sarà la grande fossa: si preferirà la cremazione. Non ci sarà il corteo funebre, non saranno necessari gli uomini forzuti. Della grande bara non potranno fare a meno: pagheranno un extra.

Charlie è un professore di lingua inglese, svolge corsi di scrittura a distanza. Lo schermo del computer è diviso in riquadri nei quali appaiono le facce giovanili degli studenti; il riquadro centrale è oscurato. Sentono la sua voce profonda, non lo vedono. Propone esercizi, corregge tesine. Lavorare sulle parole, dare ai giovani aspiranti scrittori consigli utili sul modo di esprimersi per rendere efficace la scrittura è più che un lavoro, è la sua vita.
Nonostante le difficoltà dovute alla sua struttura fisica e ai problemi psicologici, è un bravo insegnante: ricorda gli errori di ogni studente, ha a cuore i progressi di tutti. La lezione è un momento di rilassamento, un riparo provvisorio dentro un mare in tempesta.
Un riparo è anche la sua amica, una infermiera di origine cinese, americana in quanto adottata da piccola. L’amica gli vuole bene perché attraverso di lui esprime l’affetto che nutriva per un fratello morto suicida.
Il tema di Ellie rincuora Charlie nei momenti di maggiore sofferenza; gli ricorda Ellie, la sua bambina, unica figlia, ora adolescente. Quando ha scritto quel tema, dopo avere letto Moby Dick, era la sua bambina, intelligente, sensibile. Ora è una carogna priva di umanità, corrosa dall’odio.
Ellie è una carogna. Lo vediamo dal suo comportamento e lo dice la madre, che ha pietà di Charlie, nonostante lui l’abbia abbandonata quando la figlia aveva otto anni per andarsene con un ragazzo di cui si era innamorato (il fratello dell’amica infermiera).
Charlie lasciò la famiglia per inseguire un amore. Ogni tanto chiedeva notizie della bambina alla ex moglie; lei gli diede il tema.
La bambina era molto legata al padre. È cresciuta così: ribelle, ma anche cattiva dentro (l’espressione è usata dalla madre).
Si comporta in modo estremamente rude nei confronti del padre, quando lui la chiama perché sa che vivrà ancora poco tempo.
Ellie non è capace di provare pietà.
Scatta fotografie con il cellulare e le utilizza per fare la bulla con le compagne di classe, registra i segreti di un ragazzo sensibile per fargli del male. Si comporta da carogna.
Si potrebbe cercare di giustificarla: è una vittima dell’abbandono del padre. Siamo tutti vittime – chi più chi meno.
Ellie ha capito che il padre crede di non avere il diritto di difendersi e gli scarica addosso tutta la sua aggressività.
Il ragazzo di cui Charlie si era innamorato, ricambiato, apparteneva a una famiglia fissata con la religione. Avversato dal padre per questo suo legame con un uomo adulto, si era suicidato.
Un peso enorme piombato sul povero Charlie, che l’ha portato a lasciarsi andare. Giù, sempre più giù: nessuna cura di sé, una corsa verso la morte.

È una storia dell’America profonda, piovosa e noiosa, piena di sette religiose che pretendono di portare la salvezza attraverso l’interpretazione letterale di testi antichi e misteriosi. Giovani cresciuti nella fede girano per le strade, penetrano nelle case con le loro bibbie, le loro frasi fatte, i loro grossi, grossissimi problemi psicologici, accuratamente nascosti fino a quando esplodono.
Un’America in cui si ha diritto all’assistenza sanitaria solo se si contrae un’assicurazione costosa.
Charlie non vuole spendere i soldi per l’assicurazione perché vuole lasciare tutto a Ellie, alla figlia carogna priva di pietà che lo odia e aspetta solo la sua morte, una volta che lui l’ha rassicurata: avrai tutti i soldi che ho conservato (centomila dollari); li ho conservati per te.
Come a Charlie non basta la pizza per soddisfare il vuoto immaginario dello stomaco, a Ellie non bastano i soldi promessi per soddisfare il vuoto creato nell’infanzia dall’abbandono della figura paterna.
Charlie non si cura perché vuole pagare un debito con la figlia, vuole lasciarle il denaro che la madre prevede sarà sperperato in poco tempo.
Madre e figlia sono diventate estranee. Forse la bambina ha attribuito alla madre la responsabilità per la perdita del padre.
Siamo in una cultura protestante, le colpe sono proiettili incontrollati.
Nel mondo cattolico c’è la confessione, una invenzione che, se funziona, se il prete è all’altezza, assomiglia alla seduta psicanalitica: il prete ascolta, fa da tramite con Dio; «dieci avemmarie, dieci padrenostri, dieci glorialpadre» (si vede che non mi confesso da molto tempo). Dio perdona, il senso di colpa se ne va o si fa più indietro, si sposta nell’inconscio e lascia vivere il povero credente dentro alle sue contraddizioni, fino alla prossima confessione.
Il mondo protestante vuole essere asettico, perfezionista: perdonare gli altri è difficile, perdonare se stessi è quasi impossibile.
Il film, tratto dall’opera teatrale omonima di Samuel D. Hunter (2012), ne conserva la struttura: unità di luogo (che diventa asfissiante), un unico appartamento pieno di oggetti, poco spazio per muoversi.
Unità di tempo: tra un cartone pieno di pizze e l’altro, consegnato da un ragazzo che un po’ si preoccupa: «Lascia le pizze e prendi i soldi» gli dice Charlie da dentro – «Va tutto bene?» risponde il ragazzo – «Tutto bene, non ti preoccupare».
Si prende un po’ d’aria quando Charlie si affaccia sul terrazzino per ritirare le pizze, dopo essersi assicurato che il ragazzo sia andato via.
Piove forte; il ragazzo si trattiene sul terrazzino.
Charlie apre la porta e si affaccia per ritirare la scatola con le pizze.
Il ragazzo e Charlie si guardano imbarazzati. Il ragazzo è prima incuriosito, poi quasi impaurito: volta le spalle e scappa via. Ha capito per quale motivo il cliente non si fa vedere. È imbarazzato per essere entrato, senza volere, nell’intimità di un’altra persona.

Anche noi siamo incuriositi dal fisico debordante del personaggio principale, ma superiamo l’imbarazzo pensando che quel fisico è il prodotto di ore di trucco e di chili di sostanze plastiche.
Faceva molta più impressione la pancia di De Niro nella seconda parte di Toro scatenato. A quella pancia e a quella disperazione Jake LaMotta era arrivato dopo che, nella prima parte, ci eravamo affezionati a lui.
In The Whale la disperazione di Charlie ci viene fornita fin dall’inizio, pronta come una pizza. Ci rimane indigesta.

Questo è il quarto film, nell’anno iniziato da poco, dedicato, in sostanza, al suicidio.
Per pignoleria faccio l’elenco: Close, regia di Lukas Dhont (il ragazzo abbandonato dall’amico); Il primo giorno della mia vita, regia di Paolo Genovese (la sorte dei suicidi dopo morti); Non così vicino, regia di Marc Forster (il signor Otto non riesce a suicidarsi).
Ora siamo al signor Charlie che si uccide mangiando senza controllo.
Significa qualcosa?