15 settembre 2022 h 19.00
Cinema Spazio Uno Firenze – via del Sole, 10
Suspense (alta tensione: thriller e/o horror)
// Doppia Pelle [Le Daim] // BlackBerry (thriller tecnologico) // Club Zero (horror alimentare) // Come pecore in mezzo ai lupi // Sanctuary (thriller psicologico) // Beau ha paura [Beau is afraid] // Cane che abbaia non morde [Barking dogs never bite] // Preparativi per stare insieme … (thriller psicologico) // L’ultima notte di Amore (noir metropolitano) // Holy Spider // M3GAN (thriller distopico) // Bones and All (horror cannibale) // Nido di vipere // L’homme de la cave [Un’ombra sulla verità] // La fiera delle illusioni // America Latina // Raw (horror cannibale) // Titane // Il sospetto [Jagten] // Favolacce // Notorious! (thriller H.) // Parasite // Il signor diavolo // The dead don’t die (gli zombie sono tornati) // Border: creature di confine // La casa di Jack // Gli uccelli [The birds] (horror H.) // L’albero del vicino //
Nuovo Cinema Corea
// Ritorno a Seul // Cane che abbaia non morde [Barking dogs never bite] // Next Sohee // Miracle: Letters to the President // Nido di vipere // Parasite //
Un thriller ispirato a Quentin Tarantino (Pulp Fiction, 1994), a Joel e Ethan Coen (Non è un paese per vecchi, 2007).
Si potrebbe citare anche Bong Joon-ho (Parasite, 2019) o Hitchcock, che viene sempre in mente quando si guarda un thriller.
Non è un limite di Kim Yong-hoon: tutti i grandi autori, specialmente all’esordio, imparano dai maestri. Conta che il film riveli una personalità originale; è il caso di questo regista coreano.
Trama complicata, precisa come un’equazione di primo grado a più incognite.
Le incognite sono gli undici personaggi principali. Ne ho contati undici. Agli otto che si vedono nel manifesto aggiungerei: il poliziotto investigatore, l’amico del funzionario della dogana (complice poco fortunato) e il più folcloristico di tutti, forse cannibale, soprannominato Cat-fish (Pesce-gatto), strumento fondamentale dell’usuraio per minacciare i clienti e riscuotere i crediti.
Dopo avere dato un valore a tutte le variabili meno una, si calcola l’incognita rimanente che le collega con una logica ferrea e l’equazione è risolta in pochi passaggi (si tratta di un’equazione di primo grado, apparentemente complicata, ma, alla fine, semplice). Non resta che prendersi la soddisfazione della verifica: constatare che tutti i riferimenti sparsi nel film sono collegati tra di loro e con la risoluzione dell’equazione.
Il regista è rigoroso, preciso come un matematico.
Un personaggio, il poliziotto investigatore, ricorda il tenente Colombo, ma è più cinico e divertente. Ama giocare con il sospettato, il funzionario della dogana in cerca di un pollo da spennare, come il gatto con il topo: mangia, beve, gli fa pagare il conto. Bussa alla sua porta quando vuole, entra nella sua casa, si fa invitare a cena, lo manda a comprare le birre, fa la corte alla sua donna.
Approfitta della paura del sospettato. È divertente ma violento; si capisce che ha un potere corrispondente al potere dei delinquenti e, come loro, ne approfitta.
Fa una brutta fine, perché non solo indaga e s’intrufola, come richiesto dal suo lavoro, ma allunga volentieri le mani sulle belle donne indagate e dimentica lo scopo della sua visita. Può competere facilmente con i ladri emotivi, tormentati dalla paura di essere sospettati, non può competere con Yeon-Hee, una delinquente dotata di autocontrollo e di capacità logiche in una massa di invertebrati isterici.
Yeon-Hee non può perdere perché, differentemente dal poliziotto, non si lascia distrarre dalle proprie spinte sessuali, è fredda come una vipera, disponibile a sezionare un corpo e anche a vivisezionarlo e segue con coerenza due principi: «ciò che è mio non si tocca» e «se sei ricca non devi fidarti di nessuno, neanche di tua madre».
Alla fine anche lei perde, perché è costretta a confrontarsi con la forza bruta di una bestia, Cat-fish, forse cannibale, al servizio dello strozzino, che lo utilizza per farsi pagare dai debitori morosi minacciando l’amputazione di una mano.
È difficile spiegarsi il cambiamento mostrato da Yeon-Hee tra la prima e la seconda parte del film. All’inizio è buona e suscita simpatia quando spacca una bottiglia sulla testa di un uomo violento e aiuta disinteressatamente (sembrerebbe) una povera ragazza, Mi-Ran, che di lavoro fa la escort in un nightclub ed è picchiata regolarmente dal marito alcolizzato.
La povera ragazza è incapace di aiutarsi, riesce solo a incasinarsi sempre di più e arriva a uccidere due uomini per liberarsi di uno: uno dei due uccisi è uno sconosciuto, l’altro è un giovane fuori di testa, immigrato cinese – così scopriamo che in Corea del Sud ci sono giovani immigrati dalla Cina con l’intenzione di arricchirsi.
Yeon-Hee conquista la fiducia della ragazza, le insegna come comportarsi per ammazzare il marito (finalmente) e ottenere il premio dell’assicurazione senza destare sospetti, poi, di fronte a una borsa Louis Vuitton piena di soldi, diventa bestiale anche lei.
Come si spiega?
È il principio religioso su cui si basa la società in cui vivono: l’unico principio di un capitalismo privo di regole e di controlli. I soldi sono l’obiettivo nella vita e giustificano qualunque comportamento, qualunque tradimento o delitto.
Joong-Man deve farsi sfruttare da un dirigente sadico nella sauna dove ha trovato un umile lavoro. Da imprenditore, da dirigente, puoi trattare i tuoi dipendenti come pezze da piedi; se sei operaio devi subire, inginocchiarti, ringraziare.
Non esiste un sindacato dei lavoratori, nessun controllo sugli imprenditori: capitalismo selvaggio.
Il film è pieno di cattivi soggetti (come, suppongo, la società coreana); l’associazione per la protezione delle vipere forse presenterà una protesta; nel titolo italiano si parla di vipere, nel titolo internazionale si parla di bestie che si arrampicano sugli specchi o che si aggrappano a tutto (Beasts clawing at Straws). Le vipere iniettano il veleno per difendersi, forse anche per attaccare, per catturare le prede. Le bestie possono essere feroci, ma solo per motivi molto seri.
Gli uomini iniettano il veleno perché s’illudono di conquistare la felicità nascosta in una borsa Louis Vuitton piena di soldi. Non hanno capito che la felicità non è di questo mondo e quei pochi bricioli di serenità di cui possiamo godere non costano molto.
Bella la conclusione, ironica come buona parte del film: la borsa piena di soldi va a finire in braccio all’unico personaggio che la merita, Young-Sun, la moglie lavoratrice del povero cristo, onesto ma imbranato, incapace di impossessarsi della borsa senza lasciare tracce. La moglie è più pratica e decisa: capisce subito che quella chiave nasconde un mistero, risolve il mistero e se ne appropria, senza esitazioni. Come si fa ad avere esitazioni in una giungla? In altri contesti sarebbe immorale impossessarsi di una borsa piena di soldi, ma in un nido di vipere? Esiste la possibilità di una morale superiore in un nido di vipere o in un covo di bestie che si aggrappano a tutto? Solo una vecchia ammalata di Alzheimer può credere che basta avere due braccia, due gambe, per poter ricominciare. In quella società non basta. Tutti infrangono le regole, a cominciare dalla polizia, e le regole sono sbagliate.
Il problema si verificherà in seguito, quando le telecamere mostreranno il comportamento anomalo della donna e la persecuzione ricomincerà, con altri poliziotti, veri o finti, e altri delinquenti.
Scappa Young-Sun! Fujténnə! Scappa lontano da quell’inferno, il più lontano possibile, scappa da un paese tecnologico avanzato, dominato da un capitalismo criminale! Scappa via prima che un sistema corrotto nelle fondamenta capisca che il caso ha prodotto un po’ di giustizia!