
7 ottobre 2024 h 17.00
Cinema Spazio Alfieri Firenze – via dell’Ulivo, 6
I vecchi
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“Finalement”, regia di Claude Lelouch.
Se gli scienziati, non i terrapiattisti o i testimoni di Geova, ti dicessero che il mondo finirà tra tre anni, tu che faresti?
Inizia con questa domanda l’ultimo film dell’ottantasettenne regista francese, il romantico autore di “Un uomo, una donna” (1966), colonna sonora della fine degli anni sessanta. Bastano le prime note della musica di Francis Lai per richiamare i volti indimenticabili di Anouk Aimée (La dolce vita) e Jean-Louis Trintignant (Il sorpasso). Entrambi, come si dice, passati a miglior vita.
“Un homme et une femme” fu un grande successo di un regista sempre un po’ isolato rispetto ai più famosi suoi connazionali che dettavano legge con la Nouvelle Vague. In disparte ma tranquillo, mai polemico: non voleva costruire un sistema. Fantasia e sentimento erano le sue chiavi d’ingresso all’arte cinematografica.
Nell’ultimo film ha inserito, come in un testamento, l’elenco di tutto il bene e di tutto il male visto in una lunga vita, spezzettandolo in una serie di episodi collegati con un filo conduttore non sempre logico.
Il male.
La guerra: lo sbarco in Normandia. La persecuzione degli ebrei. La violenza: uno stupro accennato e non per questo meno angoscioso. Il tradimento: il furto di una bambina voluta a ogni costo, anche a costo di guadagnarsi l’inferno in questo e nell’altro mondo. Qui c’è un rimando a un film del 1985 di Lelouch: “Partir, revenir” (Partire, tornare). Una portinaia denuncia ai nazisti una famiglia di ebrei perché infastidita dal pianoforte del giovane Salomon; la famiglia riesce a fuggire e a rifugiarsi in un castello, da amici. Poi Hélène (interpretata da Annie Girardot), spinta dalla gelosia, denuncia la famiglia che questa volta non riesce a salvarsi. Hélèn finirà molto male. Finisce male come merita anche la donna che in “Finalement”, per impossessarsi di una bambina, denuncia ai nazisti la famiglia ebrea che abita nel condominio. La bambina cresce e viene a conoscere la verità. L’inferno non basta per punire una colpa così orrenda. La ragazza odierà la donna che l’ha cresciuta con amore, dopo avere scoperto che la sua vera mamma è morta in una camera a gas.
La banalità del male.
L’ipocrisia, l’aridità dei rapporti, le consuetudini che si trasformano in abitudini e infine in prigioni. Una vita apparentemente felice diventa insostenibile. L’avvocato che ha difeso i delinquenti immedesimandosi in loro e riuscendo a trovare le ragioni di ognuno, anche del più squallido e indifendibile, non ce la fa più. Si allontana dal suo mondo, dalla famiglia.
Il bene.
L’allegria, l’umorismo (le barzellette), la natura, l’arte, la libertà, l’amore. Una tromba incontra un pianoforte, come suggerisce l’inutile sottotitolo che i distributori italiani hanno aggiunto al titolo.
Gli incontri casuali cambiano la vita: bisogna agevolarli andando in giro, muovendosi – mangiando, dormendo – come capita. Si può incontrare un allevatore di pecore, un cacciatore o un gruppo costituito da Gesù Cristo e dai suoi discepoli sul Cammino di Santiago de Compostela. Tra i discepoli c’è Giuda, perdonato, riaccolto e sorridente come gli altri.
Nel percorso in autostop da Mont Saint-Michel ad Avignone l’avvocato scappato dalla famiglia e incapace di mentire incontra Dio. Un uomo qualunque dice di essere Dio. Qui Lelouch certamente ricorda “Dio esiste e vive a Bruxelles” (2015) di Jaco Van Dormael; solo un accenno, niente della profondità del film citato.
Un’altra citazione esplicita: “Lezioni di piano” (1993) di Jane Campion.
Claude Lelouch fa meta-cinema: il cinema che parla di se stesso.
Per tutto il film torna il ricordo di Lino Ventura, amico del regista; ci sono immagini tratte dai film e l’attore defunto viene fatto entrare direttamente nella trama. In “Finalement” è presente un’attrice protagonista di molti film del passato, tra i quali “Partir, revenir” del 1985, prima citato: la splendida novantenne Françoise Fabian.
Le citazioni sono superficiali: Claude Lelouch ha sempre avuto la leggerezza di un navigatore di superficie, ha sempre lasciato ai suoi colleghi intellettuali l’esplorazione sottomarina.
In qualche modo la domanda iniziale ritorna per tutto il film, molto concreta.
Solo all’età di Lelouch è concreta? No. Anche a settantasette anni, a cinquantasette, a … ventisette … a sette anni, a sette mesi e anche meno.
Alcuni dialoghi, inaspettatamente all’inizio, si trasformano in canzoni, belle canzoni costruite su una frase ripetuta. È un film musicale, pieno di digressioni: è un pastiche, sono fusi insieme diversi registri. Viene un momento in cui si abbandona la trama e ci si lascia andare. Non si può pretendere la realtà e la logica in un film surreale. Dal momento che racconta la follia e la poesia dei sentimenti, la trama non può non essere un po’ folle.
Testimonianza interessante (Rossella Pozza, Vice Presidente del Cinecircolo Romano e membro del Sindacato Critici Cinematografici Italiani): “Curiosità, mentre uscivamo dalla anteprima stampa del film, spettacolo serale alla sala Darsena, a titoli di coda tutti scorsi e letti, a luci accese, abbiamo fortuitamente incrociato Nanni Moretti, che aveva assistito alla proiezione del film, il quale ha salutato me e Catello con un gran sorriso ed inusitata cordialità. Ho allora colto l’occasione per chiedergli se il film gli era piaciuto. La sua lapidaria (e forse diplomatica?…) risposta: «È quello che vuol essere!».”
Catello Masullo è il Presidente del Cinecircolo Romano.
A me la risposta di Nanni Moretti non sembra diplomatica. Claude Lelouch fa i film che vuole, come vuole. Prendere o lasciare. Io prendo.