23 gennaio 2019 h 18.30
Istituto Stensen Firenze – viale don Giovanni Minzoni, 25/c

Altro film del regista: // Notorious! //

Suspense (alta tensione: thriller e/o horror)
// Club Zero (horror alimentare) // Come pecore in mezzo ai lupi // Sanctuary (thriller psicologico) // Beau ha paura [Beau is afraid] // Cane che abbaia non morde [Barking dogs never bite] // Preparativi per stare insieme … (thriller psicologico) // L’ultima notte di Amore (noir metropolitano) // Holy Spider // M3GAN (thriller distopico) // Bones and All (horror cannibale) // Nido di vipere // L’homme de la cave [Un’ombra sulla verità] // La fiera delle illusioni // America Latina // Raw (horror cannibale) // Titane // Doppia pelle [Le daim] // Il sospetto [Jagten] // Favolacce // Notorious! (thriller H.) // Parasite // Il signor diavolo // The dead don’t die (gli zombie sono tornati) // Border: creature di confine // La casa di Jack // Gli uccelli [The birds] (horror H.) // L’albero del vicino //

Quando si dice un film entrato nell’immaginario collettivo!
Basta dire Gli uccelli – eventualmente fendendo l’aria con indice e medio di ciascuna mano, protesi in avanti e chiusi con un rapido gesto, per mimare le virgolette – chiunque coglie il riferimento al film di Hitchcock.
Anche chi non l’ha visto lo cita quando vuole riferirsi a una situazione angosciosa determinata dall’assalto dei simpatici pennuti o di qualunque aggressore dall’aspetto inizialmente innocuo.

Del film è rimasta impressa questa scena: i passerotti, passando attraverso la cappa del camino, assaltano in massa la famiglia riunita nel soggiorno della bella casa sulla baia.
Il focolare domestico, i passerotti: pace, serenità, tenerezza.
Il male irrompe nel posto più tranquillo della casa.

La stanza da letto può essere inquietante, perché esposta agli incubi notturni; nella stanza da bagno, mentre si fa la doccia, o immersi nella vasca, si è indifesi.
Nel soggiorno ci si sentiva sicuri, prima che Hitchcock facesse entrare, attraverso la cappa del camino, quei teneri batuffoli che abbiamo sempre ritenuto innocui, decisi a ucciderci, addirittura sacrificandosi (muoiono molti di loro), tanto ci odiano.

Prima della scena c’era stato qualche segno di aggressività da parte dei gabbiani, ai danni di un personaggio antipatico.
Se fosse continuato così: gabbiani, corvi, merli, all’aperto, all’assalto di adulti, se non avessero preso di mira i bambini, di questo film tecnicamente datato sarebbe rimasto il ricordo di un capolavoro per cinefili e basta.
Invece Hitchcock ci ha colpito nel profondo, mostrandoci che il male viene da dentro. Hai voglia a inchiodare listelle di legno sulle finestre! hai voglia a barricarti in casa, a spostare i mobili, a costruire muri! – il male ce l’hai dentro e non legge le poesie di Giovanni Pascoli, che spostava all’esterno tutto il male presente nella sua vita, facendolo partire da un unico episodio: l’uccisione del padre.

Si tratta di una bella costruzione letteraria, ma è una costruzione letteraria; sappiamo che, fuori della poesia, lo stesso Pascoli ebbe strani problemi con un fratello che cercò di sfruttarlo, di ricattarlo, lo minacciò e, forse, lo odiò fino alla morte.
Il nido che aveva sognato, in cui era riuscito a rifugiarsi, non bastò a proteggerlo: una rondine volò via, ferendogli il cuore (a proposito di uccelli).
Anche se quell’episodio terribile dell’infanzia non fosse avvenuto, la vita non sarebbe stata meno dura: l’arte è una delle poche consolazioni riservate agli uomini.

«… / dritto e solo, con un gran pianto / d’avere a finire così, / mi sentii d’un tratto d’accanto / quel soffio di voce … Zvanì … / …»

Tornando a Gli uccelli: per salvarsi non basta chiudersi in casa, bisogna sperare che la furia del male si acquieti un attimo, da sola, che si plachi: camminare piano, un passo alla volta, muoversi lentamente, senza far rumore.
La durezza di Hitchcock, la sua sublime spietatezza, ha fatto entrare The birds dentro di noi e lo ha fatto restare nella nostra mente, nella parte più profonda, da più di mezzo secolo.

In un film di Mel Brooks, Alta tensione, in cui, umoristicamente, si faceva il verso a molte situazioni hitchcockiane (se così si può dire, ma è brutto, forse è meglio dire “situazioni alla Hitchcock”), il richiamo a questo film avveniva con il protagonista sottoposto a un nutrito lancio di palline puzzolenti da parte di uno stormo di uccelli che lo costringeva a rifugiarsi in una cabina telefonica: riferimento preciso a una delle scene clou.
Una volta è capitato anche a me di trovare la macchina, che avevo imprudentemente parcheggiato sotto un albero da cui proveniva l’allegro cinguettio di un numero enorme di uccelli, letteralmente coperta di escrementi.
Una situazione “alla Hitchcock”, avrò certamente detto raccontando l’episodio (mi piace drammatizzare, ma sono sicuro di non avere mimato le virgolette con le dita, perché è un gesto che non sopporto quando lo fanno in televisione). Chi ascoltava ha certamente annuito, anche se non aveva visto il film, oppure, conoscendomi, ha detto: «Esagerato!».
Ma forse aveva visto gli altri film, perché Hitchcock richiama spesso il tema del male (proveniente da dentro o da una fonte apparentemente innocua), anche se raramente in maniera diretta come in questo film, senza un minimo distacco umoristico: l’understatement che caratterizzava le sue divertenti presentazioni.

Gli uccelli sono animali antichissimi, gli eredi dei dinosauri. Questi, di cui sono stati trovati i più antichi fossili risalenti a duecento milioni di anni fa, si sono estinti sessanta milioni di anni fa dopo avere “scoperto” (in senso darwiniano) il volo.
Ora sembro quella ornitologa che, nel film, parla degli uccelli dal punto di vista scientifico ed esclude, adducendo tante buone ragioni, che specie diverse possano allearsi per attaccare l’uomo.
La vecchia ornitologa perde le sue certezze e rimane muta e impaurita quando, nel bar dove è radunata tanta gente a discutere degli ultimi avvenimenti, è costretta a subire con gli altri l’attacco che causa l’esplosione di un distributore di benzina, un incendio e la morte di molte persone.
La scienza a quel punto deve tacere.

In realtà non è la scienza a essere sconfitta, ma la scienziata; ha contraddetto il principio base del metodo scientifico: partire dall’osservazione dei fatti, non dalla teoria (la sequenza – osservazione, esperimento, teoria – non dev’essere invertita).
I fatti da valutare con attenzione sono le testimonianze delle persone affidabili che sono state assalite dagli uccelli, in numero enorme e di specie diverse, e hanno visto le vittime orrendamente mutilate.

Quando la scienza è messa a tacere torna a galla la superstizione, che sostituisce al ragionamento le analogie, le coincidenze, stabilisce relazioni arbitrarie tra i fatti e, alla ricerca di un capro espiatorio, pone le basi per la caccia alle streghe.
Ecco che una donna, terrorizzata per sé e per i propri figli, osserva che tutto è cominciato quando l’estranea è approdata a Bodega Bay, in quel pacifico paesino di pescatori.
Non le viene in mente che potrebbe essere una coincidenza insignificante; la paura trasforma una banale osservazione in certezza.

Questo è il meccanismo che porta persone buone e oneste a diventare efferati assassini, partecipi, a volte motori, a volte complici più o meno attivi, o anche passivi, ma sempre complici, di quel mostro malefico che si chiama folla (un brivido corre lungo la schiena). Ancora più malefico quando viene chiamata popolo, una parola che, per la sua genericità, può essere associata a qualunque banda e utilizzata per giustificare qualunque efferatezza.

Quante volte abbiamo sentito un politico che ha preso i voti di una percentuale della percentuale di coloro che sono andati a votare (un’esigua minoranza dei potenziali elettori) affermare: «Rappresento il popolo, il popolo mi ha eletto per fare le scelte che il popolo vuole.»
In realtà intendeva dire: «Potrei muovere i miei follower con un tweet, potrei scatenare la folla con un discorso ben piazzato in televisione, con una dichiarazione da dentro al capannello dei giornalisti che mi assediano (li ringrazio, perché confermano e rinforzano la mia potenza); potrei intervenire alla camera o al senato e scatenare la folla; i sondaggi mi davano vincente, i voti hanno confermato i sondaggi, quindi comando io.»
Secondo questi politici la democrazia è una misera cosa: per chi ha vinto le elezioni non contano le regole, i meccanismi di controllo, l’equilibrio dei poteri. Per fortuna la nostra Costituzione è stata scritta da gente che aveva ciò che i politici attuali (la stragrande maggioranza) neanche si sognano: la competenza.

La parte più bella del film è la discussione che avviene nel bar fra i diversi avventori, prima del disastro e subito dopo.
Grande è la capacità di Hitchcock di far interagire gli attori in modo naturale e di portarci in quel bar con gli occhi della macchina da presa.

The birds [Gli uccelli] (1963) è un film basato su due elementi: il male e la paura.
Il male sembra provenire dagli uccelli, in realtà la sua origine è interna; la paura è radicata in noi da sempre, da quando vivevamo nelle caverne, anche da prima. È la paura che ciascuno di noi ha sperimentato dalla nascita, forse già da prima della nascita.
Immersi in quel liquido caldo e accogliente, avevamo paura del mondo esterno, che man mano si avvicinava.
Si doveva stare proprio bene là dentro, nonostante qualche scossone, ogni tanto! Avvertivamo la spinta vitale, la moltiplicazione cellulare tumultuosa, la differenziazione, la formazione degli organi, l’organizzazione degli apparati; un battito rassicurante ci cullava, ci accoglieva al risveglio; nessuna fatica per alimentarci, respirare, utilizzare i prodotti del metabolismo, eliminare i rifiuti.
Finché cominciammo ad avvertire una separazione tra il mondo interno costituito da noi e dal liquido caldo che ci avvolgeva e un mondo esterno, sconosciuto, che si avvicinava.
Questa separazione è stata la prima sensazione spiacevole di cui abbiamo fatto esperienza nel corso della vita intrauterina.
Infatti per tutta la vita l’esperienza della separazione ci procura disagio, dolore, paura.
Addirittura può farci soffrire separarci da un ambiente in cui abbiamo sofferto, separarci da persone che non amiamo e non ci amano.
“Partire è un po’ morire” si dice, senza specificare partire da dove, per andare dove.
La paura del mondo esterno è radicata in noi, superata, in molti casi, da fattori culturali che si rinforzano se adeguatamente alimentati: soprattutto la religione e il potere.

Nel film la paura, che tutti provano, ognuno a modo suo, è particolarmente incarnata dalla madre. Non a caso l’unica attrice di teatro e di cinema – oltre ai tanti attori che interpretano piccole, ma importantissime, parti – è Jessica Tandy, la madre, Blanche DuBois di Un tram che si chiama Desiderio.

Tippi Hedren, l’interprete di Melania, era una modella al suo esordio cinematografico; nulla a che vedere con Ingrid Bergman, con Grace Kelly, grandi attrici che avrebbero interiorizzato la paura e raddoppiato inutilmente la funzione della madre. Ci avrebbero distratto.
A lui serviva una belloccia abituata a indossare abiti eleganti, per un personaggio superficiale e antipatico che combina scherzi, pasticci, andando in giro nella sua macchina decappottabile; una ragazza viziata, figlia di un editore di giornale.
Incapace di tirarsi fuori dai guai, trascinata dagli eventi: aveva la macchina, perché non è andata via subito dopo le prime avvisaglie dello strano comportamento degli uccelli?
Era attratta dal brillante avvocato, forse senza ammetterlo neanche a se stessa. Il suo strano viaggio era cominciato come una rivalsa, uno scherzo di una che ha tempo da perdere e soldi da spendere.

In fondo le era andata bene, perché in America, dove le armi si comprano al supermercato, se entravi nella casa di uno sconosciuto, anche negli anni sessanta, rischiavi di uscire in posizione orizzontale, o ridotto a brandelli da un cane feroce.
Con ogni dissolvenza incrociata l’ultimo volto inquadrato, misteriosamente concentrato, rimane per qualche secondo sullo schermo – brutto segno che, ovviamente, Melania non vede; però vede altri segni di un clima torbido e minaccioso. Non scappa per non cedere alla evidente repulsione della madre di Mitch nei suoi confronti, alla evidente disperata gelosia della maestra; per affermare ancora una volta di essere il centro del mondo.
Conversando con Mitch, in un momento di sincerità, accenna al dramma della sua vita: la mamma sparita, andata via per i fatti suoi; ma cambia subito argomento.
Solo verso la fine lo sguardo d’intesa con la madre di Mitch fa capire che forse, se si salvano, qualcosa di profondo è successo nella sua vita, fino a quel momento tutta esteriore.

Si racconta che nella scena al piano superiore, quando rimane sola e cerca inutilmente di difendersi dagli uccelli, l’attrice sia stata realmente ferita da un gabbiano e sia svenuta, o che l’abbiano trovata svenuta e siano stati costretti a completare la scena con una controfigura.
Nessuno mi toglie dalla testa che fu Hitchcock a fare in modo che fosse ferita (si mise d’accordo con l’addestratore o con il gabbiano) per rendere più efficace la sua espressione di terrore.

Solo la madre interiorizza la paura, per gli altri è la reazione istintiva davanti a un aggressore che può presentarsi in forme diverse e scatenare la violenza senza preavviso.
La madre era terrorizzata già prima che le galline rifiutassero il mangime e gli uccelli cominciassero a comportarsi in modo strano.
Guarda con sospetto qualunque donna si avvicini al figlio; teme di rimanere sola, nonostante abbia una figlia piccola e sia economicamente benestante.
Forse il marito, che campeggia in una grande fotografia appesa alla parete, riusciva a darle un senso di sicurezza che le è venuto a mancare, o il senso di sicurezza esiste solo nel ricordo.
Scarica la sua ansia sul figlio, lo rimprovera di non avere le risposte alle domande che la paura le detta, di non essere all’altezza del padre.

Qui il dottor Freud andrebbe a nozze (probabilmente sposerebbe la modella); spiegazione classica: Mitch si sente inconsciamente colpevole della morte del padre, avendola desiderata quando era vivo; fa di tutto per sostituirlo, ma si lascia martoriare e condizionare nei suoi rapporti con le donne dalla madre per compensare i sensi di colpa.
Hitchcock decise di prendere per questo ruolo un attore che non aveva niente a che vedere con i grandi ai quali ci aveva abituato nei film precedenti (nel 1963 aveva già realizzato capolavori destinati a rimanere nella storia del cinema).

La faccia immobile, il fisico che ricorda Kennedy, Rod Taylor interpreta l’avvocato, ricco, sicuro di sé anche quando si confronta con la ragazza abituata ad avere il mondo sotto i piedi, a non essere criticata per i suoi capricci o presa in giro.
Gli piace provocarla, questo è il suo modo per provarci, gli piace farsi corteggiare, ma è pronto a criticare il suo stile di vita e a mettere un mare, o, almeno, la baia fra sé e la donna, in modo da non dispiacere la madre, non stabilire un legame duraturo, non alimentare i propri sensi di colpa.

L’attore ha sempre la stessa espressione, dall’inizio alla fine, ma a Hitchcock serviva così. James Stewart, Anthony Perkins avrebbero dato l’idea di riflettere, si sarebbero smarriti nei meandri dell’inconscio; il dramma sarebbe diventato una costruzione psicanalitica: i poveri gabbiani sarebbero diventati un simbolo.
Invece dovevano essere nient’altro che gabbiani, i corvi dovevano essere corvi e i personaggi, tranne la madre, dovevano essere solo donne e uomini terrorizzati dal mistero del male, dalla impossibilità di difendersi.
Cary Grant avrebbe potuto sostenere quella parte in modo simile, ma con una faccia più espressiva, maggiori capacità di attore.
Forse voleva troppi soldi (il film risultò assai costoso); poi a Hitchcock piacevano le sfide: dimostrare di riuscire a far recitare anche i cani.
Ci riuscì.

L’avvocato chiude le finestre, sposta i mobili, inchioda, per poi accorgersi che gli uccelli, quando credeva fossero andati via, hanno sfondato il tetto e stanno aspettando al piano superiore il momento per sferrare l’attacco (senza fretta, a tempo debito).
È una caccia: noi ci identifichiamo con le prede, soffriamo per loro e con loro e non pensiamo a quando siamo noi umani a lanciare la caccia contro gli uccelli e altri animali che hanno avuto la sfortuna di convivere con l’uomo su questo pianeta.

Avevo visto questo film al cinema e in televisione nella versione doppiata.
Questa volta ho avuto la possibilità di vedere la versione originale con sottotitoli in italiano, restaurata dalla cineteca di Bologna, al cinema Stensen, una bellissima sala.
Tutta un’altra cosa.