
15 settembre 2022 h 19.00
Cinema Spazio Uno Firenze – via del Sole, 10
Suspense (alta tensione: thriller e/o horror)
// Doppia Pelle [Le Daim] // BlackBerry (thriller tecnologico) // Club Zero (horror alimentare) // Come pecore in mezzo ai lupi // Sanctuary (thriller psicologico) // Beau ha paura [Beau is afraid] // Cane che abbaia non morde [Barking dogs never bite] // Preparativi per stare insieme … (thriller psicologico) // L’ultima notte di Amore (noir metropolitano) // Holy Spider // M3GAN (thriller distopico) // Bones and All (horror cannibale) // Nido di vipere // L’homme de la cave [Un’ombra sulla verità] // La fiera delle illusioni // America Latina // Raw (horror cannibale) // Titane // Il sospetto [Jagten] // Favolacce // Notorious! (thriller H.) // Parasite // Il signor diavolo // The dead don’t die (gli zombie sono tornati) // Border: creature di confine // La casa di Jack // Gli uccelli [The birds] (horror H.) // L’albero del vicino //
Nuovo Cinema Corea
// The Chaser // Ritorno a Seul // Cane che abbaia non morde [Barking dogs never bite] // Next Sohee // Miracle: Letters to the President // Nido di vipere // Parasite //
Un thriller speziato alla coreana: “Nido di vipere” [Beasts clawing at Straws], regia di Kim Yong-hoon. Si trova su Raiplay. È tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore giapponese Keisuke Sone.
Film spietato con momenti horror. Non siamo dalle parti di Hitchcock, siamo più vicini a Quentin Tarantino e ai fratelli Coen. Psicologia elementare dei personaggi, spietati perché è spietata la società in cui vivono. È la società coreana come la vede Kim Yong-hoon. Vale anche per i registi americani dai quali trae ispirazione. In “Le iene” [Reservoir Dogs] di Quentin Tarantino la cinepresa si sposta di lato, a sinistra del poliziotto catturato, quando Mr Blonde sta per torturarlo. Nessuna attenuazione dell’orrore nel film coreano: la violenza è esibita spudoratamente, con indifferenza. C’è un personaggio, soprannominato Cat-fish (Pesce-gatto), forse cannibale, che amputa la mano ai debitori insolventi dell’usuraio; una bestia.
Il motore dell’azione è una borsa Louis Vuitton piena di denaro contante rubato, seguita in primo piano nei suoi spostamenti.
La trama è costruita su un concetto chiave espresso da un giovane fuori di testa: «È insidioso abituarsi all’orrore»; la battuta intera è: «Gli uomini che picchiano le donne non cambiano, come quello stronzo di mio padre. Una volta, mentre picchiava a sangue mia madre, io mi misi in mezzo e sai la cosa assurda? Fu mia madre a fermarmi. Lei mi fermò e lo difese. Allora io compresi quanto sia insidioso abituarsi all’orrore».
In un mondo abituato all’orrore anche le malattie si confondono con la cattiveria. La mente della vecchia se n’è andata da un’altra parta, il corpo è rimasto da questa parte e tormenta chi ha il compito o il dovere di prendersi cura di quel corpo.
C’è odio nella vecchia che guarda la televisione e dice impassibile: «Ho pisciato per terra per dare qualcosa da fare a tua moglie, quella vipera!».
La trama è complicata ma precisa come un’equazione matematica; in ogni passaggio si svela un’incognita.
Ho contato undici personaggi. Agli otto che si vedono nel manifesto riportato sopra nel sito, sotto nel post di facebook, bisogna aggiungere: il poliziotto investigatore, l’amico del funzionario della dogana, complice poco affidabile, e il più folcloristico di tutti, Cat-fish, strumento dell’usuraio per minacciare i clienti e riscuotere i crediti.
Dopo avere risolto l’equazione non resta che prendersi la soddisfazione della verifica: constatare che tutti i riferimenti sparsi nel film sono collegati tra loro. Il regista è rigoroso come un matematico: ogni dettaglio prende senso.
Il film è anche divertente, ogni tanto.
Tae Young dice all’amico impaurito con il quale si è messo nei guai: «Fuma. Una volta ero nella macchina di un amico e gli chiesi di fermarsi un momento fuori da una tabaccheria per comprare le sigarette. Avevo la fissa per le Lucky Strike. Le comprai, pagai e tutt’a un tratto sentii un rumore forte. Un camion aveva investito la macchina e ammazzato l’amico. Ero stato salvato dalle Lucky Strike. Da allora le considero il mio portafortuna».
L’amico impaurito: «E dire che volevo smettere di fumare!».
Tae Young viene ucciso proprio perché, dopo avere depositato la borsa nella sauna, scende in strada per comprare le sigarette. Non sempre i portafortuna funzionano.
I primi capitoli sono deprimenti, finché appare il personaggio più divertente, il poliziotto investigatore. Ricorda il tenente Colombo, ma è cinico e ama giocare con il sospettato come il gatto col topo. Mangia, beve insieme a lui, gli fa pagare il conto, gli porta via l’ombrello, bussa alla sua porta quando vuole, entra nella sua casa, si fa invitare a cena, lo manda a comprare le birre, fa la corte alla sua donna.
Approfitta della paura del sospettato, che noi sappiamo, e anche lui lo sa, colpevole. Si diverte e ci fa divertire. Capiamo che ha un grande potere in un paese che oscilla tra autocrazia e democrazia sotto il controllo dei militari (recentemente la popolazione è riuscita a cacciare un presidente che aveva tentato un colpo di stato).
Il poliziotto esercita il suo potere sui pesci piccoli. Non gli interessano i capi, non perseguita l’usuraio e i suoi scagnozzi, che girano liberamente. Lungi da lui l’idea di eliminare il male. Ci sguazza dentro benissimo e gli piace giocare.
Fa una brutta fine perché non solo indaga e s’intrufola, come richiesto dal suo lavoro, ma allunga volentieri le mani sulle belle donne dimenticando lo scopo della sua visita. Compete facilmente con i ladri emotivi, tormentati dalla paura di essere scoperti, non può competere con Yeon-Hee, una donna affascinante, grande giocatrice di scacchi: cinica più di lui, trova la mossa giusta in ogni situazione.
Yeon-Hee non può perdere perché, differentemente dal poliziotto, non si lascia distrarre dalle spinte sessuali, utilizza quelle degli altri, è fredda, disponibile a sezionare un corpo e anche a vivisezionarlo e segue con coerenza due principi: «Ciò che è mio non si tocca» e «Se sei ricca non devi fidarti di nessuno, neanche di tua madre».
Alla fine anche lei perde, perché è costretta a confrontarsi con Cat-fish, la forza bruta, la bestia.
Attenzione spoiler! Su questo profilo si parla della trama dei film.
Yeon-Hee si presenta come un personaggio positivo. Spacca una bottiglia sulla testa di un uomo violento e aiuta disinteressatamente (così sembra all’inizio) una povera ragazza, Mi-Ran, che di lavoro fa la escort in un nightclub ed è picchiata regolarmente dal marito.
La povera ragazza è incapace di aiutarsi, riesce solo a incasinarsi sempre di più e arriva a uccidere due uomini per liberarsi di uno; il marito si salva, uno dei due uccisi è uno sconosciuto, l’altro è un giovane fuori di testa, immigrato cinese – così scopriamo che in Corea del Sud ci sono giovani che emigrano dalla Cina con l’intenzione di arricchirsi.
La Cina tiene insieme comunismo e capitalismo e consente notevoli arricchimenti individuali, ma solo all’interno del sistema e degli apparati. Il sistema si regge a scapito di una massa di persone, soprattutto giovani, che non si ribellano a una vita mediocre. Alcuni scappano e si rifugiano nel mondo capitalista, nel mondo delle occasioni da afferrare al volo senza porsi problemi morali: al ragazzo cinese piace Mi-Ran ed è lui a proporle di ammazzare il marito violento. Poi non regge allo shock.
Dopo che i due hanno solo combinato guai, interviene Yeon-Hee; sembra buona, disinteressata, ma il calcolatore racchiuso nella sua scatola cranica è sempre in funzione. Conquista la fiducia della ragazza, le insegna come comportarsi per ammazzare il marito e ottenere il premio dell’assicurazione senza destare sospetti, poi s’impossessa della borsa piena di soldi. Non bisogna fidarsi di nessuno.
È un giro: si è cacciatori o prede, a rotazione.
Nel titolo italiano si parla di vipere, nel titolo internazionale di bestie. Le vipere iniettano il veleno per difendersi, anche per attaccare, per catturare le prede. Le bestie possono essere feroci, ma solo per motivi molto seri: difendere la prole, sopravvivere. All’uomo basta una borsa gonfia di denaro per diventare feroce, basta poco per abituarsi all’orrore (Yeon-Hee: «Il primo omicidio è il più duro, poi ci si abitua»).
Ironica la conclusione: la borsa va a finire in braccio all’unico personaggio che la merita, Young-Sun, la moglie lavoratrice del povero cristo, onesto ma imbranato, incapace di impossessarsene senza lasciare tracce. La moglie è più pratica e decisa: si appropria della borsa senza esitazioni. Non si devono avere esitazioni in una giungla. In altri contesti sarebbe immorale rubare, ma in un nido di vipere più fredde delle vere vipere? Esiste la possibilità di una morale superiore in un covo di bestie che si aggrappano a tutto? Solo una povera vecchia può credere che basta avere «due gambe, due mani e braccia forti per poter ricominciare in ogni momento». Dice anche: «Durante la guerra di Corea l’intero paese era in fiamme. Tu sei vivo ragazzo e vedrai che le cose in qualche modo si aggiusteranno».
È l’unica battuta positiva del film, non a caso detta da una vecchia demente.
Purtroppo non sempre bastano due gambe, due mani e braccia forti per ricominciare. Secondo Quentin Tarantino e i fratelli Coen non bastano in America; secondo Kim Yong-hoon non bastano in Corea.
La conclusione potrebbe sembrare positiva, ma la storia che ruota intorno alla valigia piena di soldi non finisce dopo i titoli di coda. Possiamo immaginare il seguito: le telecamere mostreranno il comportamento anomalo della donna e la persecuzione ricomincerà, con altri poliziotti, veri o finti, e altri delinquenti.
La povera donna, Young-Sun, ha una sola possibilità per salvarsi. Scappare via, come Butch Coolidge (Bruce Willis) in Pulp Fiction. Scappare, sperando di non avere dimenticato l’orologio lasciato dal nonno e dal padre come ricordo delle sofferenze patite per uscire dalla violenza. Scappare il più lontano possibile, prima che un sistema corrotto nelle fondamenta capisca che il caso ha prodotto un po’ di giustizia.
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