9 settembre 2024 h 16.30
Cineplex Pontedera (PI) – via Tosco Romagnola, 235B
Altro film del regista: // Hammamet //
“La Storia siamo noi“
// Campo di battaglia (la prima guerra mondiale) // La zona d’interesse (la penetrazione del nazismo nelle coscienze) // Napoleon (1769 – 1821) // Oppenheimer (l’inizio dell’era nucleare) // Casablanca (amore e guerra) // Rapito (il caso Mortara) // “Buongiorno, notte” e “Esterno notte: prima parte” (stesso commento; il caso Moro) // “Esterno notte: seconda parte” (il caso Moro) // Belfast (il conflitto nordirlandese) // L’ombra del giorno (fascismo e persecuzione degli ebrei) // Illusioni perdute (la società francese negli anni della Restaurazione) // Est Dittatura Last Minute (i paesi dell’Est negli anni dell’Unione Sovietica) // 1917 (la prima guerra mondiale) // Jojo Rabbit (nazismo) // Herzog incontra Gorbaciov (la fine dell’Unione Sovietica) // Hammamet (la fine di Craxi) // J’accuse (il caso Dreyfus) // La Favorita (i guai della Gran Bretagna al tempo della regina Anna, 1708) // Cold War (la guerra fredda) //
“Verrà la morte e avrà i tuoi occhi“
// Campo di battaglia // Dostoevskij // Another End // Silent Land (la morte di un immigrato) // Marx può aspettare (la morte di un fratello) // Se c’è un aldilà sono fottuto (la morte di Claudio Caligari) // Hart Island, Bronx (racconto) // La bicicletta (racconto) // Si vedono i primi segni (racconto) // Hammamet (la morte di Craxi) // Il settimo sigillo (la morte) // Il sacrificio del cervo sacro (la maledizione) //
Ricordi
// Fabrizio Dé André Principe libero // Cinema Moderno (articolo) // Don’t Worry // Un affare di famiglia // Lucky // Il settimo sigillo // Il vizio della speranza // Roma // Vice L’uomo nell’ombra // Un’avventura // La paranza dei bambini // Tutto scorre (articolo) // Il sindaco del rione Sanità // Il Paradiso probabilmente // 1917 // L’illogica allegria (articolo) // Il mare non bagna Napoli (libro) // Dopo la liberazione provvisoria (articolo) // Il Cammino di Santiago (articolo) // After Love // Nostalgia // Come prima // Dante // Umberto Eco La Biblioteca del mondo // Mixed by Erry // Animal House // Frammenti di un percorso amoroso // Campo di battaglia //
“Campo di battaglia”, regia di Gianni Amelio. Prima Guerra Mondiale. Un ricordo dell’infanzia: zia Tanina, la sorella di mia nonna, mi racconta del fratello Pietro che partì giovanissimo dal paese agricolo a pochi chilometri da Napoli (oggi è una città) e si trovò a sparare e a fare da bersaglio nelle trincee del lontano Friuli Venezia Giulia, di cui, prima di allora, probabilmente ignorava l’esistenza.
Da quell’avventura Pietro non tornò a casa. Dopo avere inviato alcune lettere e fotografie in divisa da caporale, non diede più notizie di sé. Alla fine della guerra arrivò un telegramma nella sua casa antica, situata nell’antica via Camposcino a Giugliano (NA). Il regio esercito informava la famiglia di Pietro che non era stato possibile trovare il suo corpo. Disperso è il termine usato dal regio esercito, che in fatto di termini era preciso.
Nessun’altra notizia seguì. Pietro fu uno dei tanti soldati italiani morti in quella guerra (650.000 dichiarati ufficialmente, fino a un milione considerando i feriti gravi).
Fu la mia prozia, non mia nonna Carolina, a raccontarmi questi tristi ricordi perché Carolina se n’era andata anche lei nel 1918, portata via dall’epidemia di influenza spagnola (una pandemia) che imperversò dal 1918 al 1920. I veicoli del virus erano stati i soldati tornati dal fronte. A ventotto anni Carolina lasciò tre figlie piccole (una in fasce): Nina, Martina e Ida. Martina, mia madre, nata nel 1916, aveva ricevuto per posta dallo zio Pietro gli auguri per l’onomastico in una delle ultime lettere dal fronte.
Dunque, anche le tre bambine, rimaste orfane di madre, furono vittime della guerra. Nina fu affidata a una zia di Parete (un paesino poco distante da Giugliano), Martina fu affidata allo zio prete e alla zia nubile che viveva con lui (Tanina, contrazione di Gaetanina), Ida, la più piccola, rimase col padre.
Un’altra vittima fu la madre di Carolina e di Pietro. Perse due figli nello stesso anno (1918) e la gente cattiva (mi raccontava zia Tanina) si meravigliava perché al funerale della figlia la povera donna non piangeva («Nun’chiagnə»). Poi ebbe una paralisi e rimase su una poltrona per il resto dei suoi giorni.
Chissà quanti drammi come questo si verificarono nelle povere famiglie di mezzo mondo dallo scoppio della guerra fino al lungo, miserabile dopoguerra che portò altre due tragedie: il fascismo e la seconda guerra mondiale.
Penso a questo giovane paesano che aveva viaggiato poco, aveva studiato poco (nessun libro o quaderno con la sua firma trovai nella libreria di casa) e fu sbalzato in una trincea insieme a tanti altri ragazzini.
Mi sembra quasi di averlo conosciuto, o forse l’ho sognato da bambino, dopo uno dei racconti di zia Tanina. Le piaceva raccontare le storie del passato e a me piaceva ascoltarla.
Ho visto con interesse le trincee della Grande Guerra nel film “1917”, regia di Sam Mendes. Un bel film, avvincente, ma quelle sono le trincee del fronte francese, i soldati sono inglesi. In questo “Campo di battaglia” di Gianni Amelio ci sono i tanti Pietro che convennero dall’Italia sulla linea del fronte con l’Austria. Tra di loro Giuseppe Ungaretti: «Un’intera nottata / buttato vicino / a un compagno / massacrato / con la sua bocca / digrignata / volta al plenilunio / con la congestione / delle sue mani / penetrata / nel mio silenzio / ho scritto / lettere piene d’amore. / Non sono mai stato / tanto / attaccato alla vita».
Ho immaginato il povero ragazzo giuglianese strappato alla famiglia e spedito in Friuli (montagne, neve che non conosceva) nella trincea con cui inizia il film, piena di morti accatastati. Pietro forse finì nell’ammasso di morti in cui un soldato rovista con lo scopo di trovare qualche sopravvissuto o qualche moneta da rubare, un pezzo di pane da masticare.
La scenografia, come in tutti i film di Gianni Amelio (penso a Hammamet e a Lamerica) è precisa e rigorosa; la sceneggiatura è credibile, soprattutto nei dialoghi. Ottima la soluzione di far parlare i soldati nella propria lingua, cioè nel dialetto incomprensibile agli altri. Così parlavano i soldati di un’Italia che si era unita da poco. Tra di loro e con gli ufficiali non si capivano.
Assodato che gli ufficiali boriosi, provenienti dall’alta borghesia, avevano gioco facile a pretendere l’eroismo dai poveracci morti di fame, il personaggio strano è il medico “buono” che non si assume le proprie responsabilità, accetta i comportamenti assurdi di un fanatico capitano e aiuta i feriti a ottenere il congedo aggravando le loro malattie e ferite. Fa diventare gli storpi ancora più storpi, fa diventare completamente ciechi i ciechi da un occhio, fa diventare sordi poveri disgraziati che desiderano solo tornare a casa, ai campi, alle famiglie. Il medico “buono” ha perennemente un sorrisino sulle labbra e si defila dalle proprie responsabilità. Non fa l’unica cosa giusta in quella situazione: cercare di fermare il capitano sadico a tutti i costi, anche rischiando personalmente, anche con un gesto estremo (onestamente: non so che cosa avrei fatto in quelle circostanze, è facile fare l’eroe dalla poltrona).
Il rapporto tra i tre personaggi principali rimane ambiguo fino alla fine; da questo punto di vista il film non decolla; ma non importa. I personaggi più importanti sono le povere vittime della guerra, il tema del film è la lotta tra i folli appartenenti alle classi privilegiate (alta borghesia e nobiltà) e gli sfruttati mandati al macello che cercano di salvarsi.
Su questo argomento c’è un glorioso precedente: La Grande Guerra, regia di Mario Monicelli, Leone d’oro 1959 ex aequo con Il generale della Rovere di Roberto Rossellini.
Lo sguardo di Amelio è diverso dallo sguardo di Monicelli, anche perché le cose sono molto cambiate dal 1959. Non siamo più ai tempi della commedia all’italiana, che riusciva a trattare temi drammatici evitando la retorica e inserendo senza stonature l’umorismo di due grandi attori, Alberto Sordi e Vittorio Gassman.
In questo film non c’è spazio per l’umorismo: il dramma è dramma senza misericordia e non concede un attimo di tregua.