1 giugno 2023 h 16.50
Cinema Odeon Pisa – piazza San Paolo all’Orto

Temi

Nuovo Cinema Corea
// Ritorno a Seul // Cane che abbaia non morde [Barking dogs never bite] // Next Sohee // Miracle: Letters to the President // Nido di vipere // Parasite //

Famiglia (genitori e figli)
// Come pecore in mezzo ai lupi // Ritorno a Seul // Beau ha paura [Beau is afraid] // Miracle: Letters to the President // The Whale // Le vele scarlatte // The Fabelmans // Marcel! // True mothers // Una vita in fuga // One second // Cry Macho // È stata la mano di Dio // Madres paralelas // Raw /e/ Titane // Tre piani // La terra dei figli // Favolacce // Tutto il mio folle amore // Un affare di famiglia // La stanza delle meraviglie // Lady Bird /e/ Puoi baciare lo sposo // Tre manifesti a Ebbing, Missouri //

Anaffettiva. È il tratto psicologico principale della ragazza che ha lineamenti coreani ed è sempre vissuta in Francia.
Si chiama Freddie, diminutivo di Frédérique; «Ha i tratti tipici della Corea antica e ancestrale» dicono i nuovi conoscenti quando va per la prima volta in Corea del Sud.
È partita dalla Francia per una vacanza di quindici giorni. Aveva acquistato un biglietto aereo per Tokio, i voli sono stati bloccati da un tifone, la compagnia aerea ha proposto ai passeggeri un’alternativa all’attesa: un volo per la Corea del Sud. Freddie è in vacanza, non vuole perdere tempo: ha accettato il volo alternativo.
È nata in Corea del Sud da genitori coreani che, in un paese distrutto dalla guerra negli anni cinquanta (la più recente) e afflitto da povertà e sfruttamento, non potendo mantenere la bambina la diedero in adozione.
Freddie ha 25 anni, ignora completamente la lingua e la cultura del paese in cui è nata. È molto socievole e, arrivata a Seul, fa subito amicizia con una ragazza che lavora come interprete e le fa da guida agli usi e costumi dei giovani coreani.
Ha studiato pianoforte, suona da dilettante e ogni tanto, nel corso del viaggio, sentirà una musica lontana; non è immaginazione: un’altra persona, interrogata da lei, dirà: «È vero, ora che mi ci fai pensare, la sento anch’io». Forse la percezione è resa più acuta da un ricordo dei primi mesi di vita.
I bambini dati in adozione erano affidati a un istituto, poi, seguendo una trafila che poteva durare mesi, ai genitori adottivi.
Il regista Davy Chou trasporta, in parte, nel film un’esperienza autobiografica e non ci spiega il mistero della musica lontana avvertita da Freddie, apre solo uno spiraglio nell’ultima scena.
I giovani coreani del film sono riservati; dopo il lavoro vanno al pub dove passano la serata mangiando piatti tipici (sembra roba fritta), ballando, consumando alcolici. Questa è l’impressione che si ricava dal film; probabilmente la maggioranza dei giovani coreani ha gli stessi gusti, per esempio in campo musicale, e la stessa idea di svago della maggioranza dei giovani europei e americani. Il mondo è diventato piccolo e girando per Seul si vedono gli stessi volti giovanili che si incontrano a Roma o a Parigi.

Freddie ha i modi disinvolti da ragazza francese, fa subito amicizia; è sicura di sé, disinibita: propone a un ragazzo, che non se l’aspettava, di fare l’amore, ma non si lega a lui. Respinge con durezza il ragazzo coreano dopo che si è innamorato di lei.
Quando parla al telefono con la madre adottiva sembra infastidita dalla sua sollecitudine, dalla sua preoccupazione: «Dove sei? Non avevi detto che saresti andata in Giappone? Che cosa fai in Corea? Sta attenta!».
Si avverte la preoccupazione della madre adottiva per questo viaggio non programmato.

Casualmente Freddie si mette in contatto con la società che gestisce le pratiche di adozione e, dopo molte esitazioni, chiede di conoscere i suoi genitori biologici.
Le ricerche negli archivi del centro Hammond hanno buon esito.

La madre e il padre si sono separati. Alla richiesta di un incontro, che avviene attraverso il centro di adozione, il padre biologico accetta, la madre non risponde.
Per incontrare il padre Freddie deve recarsi, accompagnata dall’amica interprete, in una cittadina distante da Seul; durante il viaggio in pullman, mentre è un po’ assopita, ha un impulso improvviso: chiede insistentemente all’autista di fermarsi, di cambiare direzione; vuole tornare a Seul.
È un momento di smarrimento; l’amica l’aiuta a calmarsi.
Suscita comprensibile angoscia la prospettiva di trovarsi di fronte a una parte di sé che non si è mai conosciuta ed è sepolta nell’inconscio. Freddie sta per eliminare il mistero, per vedere il volto e scoprire i modi del padre biologico, che non potrà più immaginare, dovrà ricordare.
C’è anche, suppongo, la paura della delusione. Tutto qua? Mio padre è questo piccolo uomo? Non è il cavaliere solitario, l’eroe, l’artista che avevo immaginato?

Il padre è un piccolo uomo, come i padri di tutti.
Freddie lo guarda con curiosità: ha formato una famiglia accogliente; sembra deluso dalla vita, tende a umiliarsi, non smette di piagnucolare, di scusarsi.
L’attore che lo interpreta ha una bella voce; solo le parti in francese sono doppiate, quando parlano in coreano si sente la voce vera degli attori; mi ha colpito la voce di Oh Kwang-rok, che interpreta il padre: è profonda, sembra venire da sotto terra.

Bella la soluzione di un doppiaggio parziale: siamo messi nella stessa difficoltà di Freddie, aiutati dall’amica interprete, quando c’è, o dalla moglie del padre, che conosce un po’ di inglese. In molte situazioni sentiamo parlare in coreano, non ci sono sottotitoli, non ci sono aiuti. Capiamo tutto, grazie alle capacità espressive dei bravissimi attori. Anche il volto immobile da ragazza fredda e anaffettiva di Freddie, inquadrato opportunamente, comunica: noia, fastidio, distacco.

Il padre biologico si scusa in continuazione e tende troppo ad alzare il gomito tenendo in mano un bicchiere contenente qualcosa di forte che ingoia in un sorso solo.
Accoglie la figlia francese in compagnia della seconda moglie, una donna dolce, delle due figlie, della nonna paterna.
Anche la nonna, che svolge un ruolo importante nella famiglia tradizionale coreana, manifesta un forte rimorso nei confronti di Freddie.

Il padre la porta a visitare il paesino di pescatori dove è nato, le mostra l’isolotto dove giocava da bambino; vorrebbe agganciare alla sua realtà una ragazza che viene da un’altra storia, se non da un altro mondo.
Insiste per regalarle qualcosa, tra gli oggetti esposti sul marciapiede da una venditrice ambulante. Dai gesti si capisce che ci tiene molto, vuole che Freddie scelga qualcosa.
Lei sceglie un paio di ballerine, le scarpette che, rivela all’amica, odia. Le abbandonerà accanto a una panchina non appena si sarà liberata dalle figure ingombranti della sua famiglia biologica.

Insistono per trattenerla qualche giorno.
Il padre vorrebbe riprenderla con sé, trovarle un marito coreano, secondo un costume, credo, diffuso fuori delle grandi città, anche se non sembra di trovarci in campagna: dalle immagini dall’alto si ha l’impressione che quella parte della Corea del Sud sia stata invasa da una colata di cemento. Solo il mare non è ricoperto da autostrade, fabbriche, uffici, torri, centri commerciali.

Di notte fanno dormire Freddie accanto alla nonna, che l’accarezza dolcemente e sembra particolarmente scossa dai rimorsi. L’accarezza e chiede perdono a Dio.

Capiamo, anche se Freddie non manifesta sul volto ciò che prova, che tutta questa sollecitudine, queste carezze, quest’abbondanza di sentimenti, non le piacciono. Il giorno dopo chiama un taxi per tornare a Seul.
È raggiunta dal padre davanti all’ostello dove dorme: l’uomo è disperato, ubriaco, fa scappare un ragazzo che Freddie stava per portarsi a letto, le chiede di restare in Corea; lei lo allontana bruscamente.

Di questa vacanza non rimane nulla, nessun legame. Spariscono dalla vita della ragazza: l’amica interprete, i nuovi conoscenti, il ragazzo innamorato trattato malissimo, il padre biologico, avvinazzato e pieno di rimorsi, la famiglia appiccicaticcia.
La ragazza anaffettiva rompe ogni legame.

Passano due anni. Siamo di nuovo a Seul: Salone degli armamenti.
Freddie partecipa come “ragazza vetrina” (public relations) di un’industria impegnata nel commercio delle armi.
Ha studiato la lingua, è molto truccata; in un pub conosce un intermediario di affari francese che le piace; un po’ conversano, poi gli dice: «Una sveltina o andiamo in camera tua?»
È il compleanno di Freddie, un giorno malinconico in cui si fa sempre la stessa domanda: «In questo momento mia madre starà pensando a me?»

Altri cinque anni, siamo ai giorni nostri (2020 – 21): vediamo le mascherine.
Freddie ha ripreso contatto con la famiglia del padre; va in macchina a fargli visita insieme a un ragazzo francese, Maxime, con cui sembra che abbia instaurato un rapporto affettuoso.
Ha avuto un incidente di macchina che le ha provocato la frattura di una costola; per riattaccare i due pezzi hanno dovuto mettere un gancio. Fa vedere al padre la radiografia sul cellulare.
Il padre ha accettato la sua realtà, ha capito che Freddie può essere solo una gradita ospite francese; ha ridotto il consumo di alcol.
Forse un gancio ha riattaccato due parti separate di Freddie.
Alla fine del pranzo il padre fa sentire agli ospiti un pezzo musicale che ha realizzato con un programma al computer.
Freddie guarda il padre, lo vede umile, timoroso di un giudizio; le fa pena.
Maxime dice: «Non male per un autodidatta».
In macchina al ritorno lei non vuole tornare in ostello con Maxime, preferisce restare sola.
Gli dice: «Potrei cancellarti dalla mia vita schioccando le dita».
«Cosa?» risponde Maxime.
«Potrei cancellarti dalla mia vita schioccando le dita», ripete.
Un altro legame è finito.

Una persona che ha vissuto la rottura del rapporto con la madre quando era molto piccola, per tutta la vita avrà paura di riprovare il dolore dell’abbandono e il suo compleanno sarà il giorno più infelice dell’anno.

Finalmente Freddie ha la notizia tanto attesa: la madre biologica ha accettato di incontrarla.
L’incontro è tutto in primo piano.
Si vedono i due visi, le mani della donna che accarezza il volto della figlia. Le lacrime. È la prima volta che vediamo Freddie piangere. Forse è la prima volta che piange.
Alla fine dell’incontro la madre le passa un biglietto con una mail.

Un anno dopo.
Freddie sembra più giovane, ha tagliato i capelli, niente trucco, ha uno zaino sulle spalle, gira a piedi; si capisce che ha ritrovato se stessa, vuole conoscere il paese dove è nata.
Entra in un albergo, chiede una stanza.
L’impiegata dell’albergo legge i suoi dati sul passaporto e le dice: «Happy birthday».
È il compleanno di Freddie e questa volta non è un giorno triste.
In attesa che la camera sia pronta va a fare pipì, si siede sul water, tira fuori lo smartphone, scrive un messaggio per la madre biologica.
Le scrive che ora è tranquilla, felice.
Sullo schermo dello smartphone il traduttore istantaneo traduce in coreano.
Copia l’indirizzo dal pezzo di carta che la madre le ha dato nel primo e unico incontro e invia.
Il sistema le comunica che non riconosce l’indirizzo: mail delivery eccetera.

Forse la madre biologica ha un problema che la spinge a evitare di far entrare nella sua nuova vita la figlia data in adozione. Però Freddie è riuscita a conoscerla, a conoscere entrambi i genitori: non sono più figure astratte e evanescenti, sono reali, non sono immagini di un sogno.
Tutti i figli devono emanciparsi dai genitori; ora può farlo anche Freddie.
Va verso l’uscita, vede un pianoforte. Si siede e comincia a suonare. Non sono sicuro, ma credo rievochi il motivo che ha in testa e ogni tanto sente come un ricordo lontano.
Fine

Non so perché questo film mi abbia tanto colpito (sicuramente c’entra la qualità della regia e la bravura degli attori).
L’ho rivisto volentieri dopo pochi giorni, cosa che faccio raramente.
Volevo capire bene; nel commento c’è molta interpretazione: il regista lascia agli spettatori indovinare i pensieri e i sentimenti dei protagonisti.