14 gennaio 2022 h 18.15
Cinema Odeon Pisa – piazza San Paolo all’Orto

Film dei registi: // La terra dell’abbastanza // Favolacce // America Latina // Dostoevskij //

Suspense (alta tensione: thriller e/o horror)
// Doppia Pelle [Le Daim] // BlackBerry (thriller tecnologico) // Club Zero (horror alimentare) // Come pecore in mezzo ai lupi // Sanctuary (thriller psicologico) // Beau ha paura [Beau is afraid] // Cane che abbaia non morde [Barking dogs never bite] // Preparativi per stare insieme … (thriller psicologico) // L’ultima notte di Amore (noir metropolitano) // Holy Spider // M3GAN (thriller distopico) // Bones and All (horror cannibale) // Nido di vipere // L’homme de la cave [Un’ombra sulla verità] // La fiera delle illusioni // America Latina // Raw (horror cannibale) // Titane // Il sospetto [Jagten] // Favolacce // Notorious! (thriller H.) // Parasite // Il signor diavolo // The dead don’t die (gli zombie sono tornati) // Border: creature di confine // La casa di Jack // Gli uccelli [The birds] (horror H.) // L’albero del vicino //

I film di Damiano e Fabio D’Innocenzo.
1) “La terra dell’abbastanza” (2018) (commento precedente);
2) “Favolacce” (2020) (commento precedente).
“America Latina” (2021)
Il momento del risveglio è particolare.
Si emerge da un altro mondo che, spesso, lascia dietro di sé una immagine confusa associata all’ultimo sogno. Di solito le immagini sbiadiscono rapidamente, poi svaniscono dalla memoria senza lasciare tracce.
Può accadere di svegliarsi come Gregor Samsa e di restare lì per qualche secondo, con la sensazione di avere subito una metamorfosi o di trovarsi in un mondo sconosciuto: impauriti, infelici, tra sonno e veglia; pochi secondi, poi passa.
L’invenzione di Kafka non sono le zampette che si agitano sotto il corpo trasformato in insetto, è la durata di quella visione.
Massimo, il dentista protagonista del film, in un certo senso vive la stessa esperienza che Franz Kafka descrisse ne La Metamorfosi (1915).
Svegliandosi nel livido chiarore dell’alba, mentre tutta la casa dorme, si trova improvvisamente in un altro mondo. In cantina c’è una bambina prigioniera, insanguinata, imbavagliata, legata al tubo dell’acqua. Intorno è come se una furia distruttiva, bestiale, si fosse scatenata.
Basterebbe girarsi dall’altra parte per far svanire l’immagine, come accade sempre. Questa volta non basta: l’incubo è reale.
Massimo può chiudere a chiave la porta, non può far tornare l’inconscio nell’ombra: lo ritrova ogni volta che scende le scale e entra nella cantina della casa dove vive questa famiglia all’apparenza perfetta: padre, madre, due figlie. L’inconscio è lì e condiziona la vita cosciente molto più che attraverso i timidi lapsus freudiani.
Una cosa è vedere in sogno un’immagine confusa di violenza, altro è trovare in cantina la vittima reale della violenza, in carne e ossa, con il suo terrore e le sue reazioni. Mugola, urla, morde le mani che cercano di liberarla, guarda Massimo con gli occhi sbarrati. Si sono materializzati il terrore e la vittima del terrore.
Dopo l’incipit è questa la chiave di lettura che ho utilizzato per cercare di capire; nelle ultime scene i registi contraddicono la mia interpretazione.
Qui ci vuole l’avviso per quelli che non sopportano di conoscere in anticipo i dettagli della trama. Il film si può raggiungere facilmente su Raiplay.
Il dentista si reca nella cantina sempre da solo; nessuno, tranne lui, sente gli urli e i mugolii della poveretta; nessuno sente il rumore quando, dopo qualche giorno, esasperato, urla: «Mi stai creando dei problemi!» e scatena la sua furia distruttiva. Colpisce con una chiave inglese i tubi dell’acqua. L’acqua invade la cantina; ora la ragazzina prigioniera, sempre legata, è anche immersa nell’acqua che lentamente defluisce. Nel giardino il cane non avverte la presenza di un estraneo.
Ciò che accade laggiù riguarda unicamente lui, Massimo. C’è una differenza rispetto alla situazione in cui si trovò Gregor Samsa: nel caso letterario la famiglia vedeva la trasformazione e, con fatica, si adattava, trovando addirittura giovamento (il padre). Per Massimo, invece, la faccenda è interamente personale e ogni tentativo di coinvolgere gli altri fallisce miseramente. Solo lui si vede come una possibile bestia feroce, anche se non ricorda le circostanze in cui si sarebbero manifestati gli istinti animaleschi; gli altri continuano a vedere l’amico, il buon padre di famiglia e lo guardano perplessi quando cerca di capire se sono complici o lo hanno incastrato.
America Latina per buona parte, quasi fino alla fine, consente una chiave di lettura kafkiana; Latina sta per la cittadina laziale; non mi ricordo più come hanno spiegato America nel titolo.
“Un mattino, al risveglio da sogni inquieti” … a quest’uomo capita di trovare la situazione che si diceva: nella cantina c’è una ragazzina tenuta prigioniera, legata a un tubo dell’acqua e imbavagliata.
Uno normale chiamerebbe il 118 e risolverebbe la questione.
Il personaggio del film è abituato a concedersi una mezza sbornia, una volta alla settimana, in macchina con un amico. Evidentemente la sua vita, apparentemente perfetta, non gli basta, ha bisogno di evadere; evade in un modo poco impegnativo, una volta alla settimana.
Immediatamente dopo la sconvolgente scoperta ha il dubbio di essere l’autore del rapimento, della violenza. Teme di avere agito in un momento di ubriachezza, forse insieme all’amico, in una condizione di incoscienza che ha comportato una forma di amnesia. L’amnesia è la condizione permanente dell’inconscio: al risveglio dimentichiamo rapidamente ciò che è accaduto. Nel sonno potremmo avere scatenato i peggiori istinti, l’aggressività repressa: se l’incubo non ci sveglia non lo ricordiamo, o ricordiamo qualcosa che rapidamente svanisce.
Solo per un attimo Massimo cerca di liberare la bambina, ma la cosa è complicata: la vittima, terrorizzata, si dibatte, urla, morde le mani.
Massimo chiude a chiave la porta della cantina e fa una cosa strana: si comporta come se niente fosse. Mi ricorda il personaggio di Favolacce che, dopo avere scoperto i figli morti, torna a letto e aspetta che la moglie li scopra: si concede qualche minuto di pausa da vivere come se la tragedia non fosse avvenuta.
In quella cantina c’è un mistero che Massimo ha paura di svelare; ne ha paura perché lo conosce.
Con queste premesse, il film per buona parte è un thriller sugli orrori presenti dietro l’apparenza delle famiglie “normali”, delle persone che conducono una vita regolare.
Il dentista pensa di avere potuto seguire, in un momento di perdita dell’autocontrollo, le spinte bestiali presenti nell’inconscio; sa che queste spinte esistono, le riconosce.
Non si dà la spiegazione logica: non ricordo niente perché non ho fatto niente di male; trova un’altra spiegazione: l’amnesia.
Cerca su internet i casi di bambine scomparse e le spiegazioni dei disturbi della memoria; scopriamo che ha un rapporto difficile con il padre, nei confronti del quale alterna aggressività e sensi di colpa, ribellione, rabbia e pianti infantili.
È agitato da vari sospetti: potrebbe avere rapito la bambina insieme all’amico, l’amico potrebbe avere rapito la bambina e averla nascosta in casa sua approfittando della sua ubriachezza; arriva a sospettare la moglie e le figlie, a cui attribuisce l’intenzione di liberarsi di lui facendolo internare in un manicomio.
Il borghese (America Latina), il proletario (Favolacce), il sottoproletario (La terra dell’abbastanza) – abitante nella periferia romana, a Spinaceto o alla periferia di Latina – sa che nel proprio inconscio albergano pensieri immondi che potrebbero determinare, in certe condizioni, azioni orribili.
Questa è la chiave di lettura che ho dedotto dall’incipit e mi è sembrata giusta quasi fino alla fine.
Nelle ultime scene i registi ci danno la soluzione del thriller, che ora rivelo. Chi non ha visto il film e non sopporta la conoscenza anticipata di “come va a finire” si fermi qui.
La soluzione, banale, viene raccontata da uno speaker della televisione dopo che il dentista si è deciso a chiamare la polizia: abbiamo assistito al caso di un malato mentale che viveva da solo, si era costruito una famiglia immaginaria e ha commesso un delitto.
Siamo passati dalla nevrosi alla psicosi, molto meno interessante al cinema in quanto non consente l’identificazione: nevrotici siamo un po’ tutti; gli psicopatici sono una categoria di malati che presentano, in molti casi, anche disturbi organici (il capocchione bitorzoluto indossato da Elio Germano per interpretare questo personaggio … poteva far sospettare qualcosa).
Trovo che la soluzione del thriller, rivelata alla fine dai registi, sia deludente. Che soluzione volevo? Non lo so. Forse addirittura nessuna soluzione: i registi avrebbero potuto abbandonare lo spettatore a se stesso, lasciarlo nei dubbi seminati sapientemente per tutto il film, accentuare l’ambiguità della situazione, portarla alle estreme conseguenze, aprire a tutte le ipotesi e far partire i titoli di coda con un’altra Passacaglia della vita del XVII secolo (come in Favolacce).
Mi sarei aspettato una conclusione coerente con i personaggi disperati (oltre a Massimo, il barista sbrigativo, l’amico che “si arrangia” e parla delle donne in termini di «tu non te la scoperesti?»), abitanti delle villette che a me, forse anche a Fabio e a Damiano, fanno venire una tristezza infinita.