25 marzo 2023 h 17.00
Cinema Spazio Alfieri Firenze – via dell’Ulivo, 6

Nuovo Cinema Corea
// Ritorno a Seul // Cane che abbaia non morde [Barking dogs never bite] // Next Sohee // Miracle: Letters to the President // Nido di vipere // Parasite //

Famiglia (genitori e figli)
// La sala professori (la scuola è un’estensione della famiglia) // Enea // Club Zero // Come pecore in mezzo ai lupi // Ritorno a Seul // Beau ha paura [Beau is afraid] // Miracle: Letters to the President // The Whale // Le vele scarlatte // The Fabelmans // Marcel! // True mothers // Una vita in fuga // One second // Cry Macho // È stata la mano di Dio // Madres paralelas // Raw /e/ Titane // Tre piani // La terra dei figli // Favolacce // Tutto il mio folle amore // Un affare di famiglia // La stanza delle meraviglie // Lady Bird /e/ Puoi baciare lo sposo // Tre manifesti a Ebbing, Missouri //

Famiglia (fratelli e sorelle)
// Come pecore in mezzo ai lupi // Miracle: Letters to the President // Come prima // Il potere del cane // Marx può aspettare // Le sorelle Macaluso // I fratelli Sisters // Mirai //

Un altro film sul senso di colpa.
Abbiamo visto, in The Whale, il senso di colpa in salsa americana.
Il protagonista ha abbandonato la moglie e la figlia piccola per un amore impossibile. Lo studente con il quale aveva stabilito un rapporto affettivo si è suicidato; la figlia, divenuta adolescente, lo odia.
È diventato una balena che riempie lo stomaco di pizza molle, verniciata con una roba rossastra; in alternativa s’ingozza di panini e di qualsiasi cosa trovi aprendo il frigorifero.
Il senso di colpa non si attutisce riempiendosi di cibo: non c’è uno stomaco abbastanza grande per contenerlo.

In Miracle: Letters to the President vediamo il senso di colpa in salsa coreana. Niente abbuffate. I cibi sembrano vegetariani e sono assunti educatamente con i bastoncini. L’unico eccesso è costituito dalle sigarette senza filtro che il macchinista dei treni, nei momenti di tensione, fuma una dopo l’altra.
I volti dei protagonisti esprimono una tristezza senza fine, mentre la balena americana riesce addirittura a ridere sulla propria condizione.
I coreani, in questo film, reagiscono ai sensi di colpa con la chiusura in se stessi. L’incomunicabilità si trascina per anni, crea equivoci di lunga durata.
Mai uno scambio sincero, occhi negli occhi; il padre guarda diritto, come non vedesse il figlio. Grande pena per l’uomo e per il ragazzo. Sono obbligati dall’orgoglio a non guardarsi negli occhi.
Il figlio crede che il padre ce l’abbia con lui, il padre crede che il figlio ce l’abbia con lui; l’equivoco dura quasi fino alla fine del film (tanti anni), fino a quando, per fortuna, la situazione è sbloccata da un’intervista del figlio al giornale dei ferrovieri e da un concorso molto importante a cui il figlio è invitato a partecipare da un bravo professore: potrebbe diventare l’unico ricercatore coreano alla Nasa, negli Stati Uniti. È il sogno di ogni studente coreano.
In tutti gli anni di incomprensioni e di dolore i protagonisti del film parlano poco: si barricano nelle stanzette e dentro al proprio io. Per fortuna c’è il sorriso celestiale di Jung-min Park, l’attrice che interpreta la sorella del protagonista; per fortuna c’è l’affetto eterno e commovente tra fratello e sorella.

Il senso di colpa del padre è dovuto al rispetto eccessivo delle regole. Più che règole erano tégole negli anni ottanta in Corea, tegole sulle spalle dei lavoratori.
Il macchinista del treno, per non farsi sostituire sul lavoro, arriva tardi dalla moglie, che muore di parto. Quell’uomo buono, ma rigido, rispetta le regole.
Gli è rimasto il figlio nato da quel parto e la figlia maggiore.
Il figlio è bravissimo a scuola; la figlia maggiore si è dedicata al fratello.
In quarta elementare il bambino è premiato con una coppa; il padre non lo accompagna alla cerimonia di premiazione: è in servizio, non si fa sostituire.
È fatto così: cascasse il mondo, rispetta le regole, anche le regole sbagliate. Il mondo casca: proprio addosso a lui.
I due ragazzi, dopo avere partecipato alla premiazione, tornano a casa. Insieme ad altre persone camminano sui binari. Il treno, condotto dal padre, per poco non li investe.
Per quale motivo gli abitanti del villaggio camminano ogni giorno sui binari per raggiungere la più vicina stazione? Perché nel villaggio non c’è la stazione dei treni: il governo ha deciso che costa troppo. I binari sono l’unica strada per uscire dal villaggio sperduto sulle montagne e recarsi a scuola o al lavoro.
Ogni giorno gli abitanti di tutte le età sono costretti a camminare sui binari per cinque ore per raggiungere la stazione più vicina.
Sono binari unici che s’inerpicano su un lungo ponte e attraversano una lunga galleria; ogni volta per gli abitanti del villaggio è una roulette russa: il treno delle ore … è passato o è in ritardo?
Gli abitanti del villaggio conoscono l’orario dei treni e aspettano prima di entrare nella galleria o di percorrere sui binari il ponte che sovrasta il fiume. Ma il treno potrebbe essere in ritardo. Un altro problema è dato dai treni merci, che non hanno un orario fisso e corrono a grande velocità.

Tra le persone che hanno rischiato di finire sotto il treno e si sono scansate all’ultimo momento c’è la figlia del macchinista che, per salvare la coppa vinta dal fratello – la coppa stava per cadere nel fiume – si sporge e precipita giù. La ragazza muore, il suo corpo non si trova e il bambino rimane solo.
Il padre è devastato dal senso di colpa. Se si fosse fatto sostituire, la moglie non sarebbe morta; se si fosse fatto sostituire, avrebbe accompagnato lui i due ragazzi: la figlia non sarebbe morta.

I coreani (quelli del film) se la prendono con se stessi, mai con il grasso deputato che vive in una grassa villa e viaggia in macchina con l’autista.
Lui e la sua famiglia non rischiano di finire sotto il treno; abitano nel paese dove si trova il necessario: la stazione e la scuola. Il deputato non soffre di sensi di colpa perché è troppo stupido per soffrirne. Riesce addirittura a sembrare generoso, a fingere di essere generoso, ma non s’impegna per far costruire la stazione.
Non si sente un grido di protesta per tutto il film.
I coreani se la prendono con se stessi, mai con il presidente, a cui il ragazzo indirizza centinaia di lettere con la richiesta di costruire e mettere in funzione una stazione dei treni per salvare la vita agli abitanti del villaggio.
Il presidente non si degna di rispondere alle richieste del ragazzo, ma lui non demorde: ha perduto la sorella a causa della mancanza della stazione.

Come gli indiani dei fumetti, quando va a scuola il ragazzo appoggia l’orecchio sui binari per sentire se il treno sta per arrivare. Poi affronta, insieme agli altri, la galleria e il ponte. L’angoscia si ripete ogni giorno.
Gli abitanti del villaggio decidono: costruiremo noi la stazione. Tutti s’impegnano in questa impresa e avviene il miracolo del titolo inglese (non so se la parola “miracle” si trovi anche nel titolo coreano).

Il film parte lentamente. Dopo l’incidente, quando ci viene descritta l’adolescenza di questo ragazzo intelligente, studioso, rimasto solo, addolorato per la perdita della sorella, privo di un rapporto con il padre, un po’ ci annoiamo. Poi, in un flashback, assistiamo al ritorno a casa del bambino dopo la perdita della sorella, vediamo che cosa l’amore può fare (la sorella morta è presente nella stanzetta del ragazzo, lo abbraccia, gli parla come fosse viva), ci crediamo perché il regista è capace di farcelo credere, ci commuoviamo, partecipiamo alla psicologia dei personaggi, che sembrava troppo lontana dalla nostra, e, all’inizio, ce li rendeva estranei.
Dopo il flashback ci affezioniamo al ragazzo disperato, privato del sorriso celestiale della sorella; comincia a piacerci, addirittura, la buffa figlia del deputato, che all’inizio avevamo odiato (il padre no, continuiamo a odiarlo fino alla fine, e, soprattutto, odiamo il presidente, che non risponde alle lettere e non appare nel film).

Ci affezioniamo al povero macchinista rispettoso delle regole, al suo volto devastato dal senso di colpa, al suo sguardo fisso davanti mentre guida il treno, mentre ostinatamente non porta gli occhi sul figlio, mentre si immerge nel fiume per suicidarsi ma si ferma in tempo per non lasciare solo l’ultimo bene che gli è rimasto.
Gli vogliamo bene quando trova il coraggio di ribellarsi a una regola sbagliata e decide di testa sua: «Il treno farà sosta nella nuova stazione per dieci minuti»; gli vogliamo bene quando dice: «Accompagno io mio figlio a Seul».
Un bel film. Cresce lentamente ma lascia il segno.