12 novembre 2019 h 19.20
Cinema La Gran Guardia Livorno – via del Giglio, 18

Altro film del regista: // Cane che abbaia non morde //

Suspense (alta tensione: thriller e/o horror)
// Doppia Pelle [Le Daim] // BlackBerry (thriller tecnologico) // Club Zero (horror alimentare) // Come pecore in mezzo ai lupi // Sanctuary (thriller psicologico) // Beau ha paura [Beau is afraid] // Cane che abbaia non morde [Barking dogs never bite] // Preparativi per stare insieme … (thriller psicologico) // L’ultima notte di Amore (noir metropolitano) // Holy Spider // M3GAN (thriller distopico) // Bones and All (horror cannibale) // Nido di vipere // L’homme de la cave [Un’ombra sulla verità] // La fiera delle illusioni // America Latina // Raw (horror cannibale) // Titane // Il sospetto [Jagten] // Favolacce // Notorious! (thriller H.) // Parasite // Il signor diavolo // The dead don’t die (gli zombie sono tornati) // Border: creature di confine // La casa di Jack // Gli uccelli [The birds] (horror H.) // L’albero del vicino //

Nuovo Cinema Corea
// Ritorno a Seul // Cane che abbaia non morde [Barking dogs never bite] // Next Sohee // Miracle: Letters to the President // Nido di vipere // Parasite //

“Parasite”, regia di Bong Joon-ho.
Dopo “Cane che abbaia non morde” – il primo lungometraggio realizzato da Bong Joon-ho quando aveva trent’anni – il film che l’ha reso famoso: “Parasite”, Palma d’oro al Festival di Cannes del 2019. Se è sfuggito quando girava nelle sale, consiglio vivamente di recuperarlo; si trova su molte piattaforme.
Siamo in Corea del Sud.
Personaggi principali: famiglia povera (padre, madre, figlia e figlio adolescenti); famiglia ricca (padre, madre, figlia preadolescente, figlio bambino); governante; marito della governante.
I più poveri tra i poveri, i disoccupati, vivono al di sotto del livello stradale in un seminterrato invaso dai parassiti.
Piegano, per un misero compenso, le scatole di cartone utilizzate per contenere e trasportare le pizze da asporto.
Nello spazio ristretto del seminterrato non sempre riescono a essere precisi: molte scatole non sono piegate a dovere. Compenso ulteriormente ridotto.
Miseria nera dentro a una società evoluta, disoccupazione che imprigiona in una condizione di non esistenza.
Non produci, consumi il minimo per sopravvivere, non esisti, o esisti solo in un seminterrato, insieme ai parassiti, tuoi simili.
Se la storia si svolgesse in altri tempi, in società arretrate, non daremmo peso a tanta esclusione da una condizione minima di benessere; l’ingiustizia antica lascia quasi indifferenti.
Al contrario: la vicenda raccontata nel film è di oggi, di un mondo che, nella parte più evoluta, a cui la Corea del Sud appartiene, ha raggiunto la coscienza di diritti estesi a tutti gli uomini, principalmente il diritto alla felicità, proclamato nella costituzione di un paese preso a modello (i giovani coreani hanno in cima ai loro sogni una borsa di studio in un’università americana).
In una società tecnologicamente avanzata (la Corea del Sud è la patria delle più importanti aziende produttrici di congegni elettronici) i poveri dispongono di smartphone, utilizzano WhatsApp, cercano, nello spazio esiguo del seminterrato, il punto in cui è possibile rimediare un collegamento wifi gratuito, necessario per non essere esclusi dalla comunicazione; lo trovano accanto alla tazza del water.
Davanti al finestrone che, da sotto in su, permette di guardare nella strada adiacente al seminterrato, un ubriaco vomita, urina.
Gli addetti alla disinfestazione spargono fumi; il padre, che ha appena visto uno scarafaggio, dice alla figlia di lasciare aperta la finestra per far entrare i veleni e sterminare i parassiti che infestano l’ambiente.
La famiglia povera si trova a respirare i fumi tossici, a tossire, a rischiare di essere sterminata anch’essa, di morire soffocata.
Un giovane, ex compagno di scuola del figlio e suo amico, gli dà la possibilità di introdursi in una famiglia ricca per insegnare l’inglese a una ragazzina che ha bisogno di ripetizioni.
La casa in cui abita la famiglia ricca è fornita di tutti i conforti moderni e di risorse tecnologiche per proteggerla dai pericoli esterni (i poveri, la guerra nucleare, l’invasione della Corea del Nord).
Ampie sale, divani comodi, cucina moderna, vetrate, un giardino, un sottoscala pieno di ogni ben di Dio e, al di sotto del sottoscala, un altro ambiente, nascosto, al quale si accede con un meccanismo segreto.
Si tratta di un rifugio antiatomico che il primo proprietario della casa aveva fatto costruire per utilizzarlo in caso di attacco nucleare proveniente dalla Corea del Nord; lo spazio non era stato dichiarato, i proprietari preferivano tenerlo nascosto: non poteva essere venduto.
Gli attuali proprietari ignorano l’esistenza di questo ambiente completamente chiuso, privo di finestre.
Solo la governante conosce l’esistenza del bunker sotterraneo e vi ha nascosto il marito, perseguitato dai creditori dopo un fallimento.
L’uomo vive da quattro anni come un topo, rifornito dalla moglie del necessario per sopravvivere; di notte ruba dalla dispensa della casa.
Vita in una società di capitalismo avanzato e incontrollato, in cui è possibile arricchirsi in modo esagerato o precipitare nella miseria nera e nella disperazione.
Il giovane della famiglia povera si presenta in questa casa, preannunciato dall’amico, per insegnare l’inglese alla ragazzina della famiglia ricca.
È ben educato, preparato, possiede un metodo di studio, lo sa comunicare; si fa apprezzare dalla madre della ragazzina che assiste alla prima lezione. È un giovane sveglio e si pone il problema di far entrare nella casa gli altri componenti della sua famiglia.
Come parassiti, con la stessa determinazione dei parassiti, la famiglia povera riesce a incunearsi all’interno della famiglia ricca sfruttando a proprio vantaggio le pieghe della vita di queste persone in apparenza felici, ma solo in apparenza.
In realtà si tratta di esseri deboli, ansiosi, suggestionabili, facilmente manipolabili, costretti a pagare per tutto (non sanno cucinare, non sanno guidare la macchina, non sanno allevare i figli), crudeli, capaci unicamente di disporre delle vite degli altri, di licenziare i dipendenti – l’autista, la governante – per un dubbio, per un sospetto, senza indagare, senza dare spiegazioni, indifferenti al loro destino.
Hanno i soldi, solo questo conta. Non si sa come li abbiano accumulati.
La moglie non fa nulla; a volte è tanto spossata dall’ansia da addormentarsi stando seduta sulla sedia, con la testa piegata sul tavolo; la governante sbatte le mani per svegliarla. È una donna estremamente suggestionabile, crede a tutto ciò che le viene detto se corrisponde a ciò che desidera sentire. Crede che il figlio, un bambino iperattivo, disturbato, affetto da crisi epilettiche, sia un grande artista e abbia bisogno non di un pediatra o di un neurologo buono ma di un esperto di arte.
Il marito è un dirigente di un’industria informatica o delle telecomunicazioni, o, forse, è uno dei soliti manager che risolvono i problemi licenziando gli operai o dei soliti ladri della finanza: si fa abbindolare troppo facilmente per essere un esperto in qualche settore della realtà industriale. Si limita a comandare, a decidere, forse sa solo manovrare i numeri, spostare capitali secondo i suoi interessi.
I parassiti, usando abilmente la menzogna, raccontando le frottole che la famiglia ricca desidera ascoltare, riescono a far licenziare, uno a uno, i dipendenti e a mettersi al loro posto: oltre al giovane entrato come insegnante di inglese, entra nella casa la sorella che si presenta come esperta di art-therapy, un’espressione che ha trovato su Google, per seguire il bambino iperattivo.
È facile, rubacchiando frasi su Wikipedia, fingere competenze in campi nuovi del sapere. Definirsi fisico nucleare è complicato, se non si hanno i titoli; definirsi esperto di art-therapy, racimolando un po’ di concetti banali, è terribilmente alla portata di tutti.
La ragazza è intelligente, sa che sta bluffando; un guaio maggiore succede quando qualcuno si crede veramente esperto: di dieta paleolitica, di medicine alternative, di agricoltura biodinamica … e chi più ne ha più ne metta. Ora ci si sono messe anche le università online, le università private che danno titoli fantasiosi a pagamento.
I giovani smanettoni sono maghi di Photoshop e riescono a realizzare, copiando i timbri, curricula e titoli di studio altisonanti. La gente è credulona; nessuno telefonerebbe per rifilarti un bidone se non ci fosse qualcuno che abbocca.
La signora ansiosa è felice di avere trovato tanta competenza nella ragazza che si occuperà del figlio.
La ragazza, furbissima, riesce a far licenziare l’autista. Suo padre lo sostituisce, presentato come un autista provetto che ha prestato servizio per tanti anni nella sua famiglia.
Poi fa licenziare la governante, cogliendo il punto debole della padrona di casa: il terrore delle malattie.
Al posto della governante viene assunta la madre della ragazza, presentata e raccomandata, anche lei, come semplice conoscente.
I quattro fingono di essere estranei perché sanno che una raccomandazione è più efficace se sembra disinteressata. Il bambino si accorge che queste persone hanno lo stesso odore: l’odore dello scantinato in cui vivono; i genitori del bambino non prestano attenzione alla cosa.
Tutti i componenti della famiglia povera riescono a introdursi nella casa, esattamente come i parassiti penetrano nel seminterrato.
Qui comincia il thriller, la parte nera del film, perché la ex governante, licenziata, non può più aiutare il marito nascosto nel bunker.
Attraverso una serie di svolte, di colpi di scena, di lotte tra disperati senza esclusione di colpi, di minacce con lo smartphone («tenete le mani alzate, altrimenti invio il video»), si arriva al dramma finale in cui entra tutto: l’umiliazione («Poca confidenza, io ti pago!», dice il padrone di casa all’autista costretto a fare il pagliaccio), la ferocia, la pazzia, ma anche la ribellione dell’uomo che ha sentito dire con disprezzo che lui puzza, che riempie la macchina del suo cattivo odore.
Lotta senza esclusione di colpi, dei poveri contro i ricchi, dei ricchi contro i poveri, dei poveri tra di loro: nessuna solidarietà di classe, nessuna pietà umana.
I giovani sono razionali, metodici e determinati, privi di scrupoli; hanno assorbito in pieno il cinismo della società in cui vivono. Credono solo nella rivalsa, nell’arricchimento con qualunque mezzo.
Il padre, che ha preso il posto dell’autista, in un momento di pausa si rammarica per la sorte dell’uomo che hanno fatto licenziare; la figlia lo rimprovera, lo corregge: «Babbo, tu non devi pensare ai problemi di uno sconosciuto, tu devi pensare a noi, tu devi pensare a me!».
I ricchi ansiosi e i poveri determinati a sfuggire alla miseria sono separati nettamente dall’odore, separati come gli indiani appartenenti a caste diverse (quando in India c’erano le caste), come i proprietari terrieri texani e i neri raccoglitori di cotone quando in America c’era la schiavitù; non basta un momentaneo cambiamento di casacca per cambiare la condizione del povero.
La seconda parte è un incubo troppo complicato per poterlo descrivere: le parole non bastano, bisogna vedere il film di questo grande regista. Per dare un’idea: è come i brutti sogni da cui ci risvegliamo all’improvviso, stralunati, mentre ancora viviamo l’angoscia, quando ci capita di assopirci sulla poltrona in posizione scomoda.
Ci domandiamo sconvolti: da dove viene tutta questa paura? In quale parte nascosta della mente si è annidata? Da quanti anni? Quali esperienze della vita, dimenticate, probabilmente infantili, hanno prodotto il terrore che è rimasto lì e ora si esprime quando il corpo non riesce a staccare la spina dalla presa?
Ti alzi sbalordito dalla poltrona e senti, poi vedi dalla finestra, un bambino che piange disperatamente in una carrozzina, circondato da adulti che cercano vanamente di calmarlo. Ti domandi se la paura che si rivelerà dopo tanti anni in un incubo pomeridiano o notturno abbia cominciato ad accumularsi ora, o addirittura prima, quando il neonato è stato proiettato nel mondo.
Bong Joon-ho richiama alla memoria terrori che conosciamo, che riconosciamo. Anche quando siamo in pace con noi stessi e con il mondo (capita) è possibile che in uno spazio interrato, sotto alla nostra casa (come nel film) o nella nostra mente, un essere disperato viva nascosto e ogni tanto esca dal suo rifugio, di notte, per prendere un po’ d’aria e rubare del cibo dal frigorifero.
Ho visto il film in una serata di pioggia, a Livorno, in una sala del centro storico il cui ingresso mi ricorda la casa ipermoderna che ho trovato sullo schermo – la griglia metallica per l’accesso al sistema fognario e per lo smaltimento delle acque piovane, indicata con una freccia nella foto che accompagna il commento, potrebbe essere l’ingresso dell’ambiente interrato.