
22 febbraio 2025 h 15.00
Cinema Odeon Pisa – piazza San Paolo all’Orto
Altro film del regista: Il male non esiste [There is no evil]
Religioni e/o superstizioni
// Il seme del fico sacro (Islam) // Il mio giardino persiano (Islam) // The Miracle Club (Lourdes) // C’è ancora domani (il matrimonio cattolico) // Kafka a Teheran (Islam) // Rapito (Il Papa Re) // Benedetta (Cattolicesimo) // Holy Spider (Islam) // Profeti (Islam) // Chiara (Cattolicesimo) // Gli orsi non esistono (Islam) // Alla vita (Ebraismo ortodosso) // Il male non esiste (Islam) // Un eroe (Islam) // The Youngest (Ebraismo ortodosso) // Covered up (Ebraismo ortodosso) // Corpus Christi (Cattolicesimo) // Un divano a Tunisi (Islam e psicanalisi) // The dead don’t die (nel commento: fede e dubbio) // Mug Un’altra vita (Cattolicesimo polacco) // Il settimo sigillo (il silenzio di Dio) // L’apparizione (Cattolicesimo) // Cosa dirà la gente (Islam) // Io c’è (religione e denaro) // The Young Pope (Cattolicesimo) //
Iman ha lavorato sodo per raggiungere la posizione attuale che gli garantisce un buon stipendio e alla sua famiglia (moglie e due figlie) una casa più grande e la lavastoviglie. Ha dovuto anche accettare compromessi.
Quali compromessi? Non viene specificato, ma capiamo che in Iran c’è una concorrenza spietata per raggiungere i posti migliori. Non i posti di comando – quelli non si toccano, sono riservati agli ayatollah che custodiscono la fede e impongono a tutti la sottomissione (è il significato della parola Islam).
Il film comincia con una preghiera di Iman in una moschea solitaria: ribadisce la sottomissione dopo avere ricevuto la promozione a procuratore generale del tribunale rivoluzionario.
Poi va a casa dove trova ad accoglierlo la moglie obbediente, completamente sottomessa.
La moglie si occupa dei problemi pratici: porta avanti la casa – la vediamo lavare le pentole in modo parossistico, soprattutto quando la situazione si squilibra – parla con le figlie adolescenti, le controlla e cerca di trasmettere la sua disponibilità alla sottomissione.
Quando il marito è in casa la moglie si dedica interamente a lui: lo lava, gli taglia i capelli, gli accorcia la barba, allontana dall’uomo ogni problema domestico («Vostro padre non deve sapere», «Non fate sentire a vostro padre» ripete quando c’è una discussione con le figlie).
Vediamo la donna aiutare l’uomo a lavarsi, mai vediamo l’uomo aiutare la donna a lavarsi. Dunque non è un gesto di intimità tra due persone che si amano. Non c’è reciprocità, non c’è sesso, tenerezza. Testimonia il servilismo della donna nei confronti dell’uomo. È un gesto analogo al sostegno che un adulto dà a un bambino.
La moglie di Iman lo tratta come un bambino. Questo vogliono gli iraniani fedeli alla tradizione e alla religione. Gli uomini vogliono essere trattati come bambini dalle mogli: non essere giudicati o contraddetti. Con un po’ di psicanalisi spicciola si può dire che non hanno superato la fase edipica: la donna tutta per sé, nascosta alla vista degli uomini. Nessuno deve poter competere nel possesso esclusivo; la moglie non deve avere la possibilità di fare confronti. Se potessero la terrebbero chiusa in casa, prigioniera. Purtroppo qualche volta possono.
Suppongo che anche nel comportamento sessuale ci sia una disparità tra uomo e donna. Probabilmente vige un tacito accordo: l’iniziativa spetta sempre unicamente all’uomo. Potrei essere smentito in quanto la mia opinione non è supportata da ricerche sull’argomento (“Sesso e fanatismo religioso”). È solo una supposizione: se tanto mi dà tanto … … .
Dopo la fase dell’innamoramento l’accordo sessuale è complicato per tutti: la vita è dura dappertutto; è più dura dove l’irrealtà e il fanatismo sono spacciati per fede.
In casa l’uomo è “dio”; a lui si deve sottomissione; fuori casa il dio lavora per alzare il livello economico della famiglia e si sottomette a sua volta. I superiori hanno altri superiori a cui sottomettersi, e così via, fino ad arrivare agli ayatollah, alla “guida suprema”. Gli iraniani del regime hanno completamente perso il senso del ridicolo se chiamano guida suprema il capo della banda. Manca poco che lo chiamino megadirettore galattico, come il padrone della megaditta nei film di Fantozzi.
I superiori vogliono che il procuratore del tribunale rivoluzionario chieda la massima pena (l’impiccagione) per ragazzi che il procuratore non sa che cosa abbiano commesso. Non ha avuto il tempo di leggere i verbali, sicuramente falsi, redatti dalla polizia morale: gli arresti sono stati tanti in seguito alle manifestazioni di protesta per l’assassinio di Mahsa Amini. Bisogna dare una lezione, bisogna punire i manifestanti con il massimo della pena, senza neanche avere letto i verbali degli aguzzini. Il procuratore generale sa che quei verbali sono falsi, comunque non li ha letti; ha un problema di coerenza con i principi ai quali vorrebbe attenersi. Capisce che è in gioco il rispetto nei confronti di se stesso. C’è un limite che non vorrebbe superare. Il superiore che lo ha “raccomandato” per quel posto lo convince a scavalcare anche questo limite. Da bravo bambino, ubbidiente, Iman si sottomette ancora una volta. Perde il rispetto di sé, si trasforma: non è più il padre che ama le figlie e la moglie. Mosso dal sospetto, può compiere qualunque azione poco dignitosa.
Le figlie adolescenti sanno che il regime diffonde falsità attraverso la televisione. Frequentano la scuola, l’università, conoscono le compagne arrestate e colpite con i pallini nel corso delle manifestazioni; hanno fonti di informazione alternative, vanno sui siti internet, si passano i video girati dalle compagne di scuola, assistono alle cariche brutali della polizia morale, vedono le ferite provocate dai pallini sparati in faccia alle manifestanti che chiedono solo di non essere obbligate a nascondere i capelli sotto un cencio medioevale (ricordiamo sempre Oriana Fallaci!). Vogliono giustizia per Mahsa Amini. Le ragazze sanno che la loro compagna non è morta in seguito a una grave malattia di cuore, come la televisione va ripetendo. Mahsa Amini è stata uccisa dalle bestie della polizia morale.
Una compagna delle ragazze viene colpita a un occhio. La portano a casa, cercano di proteggerla, ma la mamma, dopo avere estratto i pallini dalle ferite, la abbandona nelle mani della polizia. La ragazza sparisce.
La moglie di Iman è completamente sottomessa all’uomo e alle autorità; è una schiava, un cagnolino obbediente. Ha modo di pentirsi quando Iman perde completamente la testa.
Su questo dramma si svolge la trama, che ruota intorno a una pistola sparita e diventa un thriller in salsa islamica.
Nell’ultima parte il film perde la semplicità che caratterizza i precedenti di Mohammad Rasoulof e di altri registi che in questi anni si sono impegnati a denunciare il regime degli ayatollah e le conseguenze del dominio assoluto di fede e tradizione. Il film si carica di troppi simboli e, nella parte finale, diventa un esercizio di regia alla Hitchckock.