16 giugno 2024 h 17.30
AppleTV
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Suspense (alta tensione: thriller e/o horror)
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Un film su una psicosi: Doppia pelle, di Quentin Dupieux. Titolo originale: Le Daim. Si trova su AppleTV, su Amazon Prime e su altri network. Mi è sembrato perfetto.
Quentin Dupieux è sceneggiatore e musicista con lo pseudonimo Mr Oico. I suoi film sono completamente diversi tra loro. Questo dimostra che il regista dispone di molte frecce al proprio arco e non si ripete. Lo stile ricorda un grande, uno dei più grandi, purtroppo un po’ dimenticato: Marco Ferreri.
Siamo in Francia. Georges – interpretato da Jean Dujardin – ha chiuso ogni rapporto con gli altri, si è separato dalla moglie, è alla guida della sua automobile. Prima di uscire dall’autostrada si ferma all’autogrill. Fa il pieno, va alla toilette, si lava le mani nel lavandino, si guarda allo specchio, guarda la giacca di tessuto misto che indossa; il suo viso esprime disappunto. Si toglie la giacca e la butta nel water.
Questo è il primo gesto assurdo, a cui seguiranno altri. Assurdo perché avrebbe potuto buttare la giacca nella spazzatura, abbandonarla per strada, bruciarla. Avrebbe potuto eliminarla facilmente con gesti ecologicamente scorretti, ma non assurdi.
Invece spinge col piede per farla passare dallo scarico, senza riuscire, naturalmente. Lo scarico si intasa e l’acqua fuoriesce dal water mentre l’uomo si allontana. È il primo gesto assurdo.
Risale in macchina. Riprende a guidare, esce dall’autostrada, si dirige verso strade di montagna. La musica segnala che qualcosa sta accadendo.
Raggiunge una casa dove compra una giacca di pelle di daino, pelle naturale al cento per cento, prezzo elevato. Il venditore assicura: made in Italy (garanzia di qualità). Riceve, insieme alla giacca, in omaggio, una telecamera digitale.
La musica segnala, quando si inerpica con la macchina su altre strade di montagna, che la situazione è solo apparentemente normale.
Georges raggiunge un albergo.
Nella camera d’albergo si guarda allo specchio, guarda la giacca con ammirazione, fra sé e sé mormora: «Farei una strage». Farebbe una strage? Questa frase è misteriosa e inquietante.
Il film è basato interamente sul legame forte, affettivo, tra un uomo che ha perduto tutto e un oggetto.
Vengono in mente alcuni film di Marco Ferreri. El cochecito (1960): un vecchio ha un forte legame emotivo con una carrozzina da invalido di cui non avrebbe bisogno. La carrozzina gli consente di inserirsi in un gruppo, di fare “passeggiate” con gli altri, di superare la solitudine.
Soprattutto penso al film “I love you”, con Christopher Lambert innamorato di un portachiavi. Questo film del 1986 si può scaricare gratuitamente da youtube: basta scrivere “Marco Ferreri, I love you”. Se è sfuggito, consiglio fortemente di vederlo.
Marco Ferreri apparteneva a un’epoca più complessa dell’attuale, nel senso di cerebrale, riflessiva, contorta: un’epoca di nevrosi.
Quentin Dupieux appartiene alla nostra epoca, che può essere rappresentata dalla psicosi.
Negli ultimi decenni dell’altro secolo i personaggi che più amavamo al cinema erano nevrotici (Nanni Moretti, Massimo Troisi, Woody Allen, Dustin Hoffman di “Il laureato”, …). Anche le donne ci piacevano nevrotiche: i personaggi femminili dei film di Antonioni, di Godard, di Truffaut. Ora non si fa altro che parlare di pazzi, per esempio nel più recente di Yorgos Lanthimos, Kinds of Kindness: tre racconti, personaggi principali e secondari completamente fuori di testa. Si potrebbero fare altri esempi, ma credo che chi va al cinema condivida questa impressione.
Il nevrotico avverte la complessità, soffre perché non riesce ad adeguarsi; dai suoi tentativi, dai suoi pensieri nasce la comicità. Lo psicotico, invece, riduce la complessità, vive come se la realtà fosse schematica, infantile; trova soluzioni semplici a problemi complessi.
Oggi tutto è semplice, digitale. A una domanda angosciosa si risponde: sì, no; bianco, nero; uno, zero. La risposta digitale ai problemi del mondo a volte è efficiente, a volte è folle.
È successo qualche anno fa: qualcuno ha manipolato il freno di una funivia senza porsi il problema delle possibili conseguenze. L’impianto ogni tanto si bloccava per l’intervento di un meccanismo di sicurezza. Soluzione: stacchiamo il meccanismo di sicurezza. È molto più semplice togliere il freno di emergenza anziché fermare la funivia, smontarla pezzo per pezzo fino a trovare la causa del blocco.
Avrà agito un interesse economico? Forse sì, forse no: tocca ai giudici valutare questo aspetto. Senza entrare nei dettagli di un processo che potrebbe essere ancora in corso mi ha colpito una informazione trovata sui giornali: pare che il tecnico avrebbe ricevuto lo stipendio anche se la funivia fosse stata ferma per diversi giorni. Questo mi fa pensare che una molla potrebbe essere stata la tendenza attuale a cercare soluzioni semplici ai problemi complessi.
Sì, no; bianco, nero; 1, 0.
Per ogni problema si immagina un complotto mondiale dei poteri forti e si trova la soluzione semplice. Si è arrivati a negare la scienza. Prima di Galileo Galilei ignoravano il metodo scientifico; oggi lo conosciamo, ma molti lo considerano troppo complicato. È più semplice affidarsi alla dietrologia, a un guru, a una teoria strampalata. Durante la pandemia ne abbiamo sentite di tutti i colori.
Torniamo al film, ma prima: solita avvertenza. In questo post si fa riferimento specifico alla trama per cercare di trarne riflessioni, anche perché come spettatore non mi sono mai posto il problema dello spoiler. Rivedo volentieri i film che mi sono piaciuti e non m’importa di conoscerne la trama. A me succede, credo anche ad altri: finché sono davanti allo schermo metto in pausa ciò che conosco, se il regista è capace di catturarmi. Alcuni sono sensibili a questo aspetto, dunque, avvertenza: qui si racconta la trama.
Georges appende la giacca alla spalliera di una sedia, parla con la giacca, la giacca gli parla.
Jean Dujardin muove le labbra quando tocca alla giacca parlare. La giacca parla con la voce dell’attore, con tono diverso, più basso, deciso.
All’inizio è un soliloquio. Poi diventa colloquio. Dopo un po’ le labbra dell’attore sono ferme quando la giacca parla. Prima la giacca si limitava a rispondere al personaggio, poi avvia la conversazione. Alla fine sarà la giacca a indurre Georges all’azione, addirittura lo sveglierà quando si sta riposando dopo una notte di pazzie.
Georges telefona alla moglie; si sente la voce tagliente, priva di emozione, della moglie: «Non voglio sapere dove sei, non esisti più». Georges butta il telefonino nel cestino della spazzatura. Trascorre le giornate andando in giro nei paesini di montagna, riprendendosi con la telecamera.
A una ragazza che lavora in un bar, Denise, si presenta come un regista che sta girando un film. La ragazza è ammirata; il suo sogno è di lavorare al montaggio dei film. Le piace rimontare al computer film famosi; per esempio ha rimontato Pulp fiction di Quentin Tarantino. Il risultato l’ha delusa (ci credo), ma si è divertita. È interessante questa citazione nel momento in cui il film si avvia a diventare di genere pulp. Dupieux cita le fonti a cui si è ispirato.
La moglie di Georges ha bloccato il conto, cosicché l’uomo è costretto a dare la fede in pegno per dormire nell’albergo. Quando è a letto parla con la giacca appesa alla spalliera della sedia. Vorrebbe essere il proprietario dell’unica giacca al mondo. Il sogno si deve realizzare.
Di sera va in giro rubando la giacca ai passanti nelle strade solitarie di montagna. Utilizza un trucco “cinematografico”.
Si presenta come regista in cerca di attori; propone un provino consistente nel mettere la giacca nel portabagagli della macchina e recitare la battuta «Giuro di non indossare mai più una giacca in vita mia».
Molti accettano: un provino per un film non si rifiuta. I giovani mettono la giacca nel portabagagli, recitano la battuta, la macchina parte lasciando sbigottiti gli aspiranti attori.
La follia ha fatto un passo avanti. La trovata rivela il senso dell’umorismo di Quentin Dupieux, che un po’ fa sul serio, un po’ gioca con il personaggio.
Continuano i gesti assurdi di Georges. Ruba il cappello di pelle a un morto; si fa prestare un po’ di soldi da Denise coinvolgendola nel montaggio e nella “produzione del film”; compra gli stivali di pelle di daino. La ragazza gli regala un paio di pantaloni di pelle di daino. È attratta dalla follia di Georges: vuole montare il film; guarda le scene degli aspiranti attori derubati ed è entusiasta. Ha capito che Georges le racconta anche delle balle ma non rinuncia al sogno.
Ora la follia è condivisa: Denise chiede scene più forti, vuole vedere scorrere il sangue.
Il sangue scorre, abbondante (lo immaginiamo) perché l’uomo non usa più il trucco “cinematografico” per rubare la giacca alle persone che incontra; è un sistema troppo lento. Per fare prima le uccide utilizzando una specie di spada che si è procurato. Uccide a colpi di fendente chiunque incontra nelle strade solitarie di montagna, poi sottrae la giacca al morto. Va a cercare le vittime all’uscita dei cinema, dopo l’ultimo spettacolo: realizza (rende reali) gli incubi che gli spettatori hanno visto rappresentati sullo schermo.
Georges fa scavare una buca nella quale seppellisce le giacche che ha sottratto alle vittime. Riprende tutto con la telecamera e dà le riprese alla ragazza per il montaggio.
Denise, sempre più entusiasta e partecipe del progetto, trova altri soldi per completare il film. Ora i folli sono due.
Insieme comprano guanti di pelle di daino al cento per cento. Georges dice al giovane commesso che gli fa presente la possibilità di comprare guanti più economici: «Le sembro uno che indossa il sintetico?». La ragazza aggiunge, rivolgendosi al giovane, che rimane interdetto: «Lui è uno che fa strage».
Georges vuole farsi riprendere così, vestito interamente di pelle di daino: giacca, pantaloni, stivali, cappello, guanti. È felice, corre nel prato, allarga le braccia, ripetutamente grida «Riprendimi, registra!».
Accade una svolta casuale, come sono casuali le svolte nella vita e nel cinema. Georges, che ha ripreso la sua follia, da regista diventa personaggio. Denise, addetta al montaggio, diventa regista. Noi non sappiamo se abbiamo visto il film di Georges, il film di Denise o il film di Quentin Dupieux.