8 dicembre 2021 h 19.20
Cinema Spazio Uno Firenze – via del Sole, 10

Altro film del regista: // Giurato numero 2 [Juror #2] // Il Corriere [The Mule] //

I vecchi
// Finalement // The Miracle Club // Perfect Days // Adagio (vecchi delinquenti) // Coup de chance e The Old Oak (vecchi registi) // Bassifondi // Scordato // La quattordicesima domenica del tempo ordinario // Il Sol dell’Avvenire // Il ritorno di Casanova // Non così vicino [A man called Otto] // Orlando // Il piacere è tutto mio // Astolfo // Rimini // Nostalgia // Settembre // Belfast // Callas Forever // Cry Macho // Boys // The father [Nulla è come sembra] // Nomadland // LONTANO LONTANO // Le nostre anime di notte (commento al libro) // Herzog incontra Gorbaciov // The Irishman // Dolor y Gloria // Stan & Ollie [Stanlio & Ollio] // Can you ever forgive me? [Copia originale] // Il Corriere [The Mule] // Moschettieri del re // Lucky // Loro // L’ultimo viaggio // Ricomincio da noi // Ella & John //

Famiglia (genitori e figli)
// Il tempo che ci vuole // Dostoevskij // Quando tutto tornerà a essere come non è mai stato // Enea // Club Zero // Come pecore in mezzo ai lupi // Ritorno a Seul // Beau ha paura [Beau is afraid] // Miracle: Letters to the President // The Whale // Le vele scarlatte // The Fabelmans // Marcel! // True mothers // Una vita in fuga // One second // Cry Macho // È stata la mano di Dio // Madres paralelas // Raw // Titane // Tre piani // La terra dei figli // Favolacce // Tutto il mio folle amore // Un affare di famiglia // La stanza delle meraviglie // Lady Bird /e/ Puoi baciare lo sposo // Tre manifesti a Ebbing, Missouri //

Amicizia (scoperta, coltivata o tradita)
// Casablanca (Rick e Sam, Rick e Louis) // Bassifondi // Animal House // La quattordicesima domenica del tempo ordinario // La Primavera della mia vita (Colapesce e Dimartino) // Gli spiriti dell’isola (fine di un’amicizia) // Close (l’amico del cuore) // Nostalgia (gli amici si ammazzano, non si dimenticano) // Cry Macho (tra un vecchio e un ragazzo) // Mi chiamo Mattia (racconto) // Lontano Lontano (amicizia tra anziani) // 1917 (amicizia sotto le armi) // Stan & Ollie (amicizia tra artisti) // Copia originale [Can you ever forgive me?] (tra due tipi eccentrici) // Green Book (tra un italoamericano e un afroamericano) // Il mio Capolavoro (tra pittore e gallerista) // Moschettieri del Re (amicizia mitica) // Lazzaro felice (tra emarginati) // The Shape of Water [La forma dell’acqua] (tra individui “diversi”) //

“Cry Macho”, regia di Clint Eastwood.
Dopo il film più recente del novantaquattrenne Clint Eastwood (“Giurato numero 2”), ricordiamo il precedente (“Cry Macho”), uscito nelle sale nel 2021; il regista aveva compiuto novantun’anni.
Quante cose accadono in tre anni!
Abbiamo quasi dimenticato la pandemia (nel 2021 eravamo alla fine, ma non eravamo sicuri di uscirne). In America è tornato Trump. È una tragedia! Però anche nella tragedia c’è un lato positivo: ha allevato una serpe in seno. Il folle Musk gli darà problemi, e noi aspettiamo fiduciosi, preoccupati solo per il destino dell’umanità sul quale non possiamo influire. I napoletani, maestri del sollevarsi dall’angoscia, dicono: «Mai chiù nirə da mezzanotte pò essere» («C’è un limite al nero della notte, inteso come metafora della tragedia»). Questo aforisma ha il potere di rilassarmi; me lo ripeto quando le circostanze avverse si sono date appuntamento e si presentano tutte insieme e nella forma più adatta a fare danni. Quando ciò accade mi ripeto: la situazione non può diventare più nera del cielo a mezzanotte («Mai chiù nirə da mezzanotte pò essere»).
In questi tre anni un antico cinema d’essai, Spazio Uno in via del Sole a Firenze, è andato “in ristrutturazione”, dice il cartello appeso all’ingresso. Per ora significa chiuso: nessun segno di vita o di lavori in corso.
Il commento seguente è, pari pari, quello che scrissi l’8 dicembre 2021, seduto al tavolino del Cortese Cafè Novecento in piazza Santa Maria Novella, dopo essere uscito dall’unica sala del cinema Spazio Uno, avendo visto “Cry Macho” (c’erano le mascherine e il Green pass).
“Texas, 1979; Michael Milo, ex campione di rodeo, nonostante l’età avanzata e i problemi alla schiena causati da un infortunio sul lavoro (non si sa se l’hanno risarcito), fa il cow boy in un ranch.
Clint Eastwood è regista e attore essenziale: nessuna scena di troppo, nessuna espressione del viso esagerata, nessun movimento del corpo eccessivo.
Il viso è asciutto, solcato da rughe; l’espressione è quasi sempre quella col cappello.
Fu Sergio Leone a fare la battuta.
Clint Eastwood non aveva il volto espressivo di James Stewart. I critici non l’apprezzavano e non capivano perché Sergio Leone si fosse intestardito a utilizzare la sua maschera, che sembrava immobile, nei western all’italiana.
Il regista, che capiva sempre, di cinema, di più e prima degli altri, rispose scherzosamente alle critiche ripetute dicendo: «Mi piace Clint perché ha solo due espressioni: una col cappello e una senza cappello».
Sicuramente aveva capito che quel volto, apparentemente immobile, riusciva a trasmettere sullo schermo una vasta gamma di emozioni utilizzando impercettibili variazioni.
Clint Eastwood è una di quelle persone che diciamo impassibili perché non possiamo proiettare il loro volto sul grande schermo. Il pubblico percepiva ogni variazione minima del suo stato d’animo e partecipava alle sue emozioni. In seguito ha dimostrato di essere anche un grande regista.
In questo film gli esterni prevalgono nettamente sugli interni; anche in casa i cow boy texani raramente si levavano il cappello; a volte se lo levavano per pranzare e nei rari casi in cui dormivano in un letto.  Addirittura andavano in bagno tenendo il cappello calcato sulla testa (a rigore non è necessario toglierlo). Si parla di bagno per analogia: il più delle volte si trattava di aperta campagna, dove il cowboy scappava, senza carta igienica, dopo avere mangiato qualche intruglio messicano. Naturalmente Clint non entra nei dettagli dell’operazione: non è nel suo stile. Si piega un po’ più del solito sulle lunghe gambe senza neanche slacciare i pantaloni. Un attimo. Si alza e corre dietro alla macchina che gli hanno rubato. Come ha fatto? (Qui fare sostituisce un verbo più preciso ma meno elegante).
A parte i dubbi su questi momenti prosastici della vita di tutti, anche dei cowboy, una domanda s’impone: questo grande regista e attore è stato mai scalfito dalla dura realtà? Come fa a pensare che si possa dormire per più giorni di seguito all’aperto, svegliarsi e riprendere la vita normale senza diventare un barbone?
Immagino sia vissuto tra i fiori che coltivava nel film precedente (The Mule, 2019).
Che Dio ci conservi ancora per molti anni (ne ha novantuno) questo Tex Willer vivente, questo vecchio mai sudato, sempre pulito, che tutti vorremmo avere avuto come nonno!
Gli occhi sono vivissimi, il corpo magro assomiglia al tronco contorto di un vecchio olivo, un po’ curvo; le gambe arcuate, abituate alla groppa del cavallo.
Quando cammina sembra che cavalchi lentamente. Si guarda intorno, domina il paesaggio da sotto alla falda larga del cappello da cowboy.
Sui titoli di testa, accompagnato da una musica country, in un vecchio furgone che fa venire la voglia di guidarlo (altro che le stupide macchine compatte nelle quali noi ci stringiamo!), Mike raggiunge il posto di lavoro.
È accolto dal boss, il proprietario del ranch, che gli ricorda: un tempo eri il numero uno, poi hai avuto bisogno di aiuto, ti ho aiutato, ora fai tardi in continuazione; nel ranch c’è bisogno di nuova linfa (concetto che si ripete nei film di Clint, per poi dimostrare che i vecchi servono a qualcosa).
Poche parole, essenziali. Il boss conclude: prendi le tue cose e vattene; ti licenzio.
Altrettanto essenziale la risposta di Mike: lo manda affanculo.
La macchina da presa mostra con le immagini ciò che il boss ha raccontato: i premi vinti da Mike nei rodei, la rassegna stampa, la scena della tragica caduta da cavallo. Clint ci spiega le cose una per una. Non corriamo il rischio di distrarci.
In America lo stato sociale e i diritti dei lavoratori sono indietro, ma di molto, rispetto alle democrazie europee. Praticamente gli Stati Uniti si trovano, dal punto di vista dei diritti, nell’ottocento. I lavoratori sono privi di tutele. Tra di loro i capitalisti si controllano con l’antitrust e con leggi che puniscono duramente chi crede che il mercato libero sia una partita a poker. Il mercato in America è una cosa seria per i capitalisti, tragica per i lavoratori. Obama aveva cercato, con scarso successo, di porre rimedio all’arretratezza dei diritti. C’è una massa critica di conservatori, anche nella classe operaia (purtroppo), disposti a votare per un clown col ciuffo al vento e il ditino alzato, mezzo delinquente e mezzo scemo (le due metà esatte in cui è diviso il suo cervello), pur di impedire sostanziali riforme o limitazioni del libero mercato (per esempio delle armi, tanto per dirne una).
L’amministrazione attuale [nel 2021 Biden], come quella di Obama, frenata da questa massa critica di conservatori, può fare ben poco. Abbiamo visto che cosa hanno prodotto quattro anni di Trump: la destra eversiva ha alzato la testa fino a minacciare il Congresso.
Nel 1979 era presidente Jimmy Carter e la situazione era peggiore dell’attuale. Michael Milo, nonostante i premi e i riconoscimenti guadagnati prima della caduta pesante da cavallo, non può godersi la pensione, come sarebbe giusto alla sua età. Ha difficoltà economiche. La porta di casa è sempre aperta perché nella sua casa non c’è nulla da rubare.
Nei film americani dei registi americani (non nei film americani dei registi europei) sono sempre presenti problemi economici insormontabili che spingono i personaggi prossimi alla vecchiaia, o già vecchi, a vivere in un furgoncino (Nomadland), a comporre lettere false di scrittori famosi e venderle alle librerie specializzate (Can you ever forgive me?), a trasportare droga per la mafia messicana (The Mule). Gli anziani e i vecchi sono in una condizione di relativa agiatezza solo se ex mafiosi o mafiosi in servizio attivo (The Irishman).
Si parla, ovviamente, di americani di classe media, non dei ricconi che hanno un reddito superiore al PIL di molti stati africani e di alcuni stati europei.
È passato un anno dal licenziamento. Michael rientra tutto solo nella sua casa con la porta aperta; non ha più moglie e figlio, morti anni prima in un incidente. Trova seduto al tavolo del soggiorno il padrone del ranch che l’ha licenziato l’anno prima.
In America funziona così: se entri in una casa non tua puoi sederti e aspettare tranquillamente il padrone di casa; se non ti ammazza prima di capire chi sei, puoi entrare senza tanti preamboli nel discorso che t’interessa, evitando le cerimonie a cui noi europei siamo abituati (permesso! posso entrare? disturbo? Eccetera).
L’ex datore di lavoro, di poche parole e modi rudi, ha aspettato Mike per chiedergli un favore: deve riportargli il figlio tredicenne avuto da una donna messicana che lo tiene con sé in Messico in una situazione di grave degrado. Il ragazzo si chiama Rafael, di lui il padre ha solo una foto di quando aveva sei anni e sa che ora vive per strada, arrangiandosi tra furti e combattimenti di galli.
Comincia il viaggio: strade polverose, cavalli selvaggi, fattorie, minacce con la pistola, fughe con vecchie auto rubate – il ragazzo messicano ha un’idea elastica della proprietà: noi siamo amichevoli, dice, prendiamo la macchina che ci serve; tu mi presti la tua senza il fastidio di chiederti il permesso; io presto la mia; tutti prestano.
Un western moderno, dimesso, senza indiani cattivi ma con messicani cattivi, senza indiani buoni sotto la tenda ma con un villaggio di messicani buoni: al posto del totem la cappella dedicata alla Madonna.
Gli abitanti del villaggio si mettono in fila per chiedere al gringo di curare il cane ammalato, la capra assalita dai cani, il maialino al guinzaglio. Michael non è un veterinario, è un cowboy americano, sa fare un po’ di tutto, è autosufficiente. Senza contare che viene dal mondo ricco, a due passi, oltre il confine. Il ragazzo Rafael segue il gringo perché sogna le praterie con i ranch e i capi di bestiame del Texas, ma vorrebbe anche l’affetto di un padre macho, forte, virile.
Solo in un film di Clint Eastwood si poteva trovare la parola macho, che da noi è guardata con sospetto (non so se anche in America). Ma in questo film macho non significa stronzo maschilista. Macho è l’uomo responsabile, forte, rispettoso delle donne, dolce con i bambini. Rafael ha chiamato Macho il suo gallo da combattimento perché è riuscito a sconfiggere un gallo più grosso.
Nel villaggio c’è l’incontro con una bella famiglia, con una bella vedova accogliente.
Western senza pistole; solo una che il buono sottrae a un cattivo incapace, sconfitto dal gallo Macho. La pistola serve a Michael per allontanarsi dallo sconfitto, sul quale non infierisce.
Il cavaliere solitario è invecchiato, non è saldo sulle gambe, ma, nonostante l’età, ha ancora il suo fascino, tanto da conquistare la bella vedova accogliente.
Si fa amare perché è generoso: cura gli animali, ripara il jukebox (siamo nel 1979), comunica con una bambina sorda; la bambina appoggia la manina sulla sua mano, facendoci sciogliere per la dolcezza della scena. Insegna al ragazzo ad andare a cavallo, calma il cavallo accarezzandolo sulla testa. Vediamo il personaggio, ma forse anche il vecchio Clint, come lo abbiamo sempre immaginato.
Il film finisce bene, nonostante il pessimismo sugli uomini di Michael Milo (di Clint Eastwood), che capisce, per esperienza, gli interessi meschini nascosti dietro le parole. È buono ma non ingenuo.
Non ama rappresentare la realtà pratica (preferisce la realtà poetica), ma conosce le emozioni della gente, l’egoismo, la cattiveria.
Da giovane avrebbe preso a calci il padre di Rafael, lo avrebbe fulminato con lo sguardo, avrebbe salvato il ragazzo sottraendolo alla madre e al padre (sembrava si stesse muovendo verso questa soluzione); ora si accontenta di fare ciò che gli viene chiesto, pensando sia meglio accettare che il mondo giri nel suo verso. Meglio affidare il ragazzo al padre, che lo vuole soprattutto per un interesse economico, che abbandonarlo nelle mani della madre fuori di testa o prendersi la responsabilità di una terza soluzione.
A novant’anni compiuti il cavaliere solitario è diventato realista e si tira fuori dai guai: gli basta abbassare sulla fronte il cappello da cowboy, guardare intorno da sotto la falda; può dormire su una panca, per terra, all’aperto, senza diventare barbone. Non ha bisogno di altro.
«Perché non dormiamo nel furgone ma all’aperto?» chiede Rafael.
«Perché no? L’aria è buona, non è consumata e viziosa come l’aria di città», risponde Mike.
«Non possiamo dormire nel santuario dedicato alla Vergine Maria!», dice il ragazzo.
«Maria non se n’importa. È tranquilla», risponde Mike.
«Sei cattolico?».
«No. No».
«Credi in Dio?».
«I think so» (Credo di sì).
La comunicazione con noi avviene attraverso minime variazioni del viso. Se ti basta così poco per comunicare, sei un grande attore.
Indubbiamente è merito di Clint Eastwood se per due ore crediamo a una  storia semplice, in alcuni passaggi decisamente assurda. Non importa che sia assurda, perché non lo è sullo schermo.
La regola è questa: se ci accorgiamo dell’assurdità, se la viviamo come un problema e ci distraiamo, vuol dire che la finzione cinematografica non ha funzionato. Stiamo parlando di arte: ognuno decide per sé.
Con Clint Eastwood funziona sempre, come funzionava con Tex Willer, con Black Macigno, con Capitan Miki (i fumetti sono film che proiettiamo nella nostra testa).
Gli spettatori del cinema Spazio Uno in via del Sole, non lontano da piazza Santa Maria Novella, si sono fatti catturare dalla storia raccontata dal vecchio amico con la sua voce profonda, al punto da avviare un evento raro nei cinema attuali: un applauso sui titoli di coda. Credo sia un segno di gratitudine verso il Cinema: il pensiero corre alla situazione che abbiamo vissuto l’anno scorso di questi tempi. Non vogliamo tornare a quella situazione, non vogliamo farci trascinare dai terrapiattisti e dai complottisti creduloni e fanatici, disseminatori di false notizie.
All’ingresso nel cinema abbiamo mostrato il certificato di vaccinazione (Green Pass); speriamo di poterci liberare dalle mascherine, ma per ora va bene così. A Firenze, dal 4 dicembre e per tutto il periodo natalizio, dobbiamo mascherarci anche per strada, per precauzione.
Rinuncerò al mezzo sigaro toscano in piazza Santa Maria Novella (non credo di riuscire a fumare senza togliere la mascherina). Va bene così. Basta non si torni a parlare di chiuderci in casa, di chiudere le scuole, i musei, i cinema, i teatri.
Nonostante il film non sia un capolavoro, il novantunenne regista e attore conferma la sua capacità di rendere memorabili alcuni momenti; ho interpretato l’applauso finale, a cui mi sono associato volentieri, come un omaggio al film, ma, soprattutto, all’uomo.
Seduti nella stessa fila, dopo la poltrona vuota, c’erano un signore anziano e i due nipotini di nemmeno dieci anni. I due bambini, gli unici in sala, erano ai due lati del nonno. Non hanno comprato pop corn, non hanno masticato schifezze (alcuni adulti non riescono a farne a meno), seguivano attenti e ogni tanto si scambiavano qualche piccolo commento o qualche risatina su ciò che accadeva sullo schermo; erano molto divertiti dal gallo.
Ho pensato che da adulti ricorderanno di avere visto al cinema uno degli ultimi film di Clint Eastwood; da vecchi diranno: «Il nonno ci portava al cinema in via del Sole … l’hanno chiuso da tanti anni … bel ricordo!». Avrei abbracciato quell’uomo (se l’avessi conosciuto e non ci fosse stata la pandemia): ha portato i due nipotini a vedere un film in lingua originale con i sottotitoli, non i soliti prodotti preconfezionati e predigeriti. Come ha fatto a convincerli? Si sono fidati del nonno e si sono divertiti, sanno leggere e forse a scuola hanno cominciato a studiare la lingua inglese. Ogni tanto seguivo da dietro la mascherina, con la coda dell’occhio, il bambino più vicino; nei momenti di tensione lo vedevo attento; alla fine i tre, nonno e nipoti, hanno applaudito entusiasti insieme agli altri.
Lo sguardo sereno, amichevole, che ci siamo scambiati con quell’anziano sconosciuto, mentre conduceva i bambini fuori della sala, è stato, per me, un abbraccio di stima, di ammirazione.” (8 dicembre 2021)